Manifesto 18 luglio 2001

Soap imperiale Il remake di W. Bush
L'agenda del G8, una vecchia sceneggiatura di quel liberismo su scala mondiale inaugurato vent'anni fa da Reagan e oggi replicato da un figlio d'arte. Dallo scudo spaziale al clima al dollaro
MARIO PIANTA

Il vertice del G8 a Genova si può guardare come un piccolo episodio, un cameo con sette ospiti illustri, di una soap opera americana (che prende molto però da una tragedia greca) che ricicla una vecchia sceneggiatura, un sequel di vicende già viste. Il protagonista originale - giusto vent'anni fa - era Ronald Reagan, ex attore e padre - la madre era Margaret Thatcher in Gran Bretagna - di un neonato destinato a fare strada: il nuovo liberismo a scala globale, che aveva come angelo custode la supremazia politica e militare degli Stati Uniti. Ora il nuovo protagonista è George W. Bush, figlio d'arte, che torna non tanto sulle orme del padre, ma su quelle dell'amministrazione in cui George senior era soltanto vice-presidente. Quello di Reagan fu un governo di rottura con le politiche consolidate degli Stati Uniti, dopo il mite quadriennio di James Carter: in casa tagli alle tasse e alla spesa sociale fino ad allora impensabili e fuori una forzatura su tutti i piani: nuova guerra! fredda, corsa al riarmo nucleare e missili in Europa. Il tutto gestito da nuova classe dirigente: dell'estrema destra anziché moderata, di origine californiana anziché East Coast, con quasi tutto il governo preso di peso dai consigli di amministrazioni delle grandi imprese.
Il frutto di quella svolta ha ora vent'anni, si chiama globalizzazione neo-liberista e ha occupato la Casa Bianca anche negli otto anni di governo di Bill Clinton. Ora che è diventata maggiorenne, ne è diventata l'unica l'inquilina, vuole fare da sola, e manifesta la sua coazione a ripetere.
Guardiamo alla politica internazionale degli Stati Uniti, economica e militare, quella di fronte a cui gli altri sette medio-grandi dovranno piegare il capo. In sei mesi gli Stati Uniti di George W. Bush hanno messo in fila una quantità di azioni unilaterali da far ammutolire le diplomazie di tutto il mondo (ma non, come sappiamo, le società civili di Seattle, Porto Alegre e Genova). Solo l'elenco delle offensive americane copre tutto l'arco della poltica internazionale: scudo spaziale, piccole armi, mine, tribunale penale internazionale, fondo monetario, commercio internazionale, paradisi fiscali. Per non parlare dell'isolamento totale degli Usa sulla questione della pena di morte.
Ma andiamo con ordine, partendo dal caso più grave e recente, quello del National Missile Defense program. Con il test antimissile dei giorni scorsi sul Pacifico, gli Stati Uniti hanno violato il Trattato Anti missili balistici (Abm) che dal 1972 aveva evitato la proliferazione di armi antimissile, consolidando il folle sistema di mutua assicurata distruzione (Mad, appunto). Russi e cinesi promettono di reagire con una nuova corsa al riarmo nucleare, ma Mosca potrebbe essere convinta a rinuciare dalla generosità dei finanziamenti americani (e del Fmi). Anche qui si tratta di un sequel, delle guerre stellari (Strategic defense initiative) lanciata da Reagan 15 anni fa e caduta progressivamente nell'oblio.
Il mondo sta discutendo da anni, su pressione della società civile di molti paesi, di limitare il traffico di piccole armi, quelle usate nei conflitti locali ed etnici in giro per il mondo. Anche qui gli Stati Uniti hanno dichiarato che non firmeranno nulla del genere, per non minacciare la passione americana per comprarsi e tenere a casa armi da fuoco. Sempre su questi temi, gli Stati uniti non hanno ratificato il Trattato che vieta i test nucleari, quello che vieta l'uso delle mine antipersona, e sul fronte del disarmo nucleare sono perennemente in ritardo.
L'altro caso più noto riguarda la politica ambientale, con la decisione Usa di non ratificare il già firmato protocollo di Kyoto. E su ogni altra questione ambientale, il governo Usa si trova regolarmente a essere parte del problema, anziché della soluzione.
Ma anche la politica economica internazionale è sotto tiro, come se la globalizzazione neo-liberista non avesse ancora avuto abbastanza spazio.
