Corriere della sera 19 luglio 2001
Lantica
voglia di «stare dentro» il movimento
- «Bisogna stare nel movimento», sostengono i diessini a mo di spiegazione
della loro partenza last minute per Genova. E, a sentire riecheggiare questa
massima antica, chi ha conosciuto il Pci, e da un pezzo non è più un ragazzo, quasi
quasi si commuove e si sente ringiovanire. Correva lanno 1968, e ancora nessuno
immaginava che sarebbe passato alla storia come un anno fatidico, quando, a primavera,
Luigi Longo, il comandante Gallo, il vecchio e temprato dirigente succeduto a Palmiro
Togliatti alla guida del partito, fece un incontro nella sede di Rinascita . Erano
alcuni dirigenti di primissimo piano del movimento studentesco romano, che il Pci lo
contestavano, e aspramente, da sinistra. Un vertice segreto? Macché: lo stesso Longo si
affrettò a scriverne sul settimanale, per sottolineare come e perché, per quanto aspre
potessero essere le polemiche e le divergenze, quello degli studenti era un movimento
anticapitalistico, amico della classe operaia, e i comunisti non potevano, appunto, che
starci dentro.
Non erano tempi in cui si potesse contestare il segretario generale. Ma le parole di Longo
provocarono un putiferio, anche perché mancavano poche settimane alle elezioni politiche.
Si entusiasmò la sinistra di Pietro Ingrao, si sentirono confortati gli universitari
comunisti, prese la palla al balzo lancor giovane Achille Occhetto, che dirigeva la
propaganda elettorale. Protestò, invece, eccome, la destra del partito. E il più duro di
tutti fu Giorgio Amendola. Lenin alla mano, teorizzò, sempre su Rinascita , la
«necessità della lotta su due fronti»: contro l«opportunismo
socialdemocratico», ci mancherebbe, ma anche, e soprattutto, contro lestremismo
che, giurava Giorgione, restava «la malattia infantile del comunismo», un pericolo
mortale.
Le elezioni del 19 maggio diedero ragione a Longo. Il Pci andò avanti, non perse voti a
destra, ne guadagnò a sinistra, tutto allopposto dei cugini francesi, che invece
sul Maggio avevano sparato a zero, anche nel timore che la rivolta studentesca contagiasse
gli operai. In cambio lItalia si ebbe, nel bene e nel male, il più lungo
Sessantotto che il mondo abbia conosciuto. E comparvero pure nuovi movimenti, molto più
spurii, molto più contraddittori, che almeno allapparenza il Sessantotto degli
studenti e degli operai lo avevano in gran dispetto. Si poteva cercare di «stare dentro»
pure a quelli? A sinistra, soprattutto nella sinistra estrema, cera chi pensava di
sì.
I moti di Reggio Calabria, nonostante a guidarli fosse un capataz missino locale, Ciccio
Franco, parvero a Lotta Continua una buona premessa per incendiare tutto il Mezzogiorno:
nacque anche un settimanale, Mo che il tempo si avvicina . I comunisti no,
stabilirono che, nonostante gli indubbi consensi popolari, si trattava di movimenti
reazionari. A Reggio cè ancora chi ricorda Ingrao arringare poche centinaia di
militanti nel quartiere di Sbarre, difeso dai compagni della vigilanza in armi: e a
chiudere il capitolo della rivolta provvide una gigantesca manifestazione nazionale dei
metalmeccanici, che allepoca sembravano qualcosa di simile allo spirito del mondo a
cavallo.
Altri tempi. I comunisti facevano ancora i conti con quel che restava del Sessantotto e
già nella società italiana cerano, in incubazione, rotture nuove e largamente
impreviste. La più clamorosa si chiamò Settantasette, e si manifestò giusto un anno
dopo la più clamorosa avanzata elettorale comunista nella storia repubblicana, con il Pci
a metà del guado tra una trentennale opposizione e una prospettiva di ingresso al governo
considerata ormai imminente. Tra il Pci e il Settantasette fu guerra mortale, anche, ma
non soltanto, per via del «partito armato» e del terrorismo diffuso: come scrisse
Alberto Asor Rosa, a fronteggiarsi erano addirittura «due società». Ma, anche dopo lesplosione
della guerra con la cacciata di Luciano Lama dalluniversità di Roma, non mancarono
i tentativi, se non proprio di «stare dentro» al movimento, quanto meno di non tagliare
tutti i ponti. E, curiosamente, il tentativo più importante lo fece Massimo DAlema,
da poco divenuto segretario della Federazione giovanile comunista, grazie pure allapporto
di Ferdinando Adornato, allepoca direttore del settimanale della Fgci La città
futura .
Altri tempi. «Stare dentro» al Sessantotto significò contribuire in misura determinante
a dare un segno politico, culturale, persino di costume ai decenni successivi, «stare
fuori» dal Settantasette, o più precisamente stargli contro, pure. Nessun rimpianto,
nessuna nostalgia. Ma i contrasti che quello «stare dentro» e quello «stare fuori»
suscitarono, seppure in un partito retto secondo le regole del centralismo democratico,
furono aspri e aperti.
Non ce la sentiremmo, in tutta onestà, di fare ragionamenti analoghi sulla decisione,
vagamente surreale, dei reggenti diessini di aderire alla contestazione al G8 e sulle
polemiche interne che a questa decisione hanno fatto seguito. Anche perché non abbiamo la
minima idea di quali siano la prospettiva strategica, la natura e lidentità di un
partito che, senza offrire alcuna ragionevole spiegazione in materia, si appella dallopposizione
ai suoi militanti perché contestino un appuntamento che, dal governo, ha fortissimamente
voluto. Non è vero che un partito riformista non possa, pena la ricaduta nel
massimalismo, confrontarsi criticamente con la globalizzazione, con i conflitti che questa
determina, con i movimenti, anche antagonistici, che suscita: questo, anzi, è un suo
dovere. Ma pensare di cavarsela facendo il verso a questi movimenti, e immaginare di
riuscire a trovare la via per «starci dentro» come se niente fosse stato e niente fosse,
magari nella speranza un po patetica di recuperare in extremis qualche
consenso, sembra il segno di una leggerezza politica così insostenibile da fare anche un
po paura. Se fossero giorni buoni per scherzare, verrebbe persino da dire: ridateci
il Pci.
|
Paolo
Franchi |
|
|