Corriere della sera 28 luglio 2001
«Domani
assaltiamo laeroporto di Francoforte»
Nel campo dei duri in
Germania: «Se mi chiami Tuta nera non mi offendo, distruggere la proprietà è
accettabile»
- DAL NOSTRO INVIATO
FRANCOFORTE - Il bello dellEuropa senza frontiere: ieri Genova messa a ferro a
fuoco, domani lassalto («pacifico», sintende) allaeroporto più
importante della Germania, quello di Francoforte sul Meno. E dopodomani, magari, allambasciata
italiana, sempre «pacificamente» sintende. Per ritornare, in settimana, ancora una
volta, in massa allo scalo internazionale. Tedeschi, accompagnati da esperti francesi e
svizzeri. Tutti insieme per fronteggiare l«arroganza e linsensibilità dei
ricchi verso gli immigrati». E domani e dopodomani non sono un modo di dire.
Protagonisti sempre gli stessi: i Black Bloc o Tute nere che dir si voglia, anche se essi
contestano il nome. «Quella definizione fa parte della strategia criminalizzante del
potere politico e delle forze dellordine. Noi siamo un movimento autonomo con tante
anime, ma con alcune idee cardine in comune; lotta alla globalizzazione, al capitalismo
disumano, allo sfruttamento delle multinazionali, al fascismo, al razzismo, alle
frontiere», specifica Rosa Kemper, 46 anni, di Berlino, reduce dalla sei giorni di Genova
(tanto è durato il suo soggiorno nel capoluogo ligure) e dalle lotte, 20 anni fa, in
difesa dei diseredati del suo quartiere berlinese di Kreuzberg.
Seduta intorno a un tavolo di legno, in un verde parco in riva al Meno, a Kelsterbach, a
16 chilometri dalla città che dette i natali a Goethe, Rosa non ha niente della pasionaria
e della violenta. Tutta la scena circostante per la verità appare bucolica: sul fiume
ansimano i barconi carichi di containers e di carbone, nei prati saltellano gli
scoiattoli, i rovi di gelso traboccano di more, sciamano decine di ciclisti in una pista
ciclabile che fiancheggia per chilometri il fiume, anziani e giovani fanno jogging mentre
il sole cala sulle colline che si stagliano alle spalle della capitale dellAssia.
Non solo: siamo circondati da tende bianche in cui si dormirà fino al 5 agosto e sotto le
quali alcuni volontari si affaccendano a cucinare per 500 persone, mentre altri si gustano
degli spinelli. Altri ancora sono seduti o stesi sotto gli alberi o sopra un trattore con
rimorchio su cui campeggia la scritta «Manda in frantumi le frontiere».
Insomma sembra una festa sui prati, unallegra compagnia, canterebbe Adriano
Celentano. Né mancano i carri di tipici artisti di strada, con giocolieri, suonatori e
quantaltro. Venghino, signori venghino, lo spettacolo sta per cominciare. E non è
detto che da oggi sia proprio innocuo e divertente.
Siamo infatti nel «Campo contro le frontiere e contro il razzismo», organizzato per la
prima volta dentro la Germania per contestare la politica frontaliera qui praticata.
«Il nostro slogan è "nessun uomo è illegale"», fa tradurre, dal tedesco allinglese,
Rosa al suo omonimo, ma non parente (se non ci hanno dato nomi falsi), Karl, 36 anni,
medico in una organizzazione non governativa.
«Il movimento alternativo e autonomo, quale siamo noi, si è riunito qui perché laeroporto
di Francoforte, oltre a essere il più importante della Germania, ha per noi una forte
carica simbolica. Esso infatti ospita un "campo di internamento" - prosegue Rosa
-, ovvero uno spazio in cui vengono reclusi tutti coloro che cercano di entrare nel nostro
Stato. Come è noto entrare via terra in Germania è impossibile, perché si viene
bloccati alle frontiere e cacciati via subito. Allora si arriva per via aerea. E qui sta
la sorpresa. Il clandestino o aspirante tedesco viene fermato e tenuto in questo
territorio "pregermanico" (lo chiama proprio così, ndr ). Attualmente in
quello spazio ci sono 50 persone. E ogni volta che qualcuna di queste viene spostata, ha
le manette ai polsi».
