La Repubblica 17 luglio 2001

"Torna la strategia della tensione"
Il Genoa Social Forum: una provocazione contro il movimento

ANAIS GINORI


GENOVA - «Non è una bomba contro il G8, è una bomba contro di noi». Sono da poco passate le undici, la mattinata è densa di nuvole e sospetti. Nelle aule della scuola Diaz, l'istituto a Levante trasformato nella cittadella dei contestatori, è già tempo di brutti interrogativi. Squillano i telefonini, si cercano aggiornamenti ufficiali, rassicurazioni sotto banco. C'è una strana assemblea di ideologie e storie in questa scuola elementare sotto shock. I primi militanti stranieri non capiscono cos'è successo: una bomba? Ma il G8 non è ancora cominciato giusto? Gli italiani sono abituati a dare risposte. «E' la strategia del terrore» dicono giovani e non del movimento. Ambientalisti, cattolici, comunisti, sindacalisti: sono tutti d'accordo nell'individuare il movente di quel paccobomba recapitato al giovane carabiniere. Lo dice in modo esplicito Vittorio Agnoletto, l'ex scout scelto come portavoce del Genoa Social Forum: «E' l'avvio di una nuova strategia della tensione, una provocazione gravissima contro un movimento di massa».
La lunga vigilia del vertice inizia nel modo peggiore. In serata i toni sono ancora più angosciati. Accanto allo stadio Carlini, dove c'è il grande accampamento delle Tute bianche, viene trovato un altro ordigno pronto ad esplodere. Agnoletto è furente: «Forse sarebbe meglio che i servizi segreti, anziché bloccare coloro che cercano di andare a manifestare pacificamente, facessero il loro lavoro per evitare attentati e provocazioni di questo tipo». «E' incredibile - aggiunge - che in una città in cui non si possono fare cinque passi senza essere controllati, dove ci sono migliaia e migliaia di uomini dei servizi segreti di sette nazioni, possano circolare invece due bombe in un giorno». Luca Casarini, portavoce delle Tute bianche del Nordest, profetizza: «Questa bomba esploderà nelle loro mani. E' un tentativo di fermare la moltitudine che sta arrivando a Genova. Noi comunque non ci fermeremo, la società civile ha imparato a riconoscere e distinguere i colpevoli»
Doveva essere il primo giorno del public forum, ieri: un palcoscenico preparato da mesi per le idee del movimento. E invece succede che in una sala si discute di povertà e debito del Terzo Mondo, e nell'altra si fronteggia l'emergenza. Prima le telefonate con amici e parenti preoccupati, poi le prese di posizione. «L'unica risposta valida, come nel passato, è la partecipazione di massa e democratica. Bisogna invadere Genova». Il grosso degli arrivi è previsto già domani, quando ci sarà il concerto di Manu Chao. Ventotto treni speciali sono stati prenotati per trasportare 25mila manifestanti e la stazione di Brignole - questa è forse l'unica buona notizia di ieri - sarà aperta per loro.
«Voi G8, noi 6miliardi» è scritto sui poster del Genoa Social Forum. Walden Bello, economista thailandese che coordina l'osservatorio Global South, ricorda: «Da Genova è salpato Cristoforo Colombo, che ha segnato l'inizio del colonialismo capitalista. Sette secoli dopo, parte la rivolta contro questo sistema». Il francese Christophe Aguiton è invece preoccupato da problemi pratici. Il dirigente di Attac, l'associazione antiliberista che conta oltre 30mila iscritti, fa i conti: «Dall'estero sono attesi altri 15mila manifestanti. Ma in Germania e Francia i governi ostacolano in tutti i modi le partenze. E' chiaro che la logica per bloccare il movimento segue un doppio binario: chiudere stazioni, frontiere, città. E fumentare il terrore». Anche il presidente nazionale dell'Arci, Tom Benetollo, teme che il pacco bomba provochi un innalzamento della tensione e «guasti profondi» nel movimento.
Il passaparola per chi è già in città, e cerca ancora sistemazioni tra case, campeggi e spiagge, è: nervi saldi. «Manteniamo la calma» raccomanda Ermete Realacci, presidente di Legambiente. Ketty, una studentessa canadese che ha partecipato agli scontri di Quebec City, non ha paura. «Questa atmosfera è fantastica. Significa che stiamo dentro alla lotta giusta». Impavido anche Tom Behan, militante di Globalise Resistance, il gruppo inglese che ha organizzato il treno di ultrà della protesta da Dover a Ventimiglia. «Tendono a criminalizzare il movimento ma non ci spaventiamo. Il Times ha detto che siamo anarchici anche se non è vero. Certo - ammette - , ci sono quelli duri, ma anche i padri di famigli, i disoccupati». Nel cortile un ragazzo di Napoli parla uno spagnolo maccheronico, racconta degli anni Settanta, dei servizi deviati, consiglia un libro di Toni Negri. Sta cercando di spiegare a un amico di Barcellona cos'è stata la strategia della tensione in Italia. Conclude: vuelve, è tornata.