Manifesto 29 luglio 2001 ARTICOLO
Movimento a sinistra
ALDO TORTORELLA
Rossanda, in un recente editoriale, ha chiesto da che parte si sta dopo
le vicende di Genova e del G8. O sì o no, o di qua o di là. Credo di dover rispondere
perché ella rampognava severamente, qualche settimana fa, chi ha il vizio di interrogarsi
sui "fondamenti" ed è incapace di "delineare una agenda di
priorità". La sferzante ramanzina era diretta contro la sinistra Ds, ma io debbo
scagionarla. La sinistra Ds è del tutto incolpevole di un simile peccato. Il colpevole
sono io, e, semmai, l'Associazione per il rinnovamento della sinistra, che - come su
questo giornale è stato già scritto qualche volta - non appartiene alla sinistra Ds e a
nessun altro partito occorrente di partito. Essa è composta da persone di tutti i partiti
della sinistra, e in maggioranza, da persone che non appartengono a nessun partito,
poiché non è nata per generare divisioni ma per unire.
Quando la sinistra - dopo il dissolvimento dei suoi partiti storici - appariva vincente in
Italia, ci parve che essa andasse, in ogni sua parte, verso nuove sconfitte. Ci sembrò
necessario cercare qualche strada nuova. Per farlo, era necessario capire quali fossero le
radici storiche e culturali di quella che ritenevamo essere una radicale inadeguatezza
politica delle due maggiori formazioni della sinistra italiana. Ma il metodo per tentare
di capire - e di agire - non fu quello dei rancori o dei risentimenti, ma esattamente
l'opposto: combattere ogni teoria del tradimento e cercare di vedere, in ciascuno di
questi partiti divenuti così unilaterali, il "buono" che c'è prima ancora dei
limiti e degli errori, in modo da cercare di organizzare - come abbiamo detto recentemente
- un movimento di opinione organizzato per l'autonomia e l'unità della sinistra italiana.
Tuttavia, il fatto di ostinarsi in queste riflessioni non ci ha distratto. L'Associazione
di cui parlo non è arrivata a Genova con l'ultimo pullman. Essa fu fin dall'inizio nel
Genoa Social Forum, vi ha contribuito e vi contribuisce come può. Così come ha
contribuito a organizzare la manifestazione di Roma e di altre città, manifestazioni di
cui siamo tutti, mi pare, tanto fieri. Forse sarebbe interessante, però, sapere per quali
motivi e con quali motivazioni vi era, tra tanti gruppi e le tante sigle di questo
movimento, anche questa associazione diversa dalle altre. E, più in generale, sarebbe
forse necessario chiedere non solo un sì o un no ma un perché e un come se si dice di
sì.
Noi ci siamo stati non già mettendo da parte quel nostro desiderio di veder chiaro nelle
parole che si dicono (comunismo, socialismo, eguaglianza, libertà, e poi modernizzazione,
globalizzazione, civilizzazione, ecc.) ma proprio a causa di quel desiderio di veder
chiaro. Poiché è attraverso di esso che si può venire scoprendo che ci sono motivi
nuovi e diversi per la critica del sistema capitalistico certamente vittorioso su scala
planetaria ma, allo stesso tempo, oggi di fronte al fallimento della ricetta liberistica
che si è venuta costituendo come ideologia dominante rappresentativa dell'orgoglio dei
vincitori. Senza una critica aggiornata che legga il nuovo che c'è anche nelle
contraddizioni fra il capitale e il lavoro passa, come è passato, una resa all'egemonia
dell'impresa quale motore esclusivo del processo economico e sociale.
Nel ruolo di fondo compiuto dalla maggioranza dei Ds, infatti, fu - e rischia di essere
ancora - quello di non avere inteso che il processo di modernizzazione ha varianti opposte
tra di loro. Perciò sono stati estranei al movimento e si sono così gravemente
contraddetti. La modernizzazione liberistica è l'opposto dell'incivilimento. Ma, certo,
la richiesta di una linea economico-sociale per l'Occidente radicalmente diversa che
modifichi il modello dell'accumulazione e dei consumi, che intacchi il potere delle grandi
concentrazioni economiche a partire dalla proprietà sui brevetti, implica una svolta
assai profonda che tocca non solo interessi diffusi ma mentalità consolidate. E ciò
chiede una forte attrezzatura conoscitiva, come ho qualche volta obiettato alle
semplificazioni che mi parevano venire dalla sinistra alternativa.
Non è un caso la differenza tra la Fiom e la Cgil rappresentata da Cofferati, il quale
pure appare portatore nei Ds di una dimenticata tematica del lavoro. Se la Cgil è così
cauta e guardinga nei confronti di questo movimento internazionale avverso all'attuale
modello di globalizzazione non è solo perché rivede le interne contraddizioni, che vi
sono, ma perché non tutti i sindacati rappresentano interessi egualmente disponibili ai
mutamenti di rotta che sarebbero necessari e non tutti vengono da una cultura egualmente
critica verso i rapporti sociali esistenti.
Questo movimento in larga misura è mosso, in verità, da una giovane generazione della
parte più ricca del mondo non solo successiva al crollo del modello sovietico, ma già
figlia della rivoluzione informatica nei metodi della produzione nella società essendone
in parte protagonista e in parte vittima. Anche perciò bisogna andare con i propri
convincimenti per discutere e per capire piuttosto che per addottrinare. Anche una
questione apparentemente tanto lontana da apparire evasiva come quella, che mi viene
talora rimproverata, che riguarda il punto da cui mi pare giusto muovere, al fine di tener
non abbandonare una volontà trasformatrice, diviene così, forse più chiara nelle sue
conseguenze.
Solo se io so - ecco il punto di partenza che a me sembra necessario - che la mia è una
scelta etica criticamente assunta (e non una verità scientifica) di fronte ad un mondo
che mi fa in larga misura ribrezzo, sono consapevole che essa, come ogni altra scelta
etica, è necessariamente parziale, e mi disporrò al rapporto con gli altri per capirli
ed essere capito, per mettere in discussione loro solo dopo aver messo in discussione me
stesso. Solo così potrò stare in un movimento senza subalternità (senza
"codismo" si diceva una volta) e senza saccenterie egemonizzanti ("metterci
il cappello sopra" come si dice ancora oggi). Ben comprendendo, tra l'altro, che
questo attuale è un movimento di movimenti, non solo diverso da un partito ma diverso da
un'insieme ideologistico come ne abbiamo visti in passato.
Della sinistra Ds non tocca a me dire. A un giovane gruppo dirigente che, anche su Genova
- ma prima sul governo D'Alema, sui referendum istituzionali, sul lavoro e su altro ancora
- ha saputo assumere una linea secondo me giusta, distinguendosi dalla maggioranza. E ora,
appunto, senza risentimenti e senza vantare i suoi meriti innegabili cerca di comporre una
intesa per affermare - come è stato detto - un elemento di discontinuità con la politica
che si è dimostrata largamente fallimentare.
Mi sembra un tentativo generoso ma assai difficile, se non si vuole rinunciare, come credo
non vogliano i protagonisti, alle proprie motivazioni essenziali. Non mi pare equanime
guardare a questo sforzo con sfiducia preconcetta. Anche se è giusto che chiunque abbia a
cuore le sorti della sinistra faccia quanto può perché il suo partito ancor oggi più
numeroso possa imboccare una strada nuova capace di trarlo fuori dalla sua crisi e dalle
ripetute sconfitte.
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