La Stampa 17 luglio 2001
PROVVISTE IN FRIGO E SCURI ALLE
FINESTRE: «LA PAURA E’ IL TERRORISMO»
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«Per noi è vigilia. Di guerra»
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Vivere nell’area proibita, con i
cecchini sul tetto
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GENOVA
SONO uscito con Ricky, il mio cane, stamane alle 7,20. Ma non sono arrivato fino ai
giardini, mi sono dovuto fermare perché le squadre erano già al lavoro per sistemare le
barriere. Ho fatto un giro ridotto, con Ricky che tirava per proseguire. Piano piano i
muri sono cresciuti dappertutto. In serata è rimasto un unico varco, non so che cosa
troverò domattina, non ho idea del percorso che dovrò seguire per uscire dall’assedio».
Gabriele Baldi, architetto cinquantenne con moglie arredatrice e figlio che ha appena
superato brillantemente la terza media, abita in salita San Matteo, dove la zona rossa sta
per scolorarsi in quella gialla, un confine inventato ma reso ben reale da un muro di
metallo, pannelli elettrosaldati alti cinque metri.
Qual è stata la prima sensazione?
«La vigilia dello scoppio di una guerra. Io non ho vissuto gli anni dei bombardamenti, ma
mia madre mi raccontava delle finestre oscurate con i cartoni, della paura, del senso dell’attesa.
Ecco, il senso dell’attesa è il sentimento più forte in questo momento. Mi sembra
di essere sospeso nell’attimo immediatamente precedente a una battaglia. La
militarizzazione, ma soprattutto il clima di tensione fa questo effetto. Alcuni miei
conoscenti hanno i tiratori scelti in casa, o appostati sul tetto del palazzo. E se mia
madre durante la guerra metteva i cartoni alle finestre, qui da noi tutti hanno coperto
vetrine e porte dei negozi con il compensato».
Anche lei?
«Sì. Ieri ero in coda davanti alla falegnameria di vico Neve. E’ una bottega
artigiana che ha venduto in due giorni l’equivalente di un mese ed è rimasta senza
nemmeno una tavola».
Suo figlio esce come prima?
«No, preferisce stare in casa. Tutto questo lo spaventa, o quanto meno lo mette a
disagio. Anch’io preferisco così».
Come vi siete organizzati?
«Abbiamo fatto provviste, come tutti, riempendo frigo e dispensa. Siamo andati in
spedizione a un supermercato. Un mio amico, proprietario di un ristorante, ha ricevuto una
telefonata dall’Ascom, l’associazione commercianti, che chiedeva se sarebbe
rimasto aperto. Ha fatto una risata e ha detto: che gli do ai clienti, scatolette e
fagioli? Qui le scorte cominciano a scarseggiare. I negozi di alimentari in via dei
Macelli sono già chiusi. Bisogna uscire dalla zona rossa per andare a cercare la carne. E
prima di chiudere la porta di casa è bene ricordarsi di avere in tasca i documenti di
identità».
I controlli sono frequenti?
«Può capitare di essere fermati quattro o cinque volte. Oggi sono stato bloccato in
piazza Campetto dove stavano verificando una macchina sospetta. Però ho spiegato che
stavo tornando a casa, sempre con Ricky, e mi hanno lasciato passare, dopo aver
controllato con estrema attenzione la carta d’identità».
Lei ha paura?
«Chiamiamola piuttosto una forte inquietudine. Ma non mi preoccupano eventuali scontri o
azioni delle tute bianche, qualche spintone o carica o vetrine spaccate. Qui si teme il
terrorismo, e il timore oggi ha avuto la drammatica conferma di due bombe e un ferito. A
questo punto nessuno può escludere il rischio di un’azione che arrivi da lontano, un
ordigno potente per colpire passanti inconsapevoli. E’ un momento di grande
visibilità, le organizzazioni internazionali potrebbero approfittarne».
Questi controlli in un certo senso la fanno sentire sicuro?
«No, perché i terroristi possono essere già qui con armi ed esplosivi nascosti magari
nella casa accanto alla mia».
Lei resterà fino a domenica?
«No. Penso di andare via. Se riuscirò in qualche modo a raggiungere la macchina,
posteggiata in zona gialla. Non so ancora da che parte potrò uscire».
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