Avvenire 12 luglio 2001 Il segretario del Pontificio
Consiglio per la Giustizia e la Pace: dal Papa arriva il duplice invito a non accettare
un'interpretazione marxista, tutta economica, della storia. E a esercitare la propria
responsabilità per far approdare al bene i processi economici. Non si può dimenticare la
povertà in cui versa la maggior parte dell'umanità
Economia solidale, l'ora dei fatti
Crepaldi: «Il realismo politico non freni l'audacia del cambiamento»
«Il debito? Basterebbe perfezionare e soprattutto mantenere gli impegni
già presi»
Mimmo Muolo
Roma. Monsignor Giampaolo Crepaldi, 54 anni, veneto di Rovigo, è oggi
uno dei più profondi conoscitori della dottrina sociale della Chiesa. Una competenza che
ha maturato sul campo e con opportuni studi, prima come delegato vescovile per la
pastorale sociale della sua diocesi, poi a Roma, dove dal 1986 al 1994 ha diretto
l'ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e il lavoro. In quell'anno viene
chiamato, in qualità di sottosegretario, al Pontificio Consiglio per la Giustizia e la
Pace, dicastero del quale qualche mese fa (il 3 marzo scorso) il Papa lo ha nominato
segretario, elevandolo contemporaneamente alla dignità vescovile. Gli abbiamo chiesto,
alla luce dell'ultimo vibrato appello del Pontefice in vista del G8 di Genova, di fare il
punto sul rapporto fra globalizzazione e solidarietà.
Il Papa ha detto più volte che la globalizzazione non è né buona né cattiva in sé.
Dipende da come la si usa. A suo parere l'ago del barometro tende più verso il buono o
verso il cattivo tempo?
Il Santo Padre ci ha offerto due preziose indicazioni metodologiche per affrontare con
sapiente discernimento il fenomeno della globalizzazione. La prima è l'invito a non
cadere nell'interpretazione marxista della storia per cui il bene e il male sono
determinati da strutture, dinamiche e processi di natura economica. La seconda,
conseguente alla prima, chiama in causa la precisa responsabilità degli uomini nel
guidare verso approdi di bene o di male anche i processi economici. La validità di questo
approccio si può apprezzare in tutta la sua portata soprattutto se consideriamo quanto
siano limitate e, in definitiva, fuorvianti certe interpretazioni del fenomeno della
globalizzazione che provengono sia dal partito degli entusiasti sia dal partito dei
detrattori.
I ripetuti appelli del Papa e della Santa Sede per una globalizzazione della
solidarietà, oltre che dei mercati, che effetti concreti stanno avendo? Ci può fare
qualche esempio?
"Globalizzare la solidarietà" è il progetto lanciato dal Santo Padre nel
suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1998, nel contesto di una
riflessione sulla drammatica situazione di povertà in cui versa la maggior parte
dell'umanità. Il Santo Padre invita alla responsabilità, da esercitarsi come governo
della globalizzazione in modo che i suoi benefici non giungano solo nelle aree del pianeta
già sviluppate, ma anche in quelle segnate da miseria, povertà assoluta e sottosviluppo.
I ripetuti interventi del Santo Padre nella direzione della globalizzazione della
solidarietà hanno fortemente contribuito a tenere aperta la questione della povertà, a
far sì che non fosse rimossa, ma si riproponesse anzi continuamente all'attenzione della
comunità internazionale e delle comunità nazionali più ricche per l'avvio di efficaci
azioni di contrasto.
E che cosa rimane da fare, da parte delle istituzioni dei Paesi più ricchi, per andare
speditamente in questa direzione?
C'è molto, molto da fare ancora. Mi limito a formulare qualche auspicio sulle
maggiori urgenze, oggetto delle puntuali analisi e proposte elaborate dal Pontificio
Consiglio della Giustizia e della Pace. Il primo auspicio è che i Paesi più ricchi
mantengano fede, in concreto, agli impegni già presi sul fronte della lotta alla povertà
e della riduzione del debito internazionale. Questi impegni (sottolineo: già
precedentemente presi) dovrebbero magari essere perfezionati alla luce dell'esperienza. Su
questa base si può proseguire, con coraggio e fiducia, e compiere ulteriori passi avanti
nella direzione del consolidamento di quanto è stato realizzato per sollecitare uno
sviluppo economico autoctono dei Paesi poveri. Anche la questione del debito
internazionale va collocata dentro questa prospettiva e la sua soluzione va vista come una
delle condizioni per avviare sani e solidi processi di sviluppo.
