Avvenire 16 luglio 2001 Il leader delle tute bianche:
«Cercheremo di entrare nella zona rossa»
Gli altri: «Ma è un errore ridurre tutto all'ordine pubblico»
G8, contrapposizione o dialogo
Gli antagonisti si misurano con il realismo dei cattolici
(A Cura Di
Chiara Zappa)

AVVENIRE: il dibattito in preparazione al G8 ha avuto l'effetto positivo di affermare
l'importanza di una riflessione sulla globalizzazione e sugli squilibri fra Nord e Sud del
mondo. Ha ancora senso, a questo punto, insistere sulla contrapposizione frontale o è
opportuno sfruttare questa occasione per un dialogo costruttivo tra i grandi della Terra e
chi vuole rappresentare i cosiddetti rifiutati?
Luca Casarini: Mi sembra innegabile rilevare che, se un messaggio culturale è
riuscito a passare nell'opinione pubblica, ciò è avvenuto proprio grazie all'esistenza
di una forte contrapposizione: è questo l'elemento fondamentale emerso dai movimenti di
Seattle, quello che ha scatenato l'interesse dei media e che non può essere
sottovalutato, pena il non cogliere il valore civile del conflitto sociale. Perciò non
credo si possa mettere in discussione un Dna che coincide con un'irriducibilità - non
ideologica ma culturale e politica - alla logica del G8: la logica del mondo unico e del
pensiero unico, a cui noi vogliamo opporci con la disobbedienza civile e denunciandone
l'illegittimità. Questa è una lotta non tra blocchi contrapposti ma per la sopravvivenza
dell'umanità, e ciò ci porta a considerare la contrapposizione in un'ottica nuova, nei
termini di un conflitto tra due visioni del mondo, una delle quali è escludente.
Paolo Sorbi: Credo che l'irriducibilità culturale sia il nodo su cui riflettere.
Essenziale ora è conoscere le differenze plurali contenute nel movimento
anti-globalizzazione per capire cosa nasca dall'insieme di tali differenze e quindi, in
ultima analisi, che significato assuma questa irriducibilità culturale.
Alberto Piatti: Su questo punto vorrei fare una precisazione: se leggiamo il
documento per la lotta alla povertà elaborato al G8 di Okinawa ci accorgiamo che
l'umanità del Pianeta è definita da categorie sociologiche, mentre non si parla mai di
persone, né di individui o di esseri umani. Credo allora che l'irriducibilità culturale
coincida con il rimettere al centro del dibattito il grande assente anche di questi
giorni, e cioè l'essere umano, la persona, che è il motore di ogni civiltà. Non
possiamo accettare di ridurre la civiltà a una serie di elementi tecnici e tecnologici.
È necessario dire queste cose, anche con la contrapposizione. La vera questione è:
contrapposizione a chi? Siamo di fronte a un problema di rappresentatività: se Bretton
Woods aveva determinato certi equilibri, oggi quell'assetto è definitivamente saltato e
non si trova chi possa rappresentare i poveri del pianeta presso le istituzioni
internazionali. In questi organismi sovranazionali, inoltre, è lo Stato che rappresenta
il popolo e sebbene oggi assistiamo a una mobilitazione della coscienza pubblica affinché
i rappresentanti del popolo portino la voce della gente presso gli organismi globali, non
dobbiamo dimenticare che la creazione di un'opinione pubblica davvero cosciente comporta
un cambiamento dei nostri comportamenti quotidiani e delle nostre modalità di dedicarci
al bene comune.
Riccardo Moro: Mi sembra che la questione della rappresentatività del G8 sia in
realtà una "non questione". I componenti stessi del G8 sanno di non essere
istituzionalmente "il governo del mondo", anche se poi è chiaro che la loro
potenza economica e in alcuni casi militare comporta che gli orientamenti definiti al loro
interno abbiano un peso preponderante. Ma la questione della legittimità non deve essere
rivolta al G8: il problema di fondo è la debolezza delle altre istituzioni
internazionali, l'Onu per prima. Noi abbiamo bisogno di un luogo dove si discutano le
regole mondiali e questo non può essere il G8: è giusto rimarcarlo ma è necessario
contemporaneamente ragionare su come rafforzare le altre istituzioni.
AVVENIRE: Ma come rispondere a Casarini che propone con caparbietà la logica della
contrapposizione?
