Manifesto 25 luglio 2001

A Genova, ancora
FRANCO CARLINI - GENOVA

Liberata dalla gabbie, fin troppo pulita per essere vera, piazza De Ferrari, a ridosso del palazzo Ducale, è stata infine "inaugurata" per davvero ieri, nel sit-in del Genoa social forum. Nel senso che è tornata a essere luogo di popolo, il popolo giovane di Genova. Si è riempita al di là delle previsioni di una moltitudine di almeno 10 mila persone, dall'età media bassissima e dunque inequivoco segno di speranza. Non mancavano tuttavia i militanti dei 40, dei 50 e anche più in là, anche quelli che non se l'erano sentita nei giorni scorsi. Uno striscione enorme e semplicissimo, è quello portato dagli amici di Carlo Giuliani, il giovane ucciso: "Pensate di averlo ammazzato - Carletto vive attraverso noi. Gli amici". Che sono gente come lui, dei vicoli e delle piazze, molti di stile anarchico, parecchi di famiglia proletaria. Alteri e anche un po' scostanti, come tutti quelli che hanno addosso un dolore acuto e magari pensano che gli altri non possano capire. Anche per questo lanciano a tutti dal microfono la proposta di alzarsi dal sit-in sulla piazza, di lasciar perder le parole e di andare tutti in corteo, dietro quello striscione. Non molti li seguiranno, forse per paura, oppure perché ritengono che sia meglio restare lì, in quella piazza di nuovo loro. Ma non è un dramma, né una divisione acuta; forse è anche giusto così, a ognuno secondo il suo sentire.
Parla al microfono Monica Lanfranco del Gsf, parla Seligne, storico leader degli immigrati senegalesi in Genova. Sempre e solo in prima persona, Monica dice che in piazza sente il calore del ritorno in questa città ferita, ma anche la gioia "perché tanto di quello che abbiamo desiderato, per alcune ore lo abbiamo visto possibile; abbiamo ballato e cantato con lingue e persone diverse. Non c'è stata solo violenza - aggiunge -perché sono stati anche tre giorni di amore e dunque dobbiamo continuare. In pace, perché il futuro siamo noi".
Il corteo degli amici di Carletto se ne va su per via Roma, andando a fermarsi davanti alla prefettura e poi proseguendo verso Manin, in collina. Non c'è polizia in vista, solo due funzionari in borghese con la radiomobile. Nessuno grida, il silenzio è alto. E' chiuso e sbarrato il portone, da cui non scenderà un solo funzionario. Accuratamente distanti e inesistenti - come sempre in questi giorni - i leader politici della sinistra e dei Ds in particolare. La cosa più preoccupante (per loro) è che nessuno sembra sentirne la mancanza, né in bene né in male; semplicemente la Genova del movimento operaio organizzato pare dissolta. Giulio C., che incontriamo in piazza dopo anni, è iscritto a quel partito, ma ieri è venuto via da Milano arrabbiato nero perché i suoi gli dicevano che "noi Ds con quelli non abbiamo niente in comune". Gli sembra un'enormità, ma forse è proprio vero, e infatti lui la sua voglia di sinistra ora la esercita nell'organizzazione umanitaria Emergency.
Una piazza davvero singolare quella di ieri, perché malgrado le ferite, che ognuno si porta dentro dopo questi giorni che ci hanno cambiato le idee e la città, sono più i sorrisi che le lacrime o la rabbia. Quest'ultima non manca, ma è soprattutto mesta. I sorrisi, sembra di intuire, vengono dal fatto che nuovi "fratelli e sorelle" si vanno trovando, anche senza perdere i "compagni e le compagne" di ieri. Forse non è una cosa da poco, forse Carletto non è solo e sorriderebbe come nella foto che i suoi compagni di classe hanno lasciato più lontano, nel mucchio di fiori di piazza Alimonda. Anzi in "Piazza Carlo Giuliani. ragazzo", come dice la nuova scritta. E che nessuno provi a cancellarla.