Corriere della sera 7 agosto 2001
L’INTERVISTA / Il sindaco di Roma invita l’esecutivo a garantire la sicurezza dei partecipanti alla riunione, della città e di coloro che manifesteranno contro

Veltroni: mi aspetto da Agnoletto e Casarini parole chiare

ROMA - Se c’è una cosa su cui Walter Veltroni non ha dubbi è che il vertice della Fao deve restare a Roma. «Intanto - dice - il sindaco della capitale non può leggere sui giornali che il governo sta pensando di trasferire il summit lontano dalla sua sede istituzionale senza che nessuno gli abbia chiesto come la pensa. E, addirittura, senza che nessuno si sia preoccupato di verificare se c’è o non c’è da parte della Fao l’intenzione di spostare il vertice di novembre». Davvero lei e il direttore generale della Fao non ne sapevate nulla?
«Nessuno mi ha contattato. Il problema poteva essere affrontato con qualche riservatezza in più. Detto questo, sono convinto che alla fine un’intesa con il governo la troveremo».
Ma lei non ha già risposto che il vertice deve tenersi nella capitale?
«Certo. Sarebbe grottesco che Roma, sede della Fao, non fosse capace di organizzare il summit della Fao. E’ come se New York non fosse in grado di garantire lo svolgimento dell’assemblea generale dell’Onu. C’è un problema d’immagine internazionale di Roma e dell’Italia che io difendo. Adesso vedo che saggiamente il ministro degli Esteri Ruggiero parla del trasferimento come di un’ipotesi. E poi non si possono ignorare le posizioni del Vaticano e della Fao. Sono assolutamente d’accordo con il ministro dell’Interno tedesco Schily: al di là delle intenzioni del governo italiano, trasferire il vertice significherebbe presentarsi con le mani alzate di fronte ai violenti».
Di fronte a certe dichiarazioni di guerriglia di leader anti-global non le sembra comunque difficile scongiurare il rischio che a novembre Roma diventi un’altra Genova?
« A questo punto, mi aspetto parole chiare da Agnoletto, da Casarini e dai leader del movimento. Mi aspetto che dichiarino l’impegno a manifestare non contro la Fao, che combatte la fame, ma per un buon esito del vertic e. Non si manifesta contro un organismo il cui slogan è : "Realizzare il sogno di un mondo senza fame» e che - quindi - dovrebbe essere visto come amico. Al vertice della Fao hanno parlato il Papa, Fidel Castro e i rappresentanti delle organizzazioni non governative di mezzo mondo».
Il presidente della Regione Lazio, Storace, sostiene che bisogna fare attenzione a dire come lei ha detto: «Roma è pronta ad ospitare il vertice ».
«In qualche reazione politica vedo una furbizia che non mi piace. Allora mettiamo le cose in chiaro: a chi mi chiede se sono preoccupato, rispondo "sì". Certo che lo sono, d’altra parte - dopo quanto è successo a Genova - sarebbe irresponsabile non esserlo. Ma tocca al governo garantire - come è giusto e naturale che sia - la sicurezza dei partecipanti al vertice, dei manifestanti e della città».
E quale sarebbe la furbizia che non le piace?
«Quella di chi mette le mani avanti, perché così, in caso d’incidenti, potrà sempre dire: "Io vi avevo avvertito" e scaricare la responsabilità su altri, su chi si è opposto al trasferimento. Ma essere maggioranza significa avere la responsabilità del governo d’un Paese. E, fino a prova contraria, garantire la sicurezza fa parte di questa responsabilità. Comunque, è inutile fare i furbi. Dire: "Non facciamo il vertice Fao a Roma perché non siamo in grado di garantire la sicurezza" equivale a confessare: "In Italia non siamo in grado di garantire la sicurezza tout court "».
Resta il fatto che i sindacati di polizia e dei carabinieri sono preoccupati per la tenuta dell’ordine pubblico in occasione del vertice di novembre.
«Guardi, la Fao raccoglie 180 paesi, negli ultimi due anni ha sostenuto 76 progetti d’intervento per 9 mila miliardi di lire destinati a lottare contro la fame e la povertà. Cinque anni fa si diede l’obiettivo di ridurre di 20 milioni di unità i morti per per fame. Si è fermata a otto milioni, che è insopportabilmente poco. Ma l’organizzazione questo fa, quindi qualsiasi movimento che lotta per battere le disuguaglianze deve sentirla come alleato. Non come avversario. Insomma, non ha alcun senso dimostrare contro 180 capi di Stato e di governo, per lo più del Terzo mondo, che si riuniscono a Roma».
Eppure il ruolo della sinistra sembra oscillante e incerto.
«La sinistra deve tornare a fare il suo mestiere: preoccuparsi delle disuguaglianze. E quello che succede quotidianamente in Africa dovrebbe scuoterla, perché è peggio di quanto è accaduto durante tutta la guerra del Vietnam. Una sinistra che si rispetti deve entrare in relazione positiva con tutti coloro che pongono il problema. Ma deve anche essere molto determinata, chiara e netta nei confronti della violenza. Non avere alcuna ambiguità, nessun atteggiamento di comprensione o di tolleranza».
Sta dicendo che bisogna tracciare un confine invalicabile?
«Esattamente. I Black bloc sono nemici della lotta alla fame, sono nemici di quella battaglia e finiscono per diventare i peggiori avversari del movimento antiglobalizzazione. Anche per questo ci tengo molto a ricordare l’importanza del vertice Fao di novembre per il destino dell’equità sociale nel mondo. Per la prima volta i temi che un movimento pur così composito pone sono maggioritari su scala mondiale. Ma alla grandezza etica del tema dell’equità non è possibile contrapporre la violenza delle vetrine spaccate e gli attacchi alle persone in divisa. Sarebbe suicida».
Felice Saulino