Manifesto 3 agosto 2001 L'amaro
sapore dello zucchero
TERRATERRA FULVIO GIOANETTO
"Le campagne sono una pentola a pressione che sta per
scoppiare", "Rischi di esplosione sociali per la disperazione degli
agricoltori". Sono i titoli della stampa messicana, che di questi tempi si chiede
sempre più spesso perché non si ponga freno alle importazioni di mais, fruttosio e riso
dagli Usa, ma anche perché i prezzi al consumo delle produzioni agricole sono tanto cari.
Dove e per chi sono i tanto decantati benefici del trattato di libero commercio
Canada-Usa-Messico? Dove il libero scambio di merci e persone, quando ai camionisti
messicani si impedisce con mille pretesti di circolare sulle autostrade statunitensi - e
centinaia di emigranti clandestini messicani sono incarcerati o muoiono sulla frontiera?
La cronaca di queste settimane rimbalza queste domande - non solo in Messico, del resto.
In Costarica, dove il caffè, le banane e l'ecoturismo (30% del territorio è costituito
da aree protette e parchi naturali) sono il motore dell'economia, i prezzi sono crollati
costringendo centinaia di migliaia di produttori a non fare i raccolti: gli costerebbe il
doppio ed i sussidi governativi sono già stati prosciugati dai grandi produttori.
In Honduras, Nicaragua, El Salvador e Guatemala assistiamo ad una tragedia umana ed
ecologica senza precedenti storici. La prolungata siccitá ha già distrutto milioni di
ettari di fagioli, mais e riso, alimenti di base della popolazione, obbligando migliaia di
persone a emigrare verso le cittá per cercare cibo. Mentre in Salvador sono più di 200 i
figli dei contadini uccisi da polmonite, diarrea e malnutrizione, nelle campagne del
Nicaragua in questi ultimi mesi sono morti 116 bambini di meno di cinque anni per carenze
alimentari e diarrea acuta. La scorsa settimana nei parchi della cittá di Matagalpa si
sono concentrate, provenienti dalle province limitrofe, centinaia di famiglie affamate che
hanno perso l'intero raccolto.
Avversitá climatiche, assurdi modelli di sviluppo, disastri ambientali provocati dall'uso
massiccio di prodotti agrochimici... Negli stati agricoli di Sonora e Sinaloa (Messico),
migliaia di produttori di mais hanno bloccato per due settimane tutti i caselli
autostradali (punto nevralgico per i camion refrigerati che trasportano le mercanzie agli
Usa) e i distributori di diesel e benzina delle quattro principali cittá dello stato di
Sinaloa, obbligando il governo centrale a pagargli i sussidi e a ridurre le quote di
importazione (concordate in forza Trattato di libero commercio del Nord America) di mais
di bassa qualitá nutritiva proveniente dagli Usa.
In Chihuahua, di fronte al collasso economico delle loro produzioni agricole, decine di
produttori hanno bloccato per ore il ponte internazionale di Puerto Palomas che comunica
direttamente con Columbus (New Mexico, Usa) per esigere la riduzione del prezzo del
diesel, delle tariffe elettriche per l'irrigazione e, soprattutto, il diritto di
utilizzare l'acqua per annaffiare queste assetate contrade desertiche. Dicono che non
vogliono essere loro a pagare il debito del Messico con gli Usa per il diritto di usare le
acque del Rio Bravo, e che non è giusto che le giá scarse acque fluviali del loro stato
debbano servire per garantire energia alle centrali idroelettriche che svendono energia,
in cambio di dollari, alla ricca e vorace California.
Sulla costa caraibica messicana, in Campeche, centinaia di produttori di riso con le loro
famiglie hanno attaccato pacificamente e svuotato due fabbriche di brillatura del cereale:
tenevano bloccata la loro raccolta di 45.000 tonnellate di riso palay per un debito
bancario, collocandole sul mercato nazionale.Ma la "telenovela" piú incredibile
riguarda i produttori di canna da zucchero, da sempre i piú maltrattati. Centinaia di
coltivatori stanno bloccando gli zuccherifici e il ministero dell'agricoltura messicano
perché chiedono gli siano dati i soldi del precedente raccolto, che gli industriali, con
uno "storno di fondo pubblico" hanno giá speso per coprire i loro debiti e
invertire in hotel, discoteche e ristoranti in Cancun, Los Cabos e Acapulco. La canna
rappresenta per 160.000 famiglie messicane l'unica piccola entrata economica per riuscire
a sopravvivere, in un settore agricolo colpito duramente dalle importazioni massive di
fruttosio di mais dagli Usa.
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