Il Fondo monetario internazionale è stato prima messo sotto accusa da destra, dal Rapporto della Commissione Meltzer convocata dal Congresso Usa controllato dai repubblicani, e imbottito poi di nomine reazionarie da parte di Bush jr. dopo un ovvio fuoco di sbarramento contro la nomina di un banchiere socialdemocratico tedesco alla presidenza (alle fine venne accettato un banchiere tedesco, ma democristiano). Le nuove istruzioni sono di limitarsi a fare il poliziotto finanziario dei paesi più deboli e di non pensare a gestire l'insieme del sistema finanziario internazionale, un nuovo candidato per la privatizzazione: il Fmi è dopotutto un organismo pubblico e, in quanto tale, sospetto per definizione.
La gestione della Banca mondiale e la vicepresidenza di Joseph Stiglitz, nominato da Clinton, è vista come pericolosamente aperta, e i regolamenti di conti sono ancora in corso. Ma più in generale è il ruolo di questi organismi che Washington vuole ridimensionare, dope averli usati come punta di lancia contro le politiche economiche del resto del mondo. E' il momento di fare più spazio alla finanza privata che domina I flussi Nord-Sud e vuole dettare le proprie regole. Ovvio che nominare appena la Tobin tax sulle transazioni valutarie suoni come una bestemmia.
Anche l'Organizzazione mondiale per il commercio - meritevole come pochi altri per aver aperto alle merci, ai servizi finanziari e presto anche a quelli sanitari e d'istruzione degli Usa i mercati di tutto il mondo -, è un vigilato speciale. Washington non potrebbe mai tollerare una decisione dell'organismo di risoluzione delle controversie che vada contro gli interessi americani.
Perfino un'iniziativa innocente come l'eliminazione dei paradisi fiscali usati per il riciclaggio, promossa dall'Ocse, è stata fatta saltare tre mesi fa dal governo Usa: gli organismi internazionali non devono immischiarsi nelle scelte dei governi sulle tasse da imporre, anche se I flussi finanziari vengono dal denaro sporco di organizzazioni criminali e da speculazioni senza limiti.
In tutti questi scontri, gli avversari non sono soltanto i paesi del Sud del mondo, che si possono mettere in riga con relativa agilità. Sono soprattutto gli altri paesi avanzati. I conti con il Giappone e le tigri asiatiche sono stati regolati con la crisi finanziaria asiatica del 1997-98 (non sorprende ora vedere Tokyo allinearsi rapidamente con Washington perfino su temi che gli stavano a cuore, come il protocollo di Kyoto).
Adesso sotto tiro è soprattutto l'Europa. E' qui che sono puntati i missili dello scudo spaziale oggi, come gli euromissili di vent'anni fa. E' qui che gli avanzi di politiche keynesiane, di welfare state, di intervento pubblico nell'economia devono essere liquidati senza lasciare traccia, senza dare più cattivi esempi ai paesi del Sud del mondo.
E con l'Europa lo scontro vero non è ancora cominciato. A gennaio 2002, l'euro diventerà una moneta internazionale a tutti gli effetti, che potrebbe essere usata per un terzo del commercio mondiale e che potrebbe essere la moneta di riferimento per 50 paesi, dall'est Europa, all'Africa, al Medio Oriente. Una sfida inaccettabile per l'orgoglio del dollaro, anche se viene dal più conservatore del banchieri centrali olandesi.
Forse è questo che avranno in mente molti al Palazzo ducale di Genova, intorno al tavolo del G8, anche se, dal lato europeo, pochi oseranno aprire bocca. Per loro, anche per loro, parla il Genoa Social Forum e le proposte presentate in questi giorni al Public Forum che discute delle alternative possibili. Una nuova dimostrazione che le politiche concrete, sui nodi di fondo del sistema internazionale, vengono ora elaborate e proposte dai movimenti globali, mentre la politica degli stati si è allineata ai dogmi della globalizzazione neo-liberista.
Ma se l'offensiva unilateralista degli Stati Uniti si può leggere davvero come una riedizione dell'avventura del primo governo Reagan, è opportuno ricordarsi anche come andò a finire quella puntata. Dopo sei mesi di politiche avventuriste, gli estremisti peggiori vennero sostituiti da più ragionevoli banchieri e alla fine a Reagan succedette il più duttile Bush senior. La strada del neo-liberismo, aperta dagli ultrà neoconservatori, venne poi lastricata dal consenso centrista d'oltreoceano. Ma gli euromissili portarono milioni di persone in piazza in Europa e nel mondo, e alla fine vennero smontati, e le guerre stellari messe in soffitta, andò in polvere perfino il sistema sovietico, co-protagonista di quella "nuova guerra fredda". Le piazze si stanno riempiendo di nuovo, una globalizzazione dal basso si affaccia in quello che associazioni, movimenti, giovani e donne stanno ricominciando a fare, e non li si può accusare ora di nostalgie sovietiche.
E' troppo ottimistico pensare che al Palazzo ducale di Genova aleggerà l'inizio della fine della globalizzazione neo-liberista?