La Regione Ticino 18 luglio 2001
Poveri nella terra dell'oro
Vita e rivendicazioni dei "güiriseros", eredi di una tradizione che rimonta all'epoca precolombiana
I minatori artigianali del Nicaragua in lotta per la sopravvivenza e contro l'esclusione sociale

Accovacciato su di un sasso, Enecón Martínez Matamoros sembra non soffrire l'impietoso sole che castiga i pomeriggi dell'estate nicaraguense. Porta una camicia stretta, pantaloni rattoppati e scarponcini che ormai non trattengono più le dita dei piedi. Da sotto la falda del cappellino spunta un solo occhio, l'unico rimastogli dopo che da giovane un chiodo gli tolse metà della vista. Don Enecón osserva un gruppo di bambini e adolescenti che con un martello ripuliscono, frantumano e selezionano le pietre dalle quali, se saranno fortunati, ricaveranno qualche grammo d'oro. Parla, dà consigli e ascolta con l'autorevole saggezza dei suoi 70 anni e rotti, quasi tutti passati sotto terra a cercare oro. «A volte entra ancora nei tunnel. Lo deve fare per forza. Se non porta soldi a casa la moglie lo caccia», dice ridendo il suo amico Luís Laguna Silva. I due anziani minatori della comunità di Santa Cruz de la India (conosciuta come Mina La India, municipio di Santa Rosa del Peñón, 90 chilometri a nord di Managua) lavorano assieme da quando erano bambini: dapprima per una multinazionale canadese che sfruttò i giacimenti auriferi dagli anni '30 alla fine degli anni '50, poi come "güiriseros", minatori che vivono di un'attività famigliare e artigianale - la "güirisería" - le cui origini rimontano all'epoca preispanica. Don Luís e don Enecón sono fra i pochi superstiti della generazione che cominciò a lavorare con i "gringos", decimata dalla silicosi, dalla tubercolosi e dagli incidenti. Mentre sudano le ultime occasionali fatiche, nelle viscere delle stesse montagne i loro nipoti e bisnipoti apprendono i segreti della "güirisería", o della vita, che per molti di essi saranno la stessa cosa. «é inutile, qui uno nasce e muore lavorando», dice don Luís. Una vita, un lavoro Juan Mauricio Ogama è appena emerso da uno dei tre pozzi che fungono da entrate alla miniera, scavati sul fianco di una collina. Quindici metri più in basso si dipartono chilometri di gallerie che portano alle vene aurifere ancora sfruttate. «Ieri notte alle due siamo usciti a bere un caffè - racconta ai suoi compagni -. Cinque minuti dopo è caduta una frana che ha bloccato il tunnel. Per poco non restavamo seppelliti». I pozzi e una parte della rete sotterranea sono puntellati con pali di legno che dovrebbero evitare cedimenti. é l'unica misura di sicurezza. Per il resto, i "güiriseros" sono inermi di fronte ai pericoli sotterranei. Affrontano buio, calore, polvere e frane sprovvisti di caschi, lampade adeguate, stivali e mascherine. I loro unici attrezzi sono un martello e un puntello con i quali frantumano la roccia ricavandone la "broza", pietra grezza ricoperta di fango che viene poi ripulita, ridotta e scelta in superficie. Nelle gallerie, che secondo don Luís «raggiungono gli 800 metri di profondità», si lavora giorno e notte, a turni di otto ore circa. In genere, adulti e adolescenti si dedicano soprattutto a ricavare la "broza" dalle pareti della galleria e al lavoro di pulizia e di selezione in superficie. I bambini, invece, riforniscono di acqua e cibo gli adulti che lavorano la notte e trasportano la "broza" all'esterno. Quale contropartita, ricevono dagli adulti il permesso di selezionare una parte delle pietre estratte. Ma i compiti si confondono. «I bambini non hanno paura. Con candela, martello e puntello spesso si spingono nelle gallerie più strette a cercare la "broza"», spiega don Luís. Il villaggio di Mina La India si trova a un chilometro dalla miniera, ai bordi della strada che collega l'altipiano centrosettentrionale del Nicaragua e la zona bassa del Pacifico. La stradina sterrata che scende dalla zona delle gallerie è un salto indietro nel tempo. Sui due lati ci sono pezzi di mulini