Manifesto 13 luglio 2001 L'uragano
Tango
Argentina, tagliati salari pubblici e
pensioni. Crolla la Borsa, effetti globali
R. ZAN.
L'Argentina è entrata nell'occhio del ciclone. Dopo un'asta di buoni in
cui il Tesoro è stato costretto a concedere il 16% in tre mesi pur di ottenere un po' di
liquidi (un tasso da cravattari: in Italia chi offrisse denaro a quel prezzo finirebbe in
galera), il superministro dell'economia Domingo Cavallo ha annunciato una serie di misure
per azzerare il deficit di bilancio, il settimo e più tremendo ajuste in due anni:
fino a nuovo ordine i salari dei dipendenti pubblici, le forniture allo stato e le
pensioni saranno pagate solo se entrano abbastanza tasse, mentre il debito finanziario
verrà invece pagato puntualmente.
E la Borsa è saltata in aria, il peso è andato sotto la parità fissa con il dollaro,
miliardi di dollari sono usciti in poche dal sistema economico sotto forma di dismissioni
azionarie e ritiro di depositi. Il governo (il pallidissimo centrosinistra guidato da
Fernando De la Rua) è stato costretto a smentire le dimissioni del superministro Cavallo,
mentre il real brasiliano e le borse di tutto il mondo risentivano del tonfo argentino.
L'incubo dell'effetto Tequila, il passato crollo del peso messicano, è ancora ben vivo.
L'altra sera, a mercati chiusi e dopo molti rinvii, il presidente De la Rua ha chiesto
agli argentini "uno sforzo patriottico" e Cavallo ha illustrato le proporzioni
dello sforzo. Lo pagheranno, come spesso accade i lavoratori: chi lavora o riceve pensioni
dallo stato potrebbe vedersi tagliare il reddito del dieci per cento, mentre chi riceve
rendite finanziarie (sotto forma di buoni del tesoro) non sarà toccato. Tra questi ultimi
ci sono risparmiatori "normali", famiglie e anziani, e migliaia di speculatori
di ogni ordine, grado e nazionalità. Come una vacca sacra in India, ha scritto un
commentatore di Pagina 12, il settore finanziario non sarà toccato nemmeno se gli
argentini morissero di fame. E nemmeno la parità fissa tra il peso e il dollaro, dogma
finanziario di Domingo Cavallo durante i precedenti governi peronisti, costato lacrime e
sangue a tutti gli argentini. Lacrime e sangue inutili, dal momento che in tre anni la
recessione ha bruciato ogni effetto benefico della fine della super-svalutazione (a questo
serviva la parità fissa) e persino il Fondo monetario internazionale ha cominciato a
mettere in dubbio i prossimi prestiti al dissestato paese sudamericano. Perché tagliare i
salari ai dipendenti pubblici è una schifezza ma per il Fmi sarebbe meglio licenziarne
venti o trentamila ("riforma strutturale", che diamine, invece di misure
contingenti), e in una recente riunione della Federal reserve americana è stata fatta
trapelare la voce che per difendere il dollaro sarebbe meglio far abbandonare
all'Argentina il cambio fisso, o almeno modificare il rapporto di cambio. L'altare a cui
tutto è stato sacrificato (con la disoccupazione al 16%, i salari tagliati e tariffe
elevatissime per ogni fornitura) potrebbe essere smantellato e riportato a casa, negli
Stati uniti.
E l'Argentina, che si arrangi. Ha già venduto tutto ciò che c'era da vendere nelle
privatizzazioni selvagge del menemismo, se tutto va male sarà sepolta di ricorsi
giudiziari che arriveranno da dipendenti e fornitori non pagati, terremoterà un po' di
paesi e di monete poco stabili, sarà colonizzata una volta per tutte dagli economisti del
Fmi. E non riuscirà nemmeno a liberarsi del genio malefico che l'ha trascinata a questo
punto, Domingo Cavallo (il quale l'altro giorno era in Italia da Berlusconi, che gli ha
promesso aiuti: meglio che si sbrighi). Al momento di assumere i superpoteri economici,
Cavallo chiese che gli fossero concesse alcune cose. Il parlamento argentino ne rifiutò
all'unanimità una sola: mettere gli introiti fiscali a garanzia del pagamento del debito.
E' più o meno ciò che è successo ora.
E il paese sta sballando. I governatori argentini, che hanno molti poteri, non vogliono
essere obbligati a seguire la stessa impopolare strada. Qualcuno ha già deciso di pagare
fette di stipendi in buoni del tesoro statali. La provincia di Buenos Aires ne ha lanciato
uno di nuovo conio. Si chiama "Patacon". Un nome, un programma.
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