La Repubblica 29 luglio 2001 LE MOLTE
ANIME DI UN REGIME
di GIORGIO BOCCA
NON chiamatelo fascismo, chiamatelo regime. Chiamarlo fascismo non è corretto, la
storia non si ripete, siamo in Europa, gli usi e costumi democratici non sembrano spenti.
Ma dopo Genova gli oppositori di questo governo e di questa maggioranza possono, debbono
temere di uscirne con le ossa rotte.
Le discussioni senza fine sulle responsabilità di Genova non cambiano che Genova è
stata, con la sua inaudita violenza, anticamera del regime. Così almeno è stata vissuta
dagli italiani che credono ancora nella repubblica democratica e questo è un dato di
fatto. All'inizio del fascismo, ai tempi del delitto Matteotti, si discusse se la
responsabilità era di Mussolini o dello squadrismo estremista di Dumini, che aveva
pensato di fargli quel macabro regalo. Ma il dato di fatto fu la resa della opposizione
alla violenza, fu, da quei giorni, la legittima paura degli oppositori di finire in
prigione o morti ammazzati. La responsabilità può essere del campo del governo o del
ministro degli Interni, o del capo della polizia o dei comandanti dei reparti speciali o
anche dei provocatori, ma il dato di fatto è che anche un oppositore pacifico e disarmato
poteva senza alcune comprensibile ragione, salvo quella della lezione repressiva, uscirne
con le ossa rotte.
Chiunque abbia pensato a una lezione del terrore, sia anche nata da una casuale e infelice
combinazione di errori e di eccessi, sta di fatto che la lezione c'è stata, è passata.
Sta di fatto che dopo Genova la parte dell'oppositore comporta dei rischi reali di
violenza, precisamente la condizione che autorizza a parlare di regime. Chi conosce la
storia del fascismo sa che si possono trovare una ventina almeno di sue cause, dagli
spostati e dagli arditi della grande guerra, alla vendetta borghese per la grande paura
della rivoluzione rossa, alla cultura antidemocratica e antiparlamentare, agli interessi
degli agrari, ai cattolici d'ordine, al dannunzianesimo eccetera. E così similmente il
regime che si sta formando appare la combinazione di vari gruppi sociali che dalla
formazione di un governo di destra e dalla sua larga maggioranza si sentono autorizzati,
incoraggiati a tirar fuori l'autoritratto che si portano in petto.
Assistiamo a una nobile gara: il leghista Maroni licenzia in tronco il leader del Genoa
social forum Agnoletto reo di aver parlato male del governo, il giornalista Paolo Guzzanti
chiede la epurazione in forma di immediato licenziamento di tutti i dirigenti di polizia
nominati dall'odiato centrosinistra, il ministro Frattini ci pensa su come a cosa da farsi
al più presto, l'avere messo a disposizione di un governo democratico ma di sinistra la
propria professionalità diventa una colpa da punire con l'ostracismo.
Non chiamiamolo fascismo, non è storicamente corretto, ma qualcosa che gli assomiglia. Si
contarono sulle dita della mano allora i professori universitari che si rifiutarono di
prestar giuramento a quel regime ma oggi la corsa al vagone del potere ha già rotto gli
argini della decenza, notti romane risuonano delle feste dei nuovi potenti dove anche
giornalisti di sinistra accorrono ad abbracciare il caro ministro Gasparri, tutti
bipartisan, come oggi si chiama il voltar gabbana.
Genova ha sollevato gli schermi che coprivano le molte anime del regime che sta nascendo o
tentando di nascere. Abbiamo appreso dalle cronache scritte o televisive che alcuni dei
nostri reparti scelti di polizia hanno una selezione politica, arruolano giovani di
estrema destra, neofascisti o del tipo cileno.
La differenza fra un poliziotto democratico e uno filofascista la si coglieva dalle urla
tipiche della sindrome autoritaria: urla piene di odio verso i dimostranti, ridotti a
escrementi, riportati al demonismo comunista a comunismo morto, ancora l'irrazionale che
si fa storia. Sapevamo che questo tipo di selezione era in vigore in alcuni reparti di
paracadutisti o di incursori con la scusa che chi deve praticare la violenza deve uscire
da una scuola di violenza. Ma che tale sia la scuola di quasi tutti i reparti speciali di
polizia è una amara sorpresa, è la dimostrazione che l'autonomia degli apparati
polizieschi, il loro restare autoritari in uno Stato democratico, è stata non solo
tollerata ma voluta, che nella nostra democrazia ci sono poliziotti addestrati all'odio
politico come dei pitbull feroci.
Non chiamatelo fascismo ma quante somiglianze. Di un evento politico come il G8, come in
ogni regime in cui non si discute, è stata data una relazione addomesticata, dogmatica. I
nuovi governanti invece di riferire e interrogarsi sul fallimento di un convegno
apertamente sabotato dal suo protagonista, il presidente americano, hanno ripetuto i
soliti penosi dogmi del neo liberismo: è il mercato che salverà il mondo e porterà la
democrazia in tutti i continenti, è lo sviluppo continuo accompagnato dalla rivoluzione
tecnologica che vincerà la povertà. Poi di sua iniziativa il capo del governo ci ha
spiegato che la pace sarà assicurata dallo scudo spaziale e che anche noi saremo protetti
dalle minacce degli «Stati canaglia». Che l'Europa ci protegga. |