Moro: Per quanto riguarda l'antagonismo che cresce all'interno della società civile,
occorre riflettere sul fatto che, in tutte le forme di dialogo internazionale, chi si
siede attorno al tavolo delle trattative sono i governi. Non c'è quindi una
rappresentanza delle opposizioni politiche dei diversi Paesi e se è vero che qualsiasi
problema nazionale è da collocare all'interno del contesto globale, nasce il problema di
come una parte significativa dell'opinione pubblica di questi Paesi non sia rappresentata
a livello internazionale. È quindi abbastanza naturale che esista un movimento che vuole
partecipare al dialogo in sede internazionale, proponendo temi che non ritiene siano
sufficientemente trattati. Allora è vero: esiste un problema di espressione. Ma in questi
giorni di dibattito sembra che l'unico fine delle "tute bianche" sia infrangere
la linea rossa, sostenere il diritto di manifestare: bene, io credo che questo porti poco
lontano. La piazza deve servire a comunicare le proprie proposte, non è un valore in sè.
E il valore sta poi nella forza del dialogo, e noi vogliamo dialogare con tutti, anche con
la Banca mondiale e con i governanti del G8.
AVVENIRE: Il G8 sta diventando un problema di ordine pubblico, la discussione sui
grandi temi è oscurata dalle preoccupazioni su ciò che succederà a Genova: come verrà
tradotto operativamente l'antagonismo nei giorni del vertice? Se la protesta degenerasse
in violenza, ciò contribuirebbe a squalificare agli occhi dell'opinione pubblica tutto il
fronte antagonista, ma che mandato hanno i manifestanti a rappresentare i Paesi poveri con
queste modalità?
Casarini: Penso sia necessario notare il carattere militans di questo
movimento, un carattere che è sempre stato fondamentale anche all'interno della Chiesa,
per esempio all'epoca dei grandi blocchi. Questo carattere, tradotto in termini di
società civile, significa contrapposizione, non mediazione. Mi spiego meglio: siamo di
fronte al tentativo di dare un governo al mercato neoliberista mondiale: non si è mai
visto un mercato senza governo. Ma è un mercato che ha permeato delle sue logiche e delle
sue regole tutte le relazioni sociali esistenti. Noi non siamo contro la globalizzazione
in sé, ma contro questa globalizzazione costruita sull'esclusione della centralità
dell'umanità, sull'affermazione del principio economico capitalistico come unico
possibile. Il mercato è entrato nella vita: quando si parla di brevetto del Dna o del
genoma, quando si concentrano in cinque multinazionali le proprietà intellettuali del 90%
delle sementi esistenti, si parla di cose che riguardano la vita di tutti noi. Ciò
acuisce la dimensione della non-mediazione: questo meccanismo ha in sè la chiusura più
totale della possibilità del dialogo. Per quanto riguarda il nostro diritto a
rappresentare i poveri del mondo, devo dire che le "tute bianche" non sono
rappresentanti di nessuno: certo l'utopia di dar voce anche a un solo fratello dei Paesi
poveri mi sembra legittima.
Sorbi: Vorrei porre una questione che trovo fondamentale. A questo punto, dopo
Genova, che cosa succederà? Mi sembra che nelle assemblee dei movimenti di protesta debba
maturare questo contributo: che tipo di uomo vogliamo costruire? E qual è la radice della
critica politica e culturale che si deve fare? Questo mi sembra il problema base di un
movimento che intende durare nella lotta, perché già nel '68 ponemmo il problema
dell'impero. Ma l'impero ci ha vinto perché mancava quel respiro: c'era solo la lotta
continua, non una dimensione culturale di identità educativa. I contestatori corrono il
rischio di trasformarsi nei reggicoda di una grande razionalizzazione borghese.
Casarini: Io credo fortemente che il conflitto sociale sia un elemento
indispensabile per la democrazia. Se non ci fosse stato in passato oggi non potremmo
nemmeno discutere. Credo anche che siamo in un periodo in cui sviluppo e progresso si sono
divisi. Il nostro Davide come lo costruiamo? Non è certo un problema risolvibile ora:
siamo ancora all'inizio: bisogna passare attraverso Genova per riuscire a capire cosa
sarà dopo Genova, non possiamo saltarla a piè pari. Molti di noi lo farebbero volentieri
ma non è possibile: dobbiamo passarci attraverso, perché credo che questo sia un momento
di grande laboratorio costituente, che determinerà il dopo Genova.
