La Repubblica 6 agosto 2001

L'ABDICAZIONE
DEL PAESE
NORMALE

quando
abdica
il paese
normale

di ANTONIO POLITO


CHI come noi ha provato pena e dolore per le devastazioni subite dai cittadini di Genova, per la distruzione di proprietà privata, e per l'offesa arrecata dai picchiatori di entrambi i fronti al principio costituzionale della libertà di manifestare il proprio pensiero, non può non temere che la stessa sorte tocchi ai cittadini di Roma, il prossimo novembre.
Meglio non farsi illusioni sulla logica dei contestatori violenti: chi crede che il vertice del G8 affami il mondo non farà sconti al vertice della Fao contro la fame nel mondo. Il disastro di Genova ha esposto il petto dell'Italia in prima linea. Chiunque voglia cercare vendetta e rivincita, tenterà di colpirla al cuore. La preoccupazione è dunque legittima e perfino doverosa. Il modo in cui l'Italia la sta affrontando è invece codardo e deprimente.
C'è tutto Berlusconi, la sua carenza di "statemanship", nella battuta con cui ha tentato di respingere l'amaro calice dei doveri internazionali del nostro paese, ospite della Fao da 50 anni e regolare organizzatore delle sue riunioni: "Abbiamo già dato, se lo facciano in Africa". Ovviamente, siamo pronti a pagare per l'incomodo, come il premier era pronto a pagare di tasca sua le vacanze al carabiniere ferito da un pacco-bomba a Genova. In fondo, che cosa sono questi vertici? Un modo di andare in prima pagina, per il G8 il gioco valeva anche la candela, con tutti quei Bush e Blair a cui dare pacche sulle spalle. Ma la Fao, chi volete che se ne importi, affollata com'è di paesi (181, non otto), di cui lo spettatore medio dei tg non sa nemmeno dove diavolo siano sulla carta geografica?

Si parla di morti di fame? E allora se ne vadano a Nairobi, o a Dakar, o al Cairo. Badate bene: nessuno è andato a chiedere al Kenya o al Senegal o all'Egitto se per caso hanno interesse ad ospitare loro il summit. Se la proposta venisse da loro, o se fosse una risposta concordata della comunità internazionale all'incredibile assedio cui è costretta, avrebbe ben altra forza morale e politica. Forse ci penserà la scaltrezza diplomatica di Ruggiero a cercare questa via d'uscita.
Ma, per ora, abbiamo solo fatto la figura di chi vuole scaricare un treno di rifiuti in una discarica lontana da casa. Berlusconi ha definito un successo il vertice del G8 perché capace di occuparsi di quelli che, in diretta tv, ha definito gli «inconvenienti» della globalizzazione: la fame e le malattie.
Perché allora non vuole ospitare oggi un incontro che cerca di ridurre la cifra di ottocento milioni di esseri umani denutriti a un ritmo di venti milioni all'anno, invece degli otto attuali? Il perché è presto detto: l'Italia non si ritiene in grado di assicurare l'ordine pubblico. Bisogna citare Intini per tradurre il significato politico implicito di tale affermazione: «Questa è la certificazione che l'Italia non è più un normale paese europeo». Ben più della decapitazione dei vertici della polizia - tranne il vertice dei vertici, chissà perché - il rifiuto della riunione Fao sancirebbe uno stato di inagibilità democratica del territorio italiano. Non siamo capaci di ospitare vertici internazionali, non siamo capaci di ospitare manifestanti pacifici, non siamo capaci di arrestare i comportamenti illegali di massa. Eppure Ciampi ci ha appena detto che l'Italia ha fiducia nelle sue forze di polizia. Possibile che siano cadute così in basso? Dobbiamo dunque chiudere le frontiere a ogni attività internazionale, e magari sospendere la rotazione del semestre di presidenza europea quando - ben presto - toccherà a noi?
Purtroppo, di fronte a una destra che non sa fare la destra, garantendo «law and order» senza ricorrere al Bava Beccaris (e pensare che c'è ancora in Italia chi pensa che Berlusconi abbia la virilità politica di una Thatcher), c'è una sinistra che ha smarrito il suo senso dello Stato insieme alle auto blu ministeriali. Pronta a marciare contro il G8 che lei stessa aveva organizzato, lesta a disertare quando il gioco si è fatto duro, eccola qui di nuovo a rosolarsi nei suoi distinguo: la Fao non è il G8, la Fao è politicamente corretta il G8 no, la Fao è buona il G8 è cattivo. Pur di fare lo sgambetto al governo, dimentica spensieratamente che il G8 era legittimo quanto il vertice della Fao, e che aver contestato il primo la rende poco credibile nel difendere il secondo. Una sinistra «no global» è una tale contraddizione in termini da finire in imbuti logici anche peggiori. Già Pecoraro Scanio chiede lo spostamento delle riunioni Nato previste a Napoli a settembre, perché si occupano di scudo stellare.
L'irresponsabilità istituzionale, con tali esempi al governo e in parlamento, scende per li rami. E così un sindacalista dell'Arma ci avverte che «con questo clima manca la necessaria serenità». Che cos'è: un avvertimento, una minaccia, un'insubordinazione? E perché mai gli antiglobal non annunciano unanimi e decisi che non faranno neanche un sitin contro il vertice della Fao, perché vuole ciò che essi stessi dicono di volere? Noi italiani abbiamo una deplorevole tendenza a indulgere al masochismo e all'autoflagellazione. L'ultima prova ne è un appello di connazionali residenti all'estero, già sul sito della Bbc e presto su tutti i giornali europei, che descrive un'Italia sull'orlo del regime autoritario e violatrice sistematica dello Stato di diritto, naturalmente senza sprecare una parola sulla causa prima del disastro di Genova: la violenza di piazza. Ma la voglia di alzare la voce in difesa della patria vilipesa e contro la facile esterofilia spesso si scontra con il sabotaggio interno dell'onore nazionale.
Saranno forse un po' troppo intrise di hegelismo e di teorie dello stato etico, ma le parole del ministro degli interni tedesco Schily - socialdemocratico - apparivano ieri più appropriate di tanta ipocrisia nostrana alla dignità di un grande paese democratico quale siamo e intendiamo continuare a essere: «Uno Stato non deve mai tirarsi indietro, mai perdere il monopolio dell'uso della forza e la legittimità necessarie per garantire un vertice internazionale».