Globalizzazione fa venire alla mente il G8. È giusto definire queste riunioni, come
qualcuno ha fatto, un club di ricchi che si riunisce periodicamente per fare i propri
interessi, dimenticandosi dei poveri?
Il G8 è certamente formato dai Paesi più ricchi. Quanto alle loro intenzioni, non mi
sembra corrispondere alla verità dei fatti una lettura così pessimista. Non si deve
sottovalutare come trascurabile il fatto che il tema della povertà e la situazione dei
poveri siano entrate quasi di prepotenza nell'agenda dei lavori degli ultimi G7/G8. In
vista del prossimo incontro del G8, formuliamo auspici nella volontà di una risposta
concreta all'invito del Santo Padre a globalizzare la solidarietà. Si spera, prima di
tutto, in decisioni che rendano più facili gli interventi finanziari e l'effettivo
trasferimento di tecnologia nei Paesi più poveri. Si conta inoltre nell'avvio di una
mobilitazione di risorse economiche efficace e, soprattutto, rapida verso i Paesi poveri,
che privilegi il settore degli interventi sociali. Auspichiamo, infine, l'apertura dei
mercati dei Paesi industrializzati alle esportazioni delle Nazioni più povere. Molte e
diverse sono le ragioni che rendono urgente alimentare il motore dello sviluppo economico
dei Paesi poveri facendo crescere la loro capacità di commercio, tanto più in un
contesto di globalizzazione. Proprio su quest'ultimo punto si potrà misurare l'effettiva
volontà di scelte di solidarietà del prossimo G8.
C'è chi sostiene che, anche su Genova, ci sia più un problema di comunicazione che di
sostanza, perché molte delle rivendicazioni del variegato popolo di Seattle sono già
nell'agenda della riunione. È proprio così?
Per quello che è dato di conoscere, il tema della lotta alla povertà sarà quasi
sicuramente presente nell'agenda del prossimo G8. La comunicazione diventa importante in
occasione di questi incontri che ormai avvengono sotto la quotidiana e continua attenzione
della società civile. Informazioni più ricche e un sistema di comunicazione più
efficace potrebbero avere effetti positivi sul fronte del coinvolgimento e aiuterebbero a
vivere eventi come il G8 in termini di sempre maggiore confronto costruttivo tra le parti
e le responsabilità di ciascuno.
In vista di Genova molte espressioni del mondo cattolico italiano hanno anticipato i
tempi, firmando un documento e riunendosi nei giorni scorsi nel capoluogo ligure. Qual è
il suo giudizio al riguardo?
Trovo molto bello e assai significativo che l'invito del Santo Padre a globalizzare la
solidarietà sia stato assunto dalle aggregazioni cattoliche come parola d'ordine per le
loro prese di posizione e per il loro ritrovarsi a Genova in vista del G8. Va soprattutto
apprezzato l'atteggiamento di dialogo propositivo che le differenzia dal cosiddetto popolo
di Seattle. Vi contribuisce la sapiente guida del magistero dei Vescovi italiani,
soprattutto attraverso gli illuminanti e puntuali interventi del card. Tettamanzi, ma
questo atteggiamento è anche espressione di una maturità del laicato cattolico italiano,
che è riuscito a far tesoro degli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa sui
temi attualissimi dello sviluppo dei popoli poveri, sulla cooperazione internazionale,
sulla pace e sulla giustizia.
In definitiva, e su un piano di realismo politico, che cosa ci si deve legittimamente
attendere dal G8 di Genova?
Il realismo politico non impedisce l'audacia, come testimonia l'insegnamento e,
soprattutto, l'azione pastorale di Giovanni Paolo II. Dieci anni fa, nella Centesimus
annus, il Papa delineava la necessità e l'urgenza di una grande opera educativa e
culturale per modificare abitudini e stili di vita sia dei consumatori sia dei produttori.
In questa direzione spingono oggi le cose. L'appuntamento di Genova farà fare un
ulteriore passo in avanti verso la globalizzazione della solidarietà, almeno a livello di
coscienza pubblica. È molto importante e non è poca cosa, perché la questione di fondo
è quella di un cambiamento culturale. Questione complessa, che richiede tempi lunghi.
Auspichiamo poi una certa audacia nelle decisioni dei Governi, che dia speranza ai più
poveri.
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Mimmo Muolo
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