AVVENIRE: Parli chiaro, vuol dire che siete disposti anche a gesti di forza?
Casarini: I movimenti sono come fiumi in piena: bisogna sapere fare il rafting.
A Genova ci saranno tensioni grandi, e noi dovremo imparare a ragionare su queste tensioni
e provare a elaborare l'energia che si produrrà, che potrà essere positiva e negativa.
Bisogna maneggiarla, di sicuro è pericoloso, ma per chi vuole inserirsi in questo tipo di
dinamiche è un passaggio obbligato, problematico ma anche entusiasmante. Noi cerchiamo di
aprire un ragionamento sul conflitto che non sia semplicemente lotta e repressione né
conflitto di piazza, ma valore della disobbedienza, nel momento in cui la disobbedienza
diventa un momento di espressione. Noi siamo convinti che la violenza che ci scaricheranno
addosso semplicemente perché andremo protetti verso una zona vietata sia un messaggio che
deve far pensare tutti e che afferma anche il fatto che non siamo disposti a dire sempre
di sì e che crediamo che Davide può battere Golia. Noi andremo a mani alzate contro
l'impero. Questa non è una cosa da poco, ovviamente è uno sforzo che noi stiamo facendo,
insieme a quello fondamentale di un'estensione del concetto di disobbedienza: per me la
veglia di preghiera a Boccadasse rappresenta una forma di disobbedienza. Questo impero non
si vince sul piano militare, ma su quello culturale e politico.
Piatti: Il sistema dell'impero di cui parliamo tanto dà segni di cedimento: la
Banca mondiale a Praga ha affermato che il 57 per cento di tutte le politiche di
aggiustamenti strutturali sono fallite. E anche se per la Banca mondiale il tema è la
lotta alla povertà e non ancora la persona umana, credo sia necessario dialogare con il
sistema, perché dove ci sono esperimenti positivi e propositivi, il sistema è costretto
a riconoscerli. Porto l'esempio di una favela a Salvador de Bahia, dove la Banca mondiale
ha dovuto riconoscere il fallimento di tutti i precedenti programmi e piegarsi all'idea di
creare un accordo diretto con un corpo non governativo come la nostra associazione per
gestire insieme alla popolazione locale un programma di rinnovamento dove il popolo è il
protagonista. Bisogna incalzare il sistema con esempi praticabili, laddove mostra la sua
debolezza e dichiara apertamente i suoi fallimenti: anche questa è una forma di
militanza. Ma ridurre il problema a una questione di ordine pubblico sarebbe gravissimo.
Moro: Mi chiedo perché insistere tanto sulla logica della contrapposizione e non
su quella della mediazione. Teniamo presente che il sistema siamo noi, questo mondo è il
nostro mondo: se un mandato abbiamo, è quello di denunciare quello che non va e
impegnarci a cambiarlo. È vero: c'è una cultura dominante che è quella del
neoliberismo, la quale sostiene che il mercato basta a se stesso e promuove di fatto il
primato dell'economia sulla politica. È vero anche che queste affermazioni sono frutto di
presupposti che spesso non si verificano, e sappiamo benissimo che il mercato lascia per
strada un sacco di gente, mentre a noi interessa porre al centro l'uomo. Ma ho delle
perplessità dal punto di vista dei metodi proposti da molta parte dei movimenti
anti-globalizzazione. Io credo che dobbiamo fare un forte lavoro di elaborazione per
proporre delle regole da una parte e, dall'altra, per promuovere educazione. Per questo -
fermo restando che è necessario indignarsi e denunciare quando l'uomo è violato - io
sostengo il dialogo, il dibattito a condizione che i metodi siano non violenti, sia
direttamente che indirettamente. I cristiani prefersicono parlare di amore piuttosto che
di conflitto sociale. Io punto all'incontro, non mi va di distribuire etichette permanenti
di "nemico" a qualcuno. Facciamo attenzione che il nostro modo di esprimerci non
sia ricco di emotività mentre lascia per strada i contenuti. In questo modo non c'è
incontro ma ci si avvita in una spirale di contrapposizione: e se gli animi si accendono e
l'antagonismo diventa troppo forte c'è il rischio di cadere nella violenza. Come è
accaduto a Goteborg.
