Manifesto 17 luglio 2001 Sfruttate
dalla tutina globale
La lotta delle operaie Ladybyrd, fornitrice
thailandese di Prénatal
ANTONIO SCIOTTO
"Noi facciamo i vestiti da bambino per Prénatal, Guess, Gymboree,
ma non possiamo dare da mangiare ai nostri figli". Era scritto così sui cartelli
delle lavoratrici della Ladybird Garment Factory di Bangkok, che un mese fa
sfilavano lungo le strade della capitale thailandese per chiedere al governo di far
rispettare i loro diritti. Una lotta che, tra scioperi e serrate, si è prolungata per
parecchi mesi e che si è conclusa solo qualche giorno fa con una parziale vittoria, dopo
aver smosso organizzazioni per i diritti umani, sindacati e le stesse multinazionali
accusate di scarsa sensibilità, timorose di macchiare la propria immagine.
Tra le aziende "globali" di cui l'industria tessile Ladybird è fornitrice, c'è
anche l'italiana Prénatal, controllata da Artsana, e le statunitensi Guess, Gymboree,
TJMax and Marshall. Cinquecentoquaranta lavoratori, la maggior parte donne, che tagliano i
tessuti e confezionano gli abiti che poi vanno a finire sugli scaffali dei negozi per
bambini di una decina di paesi occidentali, Usa e Unione europea in testa.
Quanto costi mediamente una tutina da neonato o un paio di scarpette di pezza dei sucitati
marchi non è un mistero: ebbene, lungi dall'idea di potersi permettere di vestire
"lussuosamente" i propri figli, le mamme-lavoratrici della Ladybird, che quegli
abiti li producono, hanno chiesto semplicemente una serie di aumenti, benefit e diritti
sindacali, per assicurarsi una vita minimamente dignitosa. Tra le richieste, quella che
dà più di tutte l'idea di quanto da quelle tutine siano lontane nonostante vi dedichino
la propria fatica quotidiana, riguarda gli aumenti giornalieri, che si giocano nell'ordine
di poche decine di bath. E un bath vale appena 50 lire.
Maggiorazioni richieste in base all'anzianità, dato che quasi tutte le lavoratrici della
Ladybird non ricevono aumenti di stipendio con il passare degli anni, ma in base alla
"qualità" del lavoro. In pratica, a discrezione del padrone. Secondo il Clist,
centro d'informazione e avviamento al lavoro thailandese, che ha sostenuto il giovane
sindacato di fabbrica tutto femminile, 200 lavoratori sono temporanei, e non possono
pertanto neppure iscriversi a un sindacato. Degli altri 340 "regolari", solo 100
avrebbero una busta paga mensile, mentre tutti gli altri sarebbero pagati a giornata. Una
precarietà che si legge anche nelle altre richieste in piattaforma: per esempio, quella
di una indennità per la maternità, di 100 bath al mese per tre mesi di gravidanza, dato
che l'operaia thailandese incinta deve lavorare, ma senza fare gli straordinari.
E ancora: qualche giorno di paga in più secondo l'anzianità, benefit già acquisito in
molte fabbriche thailandesi. Il potenziamento dei mezzi di trasporto aziendali, per
rendere più agevoli gli straordinari, e l'autorizzazione, per i rappresentanti sindacali,
di assentarsi dal lavoro per un massimo di 30 giorni all'anno. Il capo della Ladybird,
però, aveva deciso di respingere qualsiasi richiesta delle operaie, rifiutandosi in
pratica di riconoscere il sindacato. A fine maggio, 80 lavoratrici scendono in piazza per
uno sciopero generale a sostegno dei minimi salariali e dell'indennità di disoccupazione.
Il titolare, così, decide una sorta di "serrata parziale": alle 80
"disobbedienti" viene vietato l'ingresso in fabbrica. Seguono altre
manifestazioni, e 100 nuove assunte sostituiscono le escluse: la produzione non può
fermarsi.
A questo punto intervengono soggetti come la Clean Clothes Campaign, associazione
europea che si batte per una produzione "pulita" dei nostri vestiti, e
l'italiano Coordinamento lombardo nord/sud del mondo: i consumatori vengono
invitati a scrivere alla Prénatal, alla Guess e alle altre aziende committenti. Prénatal
chiede chiarimenti al capo della Ladybird, la Gymboree invia degli ispettori. Il 2 luglio,
la firma di un accordo, e il 4 luglio le lavoratrici espulse vengono riammesse. Hanno
ottenuto soltanto l'indennità di gravidanza e i permessi retribuiti per i sindacalisti di
fabbrica. Ma è già qualcosa, e le donne della Ladybird continueranno a lottare.
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