La Stampa
Martedì 17 Luglio 2001

«Vogliono seminare paura intorno a noi»
I contestatori dopo le bombe: tentano di bollarci come criminali
Renato Rizzo
inviato a GENOVA «Sappiamo da dove viene questa bomba: dai meandri più torbidi dell’Italia dei misteri. Vogliono indicarci al mondo come criminali, vogliono seminare la paura nella gente che verrà a manifestare pacificamente con noi»: Matteo Jade, leader degli zapatisti genovesi, pesca nell’impolverato vocabolario dell’Italia Anni 70 e parla di «strategia della tensione». Una paura già provata, un trucco già smascherato. Luca Casarini, portavoce delle Tute bianche del Nord-Est, va oltre: «A Bilbao ve l’avevo annunciato o no?» ricorda a chi, qualche settimana fa, l’aveva intervistato in Spagna durante un «training» con gli attivisti baschi di Emen eta Munduan: «Prima o poi l’Impero usa l’esplosivo. E’ la sua disperata difesa quando si sente messo con le spalle al muro. I servizi segreti italiani e stranieri l’hanno fatto altre volte, magari servendosi di personaggi della reazione funzionali al potere. L’unica risposta è essere determinati nella disobbedienza civile senza radicalizzare lo scontro. Visto che a radicalizzarlo già ci pensano loro».
La bomba. La sua «onda d’urto» emotiva scuote le pareti della cittadella di via Cesare Battisti dove il popolo antiglobalizzazione sviluppa il suo Forum di dibattiti e incontri sulla mondializzazione. Sono le 11. La notizia dell’attentato vola prima sottovoce, poi sempre più forte. Dal tavolo degli oratori Walden Bello, di Focus on the Global South, vede il pubblico sgranarsi a poco a poco: tutti nella sala dove i rappresentanti del Gsf, stanno stilando un documento nel quale avvertono: «L’ordigno è contro i diritti costituzionali per impedire il dissenso di massa. E’ contro il movimento».
Si condanna l’attentato, si esprime solidarietà nei confronti del militare ferito. Ma la rabbia è più densa del fumo delle sigarette e delle stecche d’incenso che rendono grigia l’aria: «L’attentato - dice Francesco Caruso di No Global di Napoli - crea tensione tra le forze dell’ordine: questo è ciò che ci preoccupa».
Con qualche preoccupazione si cerca l’antidoto alla paura che potrebbe far sgonfiare i cortei di questo fine settimana: «La replica migliore alle provocazioni è partecipare in massa». Si chiede al governo di dare il suo contributo nel raffreddare la tensione «ripensando a tutte quelle iniziative come il blocco delle frontiere, la chiusura delle stazioni, il "muro" elevato a protezione della zona rossa che sono inutili per il controllo dell’ordine pubblico e servono solo a creare un clima esasperato». Ecco la furia di Jade: «Parlano di dialogo e, poi, ci chiudono la bocca; dicono che non sospendono il trattato di Shengen e poi chiudono le frontiere; promettono che manterranno aperte le stazioni e poi le bloccano». Ma qualche volta le sbloccano pure. E, così, a sera, il Gsf incassa una parziale vittoria che soddisferà in modo particolare il Network per i Diritti Globali pronto, su questo punto, a rischiare la frattura dell’intera rete antiG8 giudicata troppo arrendevole. Lo scalo di Brignole resterà, infatti, aperto fino alle 14 del 19 luglio e nelle serate del 21 e 22, per consentire gli arrivi e le partenze dei ventotto treni straordinari che dovranno riversare su Genova 25 mila manifestanti.
Tutti in piazza, allora, «per rispondere con i fatti a chi vuole chiudere la bocca al movimento» o, peggio ancora, come dice Cristophe Aguitton di Attac Francia, «pretende di criminalizzarci». José Maria Antentas della Campagna contro la Banca mondiale mette, comunque, in guardia i compagni raccontando la sua esperienza di contestatore durante la protesta del 24 giugno a Barcellona: «Abbiamo visto, fotografato e ripreso con videocamere parecchi agenti che, travestiti da manifestanti, spaccavano le vetrine per poi incolpare noi. E’ partita una denuncia sottoscritta da 200 testimoni, tra cui deputati e sindacalisti. Dovremo fare attenzione anche qui: certe usanze sono internazionali».
Chi ha idee chiare e definitive è Joseba Alvarez, della commissione relazioni internazionali di Herri Batasuna, partito del nazionalismo basco. Gli domandiamo: «I vostri giovani, nel panorama della rivolta mondiale, sono considerati tra i più accesi: si ricordano scontri di grande violenza a Praga e a Nizza con attacchi a colpi di pietre, spranghe e molotov. Accuse vere o solo cattiva stampa?».
La risposta è un brillare d’occhi e un borbottio dentro la barba nera: «Sono ragazzi che reagiscono alle provocazioni». Della polizia? «E di chi, se no?». Faccia un esempio. «Beh, migliaia di agenti schierati in armi e divisa antisommossa davanti a poche centinaia di persone non sono forse una provocazione?». Dipende dai punti di vista, Joseba. «Secondo quello di certi ragazzi sì». E per voi funzionari del partito? «Le dico la verità: se vedo un gruppo di rivoltosi che partono all’attacco, io certo non mi metto in mezzo per fermarli».