AVVENIRE: A questo punto occorre interrogarsi sul modello di sviluppo da proporre per
un mondo più giusto. Accettiamo di rimanere ancora all'interno dell'economia di mercato o
vogliamo contrapporci globalmente ad essa? E che tipo di alternative praticabili si
propongono per lo sviluppo dei Paesi che sono rimasti indietro?
Sorbi: Insisto su un punto : vorrei capire quale modello di uomo i leader delle
"tute bianche" propongono di costruire ai loro compagni. Quale educazione ci
sarà dopo Genova? ll rischio di diventare i nuovi fenomeni piccolo-borghesi degli anni
2020 nasce proprio da un problema programmatico, che io credo vada visto non oltre Genova
ma dentro Genova. Questo è il problema delle comunità di contestatori, che sono ottime
per la forza ma si dimostrano poi incapaci di costruire un nuovo stile di vita.
Casarini: Io sono convinto che possa esistere una dinamica globale che non sia
quella dell'esclusione di gran parte dell'umanità ma naturalmente nessuno di noi può
ancora dire come sarà. Non c'è oggi come oggi uno schema preciso. Penso si debba parlare
per esempi e non per modelli. L'alternativa non nasce già fatta ma cresce tutti i giorni,
nella sperimentazione soprattutto locale, perché il globale è nel locale. Bisogna
sperimentare formule che siano includenti e non escludenti anche in termini economici e su
questo ci sono esempi nel mondo che stanno funzionando, come il commercio equo e solidale,
la finanza etica, o l'esperimento di Porto Alegre - con la sua riflessione sulla
democrazia municipale partecipativa -e ancora la costruzione del nuovo welfare globale
attraverso il meccanismo della solidarietà. La contaminazione tra questi esempi produce
probabilmente i contorni di un orizzonte che noi chiamiamo l'"alternativa".
Piatti: Io non credo proprio che il motore del cambiamento sia il conflitto
sociale, credo che sia la sfida che l'uomo ha sempre davanti sul significato della propria
esistenza. Sono convinto che il sistema sta scricchiolando e che ci sia una coscienza
crescente dei leader mondiali su temi fondamentali quali il debito estero, ma il problema
è che la disobbedienza civile e la denuncia devono diventare una forma di costruzione.
Come continuare a costruire? Ci auguriamo che la disponibilità al dialogo data dal
ministro Ruggiero si traduca, immediatamente dopo Genova, in politiche di cooperazione
laddove sia favorita la comunicazione tra i popoli e non tra gli uffici e le burocrazie,
l'autodeterminazione dei popoli e un non profit che operi secondo la propria libera
espressione. Per esempio nelle modalità della remissione del debito estero. Ho potuto
verificare - l'ultimo esempio riguarda l'Uganda - che solo se c'è un coinvolgimento ma
anche un rinnovamento della classe politica le cose possono davvero cambiare nei Paesi
poveri. Altrimenti, il rischio è che le risorse liberate dall'azzeramento del debito
finiscano si governi e la popolazione non en abbia alcun beneficio. C'è anche un sistema
di relazioni da cambiare.
AVVENIRE: Cerchiamo di far scaturire dall'incontro di oggi un'idea concreta: quale
gesto alla portata di tutti proporreste in occasione del G8 per provare a cambiare le cose
dal basso?
Piatti: Io proporrei di raccogliere tutte le monete che non convertiremo in euro e
darle in offerta alla Chiesa, affinché continui la sua opera di sostegno ai Paesi poveri.
Casarini: A Genova ci sdraieremo per terra e faremo suonare le sirene nelle piazze
della città. Per quanto riguarda un gesto possibile per tutti, io penso sia importante
incominciare con una cultura della disobbedienza anche per quanto riguarda i meccanismi
che regolano la nostra vita. Uno tra i tanti gesti che si possono proporre è investire i
propri risparmi, pur con meno profitto, all'interno di una banca etica.
Moro: Io credo sia importante impostare un nuovo stile di vita nella dimensione
personale del quotidiano, come instaurare relazioni positive con i vicini e le persone che
incontriamo nel corso della nostra giornata.
Sorbi: Vorrei citare don Milani (che si chiedeva a quali condizioni la
disobbedienza può essere una virtù): proporrei cioè di leggere e studiare al fine di
approfondire i temi della globalizzazione e dell'ingiustizia sociale.
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(A Cura Di
Chiara Zappa)
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