arrugginiti e le fondamenta degli edifici sorti durante l'epoca dei "gringos": il ristorante, lo spaccio dove gli operai erano obbligati a fare i loro acquisti, il centro sociale, una fabbrica di ghiaccio. Le case di mattoni di argilla e tetti di tegole si trovano oltre il letto di un fiume prosciugato. Nei loro ampi e polverosi cortili si svolge la seconda parte del lavoro dei "güiriseros". Qui, le pietre con i filamenti d'oro vengono ulteriormente ridotte con un martello e poi triturate in una sorta di mortaio con l'aggiunta di acqua e mercurio, necessario per amalgamare l'oro. «Nel procedimento non usiamo più il cianuro come facevamo fino a pochi anni fa. é troppo pericoloso per i bambini», dice Andrés Vilcher. Seduti su dei sassi, la moglie e i cinque figli frantumano le pietre con martelli e oggetti di fortuna. In tre giorni possono ricavare fino a due grammi di oro che gli intermediari comprano a poco più di cento cordobas (circa tredici franchi) per rivenderli principalmente ai gioiellieri della città di León. Come i Vilcher, centinaia di intere famiglie di "güiriseros" di Mina La India sono impegnate nella macina. Seduto all'ombra di un albero, Cayetano Matamoros muove con fatica i due manici di legno che fanno girare la pesante pietra arrotondata con la quale vengono triturati i frammenti di pietra. «Si stanca subito. Macina un po' e si riposa per qualche ora. Poi riprende», dice sua moglie aggiungendo che «ha 95 anni e non ha fatto altro in tutta la sua vita». Nel cortile all'altro lato della strada, Mileidy Torres fa la stessa cosa. Ha 16 anni ed è "güirisera" da quando ne aveva nove. La sorella e i suoi due fratelli macinano lì vicino. Uno di loro, Jacob Manuel, 14 anni, dice che questo è il suo lavoro e ammette che nelle gallerie lui ci va, «ma solo per conoscere: non prendo la "broza"». "Ogni famiglia è una microimpresa" Nell'ufficio della Comisión coordinadora de atención a la niñez (Ccan-León, Commissione coordinatrice di assistenza all'infanzia) di cui è direttore esecutivo, Carlos Adan Chevez fuma nervosamente una sigaretta. Non nasconde la sua frustrazione quando parla del lavoro minorile nelle miniere d'oro: «é difficile quantificare il numero di bambini che vi lavorano, e non sappiamo neppure con precisione quanti bambini lavorano nei campi o come venditori per le strade di León. Spesso - prosegue - il lavoro che fanno è occulto. Nelle comunità di "güiriseros" i principali datori di lavoro sono i loro genitori. Lì ogni famiglia è una microimpresa. Così i bambini vanno sempre meno a scuola e il ciclo dell'estrema povertà si ripete». Oltre che a Mina La India, nell'occidente del paese bambini e adolescenti "güiriseros" danno una mano alle loro famiglie a Santa Rosa del Peñón e a Villanueva, nel dipartimento di Chinandega. La "güirisería" ha una lunga tradizione anche nel cosiddetto triangolo minerario di Siuna-Bonanza-Rosita, nella Región Autónoma del Atlantico Norte (Raan, Regione autonoma dell'Atlantico nord). I piccoli delle miniere d'oro sono una minima parte degli oltre 300mila minori di 14 anni sfruttati in Nicaragua in lavori aberranti, obbligati alla prostituzione, alla delinquenza o costretti ad occupazioni rischiose quali la pesca delle aragoste in mare aperto, la raccolta delle banane o, appunto, l'estrazione e la lavorazione artigianali dell'oro (El Nuevo Diario, 8 aprile 2001). Poco più di tre anni fa il Ministero del lavoro ha avviato con alcune organizzazioni non governative un programma di sradicamento del lavoro minorile che, nonostante alcuni successi puntuali, non può incidere sull'estrema povertà da cui deriva lo sfruttamento di bambini e adolescenti. «Noi possiamo andare a togliere i bambini dai campi - spiega Luís Benavides, delegato del Ministero del lavoro per il dipartimento di León - e lo abbiamo anche fatto, però non basta. Si tratta di dare una risposta integrale al problema del lavoro minorile trovando delle alternative per i genitori che li obbligano a lavorare». (1 - continua)