Corriere della sera 3 agosto 2001

 

La Barbera: accetto se serve allo Stato

Il capo dell’Antiterrorismo dopo il «verdetto». Andreassi richiamato d’urgenza dalla vacanza

ROMA - È tornato nella sua stanza e si è seduto dietro alla scrivania. Ha spento la sigaretta e ne ha accesa, nervosamente, un’altra. Poi ha guardato fuori dalla finestra. Il panorama non è granché. Il marmo grigio del ministero, certi tetti rossi, grondaie con piccioni a riposo. Stava tramontando sul Viminale. Arnaldo La Barbera fa lo sbirro da troppi anni per essere sentimentale. Ma certo c’era qualcosa di scenografico, e di metaforico. Se l’è detto con un filo di voce: «Accetto, se serve allo Stato...». La persona che stava in piedi sulla porta, ha capito che era opportuno uscire. «Capo, se ha bisogno...». Voce tremante, occhi lucidi. Come molti altri poliziotti in Italia, quando avranno saputo.
Per generazioni di investigatori, l’ormai ex capo dell’Ucigos Arnaldo La Barbera è, e probabilmente resterà, una specie di leggenda. Gira voce che il ministro dell’Interno, Claudio Scajola, abbia per questo usato parole diplomatiche, e forse affettuose, e perfino piene di rammarico. Ma poi è stato inevitabile dirgli che avevano deciso di destinarlo «ad altro incarico, per agevolare le indagini della magistratura su...».
Che poi, lui, La Barbera, ha almeno avuto il piccolo privilegio di poter guardare negli occhi chi gli parlava. Per Ansoino Andreassi, 61 anni, un poliziotto di quelli che possono raccontare interi pezzi di storia eversiva del Paese, a cominciare dal rapimento di Aldo Moro, e attualmente vicecapo della polizia incaricato dal Consiglio dei ministri di supervisionare l’organizzazione dell’ordine pubblico a Genova, c’è stata invece una telefonata. Era in vacanza. Ce l’avevano mandato, e con due giorni di anticipo. «Stai tranquillo...». Lo hanno richiamato d’urgenza a Roma.
Arnaldo La Barbera ha preferito attendere la conclusione del Consiglio dei ministri nel suo studio. L’intuito gli diceva che a Palazzo Chigi avrebbero deciso anche per lui. Intuito, fiuto del pericolo, mestiere. Due pacchetti di sigarette e la camicia Brooks Brother’s slacciata per allentare la cravatta. Pomeriggio torrido, anche se ha tenuto, come sempre, sotto l’ascella, la fondina con la sua 357 magnum. «Più che una pistola - dice - una cara amica».
Girava con lei, solo con lei, e senza scorta, anche a Palermo. Ci arrivò a 45 anni, per dirigere la squadra Mobile che già gli avevano chiesto di riorganizzare nel 1985, dopo che Cosa Nostra aveva giustiziato Beppe Montana, il capo della sezione catturandi, e il vice-questore Ninnì Cassarà. Non casualmente, il giudice Giovanni Falcone si fidava solo di lui. «Chiamatemi subito Arnaldo...».
L’ha detto ieri, con metafora indovinata, un suo amico: «Se lo puniscono e lo fanno fuori, fanno fuori il "113" della polizia. Perché il Viminale è a lui, è a La Barbera che chiama quando ha qualche problema». Come quando gli viene affidata la direzione del gruppo di investigatori incaricati di trovare i killer di Capaci e di via D’Amelio. O come quando, nel ’94, diventa questore di Palermo. Poi va a Napoli, e poi a Roma. Dove viene accolto come un mito vivente, con il soprannome di «John Wayne» e con decine di agenti che non osano farsi raccontare di quella volta che, a Palermo, mentre era nella sauna del centro estetico «Franco e Enzo», stese un rapinatore sparandogli da sotto l’asciugamano.
Uno abituato ad affrontare, decidere, a non bussare mai, ieri sera alle undici aspettava - stanco, la faccia segnata, un mozzicone fumante tra le labbra - nella stanza di Gianni De Gennaro, il capo della polizia, e suo grande e fidato amico. De Gennaro stava parlando con il ministro e lui, La Barbera, aspettava. Chissà cosa. Forse ancora un’ultima spiegazione. Forse solo uno sguardo. Attendeva anche Ansoino Andreassi, rientrato dalla vacanza. Qualcuno provava a spiegargli che «non potevano decidere altrimenti, tu sei stato il supervisore di Genova, e sai...». Lui, con il suo tipico tono pacato, non dimesso, semmai distaccato, aggiungeva che era però stato «anche altro».
Capo della sezione antiterrorismo della questura di Roma nel ’78, poi capo dell’Interpol nel 1987, e poi ancora responsabile dell’Ucigos nel ’91. Quindi all’Alto commissariato Antimafia e poi nei Servizi di sicurezza. Arnaldo La Barbera e Ansoino Andreassi. Due poliziotti veramente speciali. Due sbirri da film. Due che poi, nell’ultima scena, si sono però ritrovati a Genova.
Fabrizio Roncone