Ma non è tutto. Interviene Karl, che da interprete diventa protagonista: «Questo
aeroporto poi è il punto di cacciata di quasi 10 mila persone lanno. Chi non
ottiene lo status di rifugiato o non viene comunque accolto viene impacchettato e
deportato proprio passando da questo scalo».
E per questo che domani i mille partecipanti al campo si recheranno (uniti? In
ordine sparso? Non si sa) a questa «frontiera interna». E questo il modo scelto
per rendere pubblica la loro protesta e la loro denuncia. «Unazione pacifica -
chiarisce Karl -. Ma non abbiamo timore di fronteggiare le forze dellordine, se
fosse necessario. Il Campo ci prepara a usare tutti i mezzi di espressione: e può
trattarsi di manifestazioni pubbliche e giocose, come quelle che terremo stamani davanti
al Comune di Francoforte, o al mercato delle pulci, ma anche di azioni perturbatrici».
Dolce eufemismo. Eppure Karl è vestito di bianco, parla pacatamente, ma con
determinazione: «Noi vogliamo la dissoluzione del campo di internamento, vera area di
segregazione, labbandono delle procedure giuridiche disumane che, ad esempio
impediscono ai rifugiati politici di muoversi dallarea loro assegnata, vere
residenze imposte. E la legalizzazione di tutti i sans papiers che vivono in
Germania».
E le azioni perturbatrici. Anche qui a Francoforte saranno come quelle di Genova? «Non
credo - chiarisce Karl - perché qui la polizia tenta di mediare. Pensi che è stata
proprio la Polizia a trovarci questo terreno in riva al Meno. E il colmo è che esso
appartiene a una multinazionale farmaceutica, la Hoechst».
Rosa lo interrompe. «Ma in fondo, a Genova, non è successo gran che - dice -. E
niente in confronto alla violenza che esercitano le grandi corporations e il
direttorio del G8».
Gli eventi di Genova, per lei, addirittura «si sono rivelati un grande successo. Sono
rimasta colpita da questa città: mi ha affascinato la solidarietà degli abitanti che
più di una volta ci hanno accolti con gli applausi».
Rosa non ammette di aver partecipato alle devastazioni di banche, uffici o alla
distruzione di auto e distributori di benzina. Però spiega: «Distruggere la proprietà
di chi opprime e sfrutta è una tattica accettabile. Tanto più in un Paese come lItalia
che secondo noi è governato da un fascista come Berlusconi. Sono cavoli vostri come
liberarvene, noi ci abbiamo provato a darvi una mano. E venticinque dei nostri sono ancora
nelle vostre carceri. Ad Alessandria, mi pare».
Conoscevate, dunque, le (presunte) Tute nere austriache rimaste impigliate nella maglia
della nostra giustizia? «Certamente e sarebbero dovute essere qui a questo raduno», è
la risposta comune. «Sarebbero stati gli unici stranieri insieme a un gruppo di
polacchi».
E gli infiltrati? Non temete la loro presenza tra di voi alle manifestazioni? «E se anche
ci fossero, cosa cambia? - dice Rosa -. Luso degli agenti infiltrati è sempre
esistito. Pensi che i verdi qui in Germania, pur essendo arrivati al potere, sono ancora
pieni di infiltrati».
Restano poche altre curiosità: ma perché a Genova le (cosiddette) Tute nere marciavano
sventolando bandiere nere, al ritmo ossessivo di tamburi, mascherati con passamontagna,
caschi neri che li facevano rassomigliare ai ninja?
Rosa, in pantaloncini corti blu e camicetta verde, sorride e risponde senza scomporsi. «E
una forma di ironia politica. Non è una cosa seria».
Difficile da capire, senza dubbio.
Lultima domanda: Rosa, ti offendi se ti do della «Tuta nera»?
«E perché dovrei? In fondo, qui in Germania non esistono».
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Costantino
Muscau |
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