Corriere della sera 27 luglio 2001
LE PROTESTE DA LONDRA

Giornalista alla Bbc: la polizia voleva uccidermi

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
LONDRA - Sono tornati in patria i contestatori britannici arrestati dalla polizia italiana a Genova, e da ieri mattina le televisioni non fanno che riproporre immagini di braccia ingessate, teste fasciate, abiti insanguinati. Non è un bello spettacolo: di solito, gli inglesi sono abituati a vedersi rispedire a casa gli hooligans del calcio, gente di cui vergognarsi. Stavolta, invece, gli «anti global» tornano con la patente d’innocenza, visto che sono stati prosciolti dalla magistratura, e ripetono racconti impressionanti: Daniel McQuillan, 35 anni, un polso ingessato e diversi punti in testa, ha detto, in diretta su SkyNews , d’essere stato bastonato senza motivo e lasciato per quattro giorni in carcere, senza potersi cambiare la camicia zuppa di sangue. Altri, come Richard Moth, 32 anni, e la fidanzata Nicola Doherty, 27, dicono di essere stati assaliti mentre dormivano. Tutti, in un comunicato, attaccano il premier Tony Blair, perché non ha criticato il comportamento della polizia italiana.
Il minimo che potesse accadere, quindi, era un passo ufficiale presso il governo Berlusconi. L’ambasciatore britannico a Roma, Sir John Shepherd, s’è rivolto al nostro ministero degli Esteri: ha chiesto e ottenuto dalla Farnesina, spiega il Foreign Office, «l’assicurazione che le accuse sarebbero state oggetto di investigazione». O meglio, secondo un portavoce dell’ambasciata stessa, il governo britannico vorrebbe «capire esattamente che è davvero accaduto». E il governo italiano «al più alto livello», come garantisce a sera il ministro Jack Straw sulla porta del Foreign Office, «è d’accordo affinché le accuse siano indagate».
Perché non c’è in discussione solo il blitz notturno alla scuola che ospitava il Genoa Social Forum, ma anche la circostanza per cui agli arrestati è stato negato per quattro giorni l’accesso consolare. Solo il giorno del rilascio, infatti, il console Alan Reuter, li ha potuti incontrare: un ritardo da spiegare.
E all’ultimo cittadino britannico rimasto in Italia, Mark Covell, un giornalista di 33 anni che lavora per pubblicazioni del movimento «anti global», le spiegazioni potrebbero non bastare: ha annunciato dagli schermi della Bbc che citerà in giudizio la polizia italiana per tentato omicidio. Dal suo letto d’ospedale a Genova, con sonde e tubicini che gli escono dal torace, ha detto di essere stato preso a calci, pugni, manganellate e colpi di scudo: «E’ una sensazione terribile sentire che dentro ti si rompono le ossa. Le costole fracassate, tutto il fianco sinistro picchiato, la milza percossa, tutto un livido. Ma questo è stato solo il primo attacco. Poi sono tornati e hanno ricominciato a picchiarmi, solo perché mi ero mosso. Sì, infatti avevo mosso un braccio», ha concluso con amara ironia.
Come ironico, o meglio sarcastico, è il commento di un giornale liberal come l’ Independent , che si chiede se «era un equivoco l’impressione che l’Italia fosse un membro rispettato dell’Unione Europea». Il quotidiano condivide il parere di Peter Hain, il sottosegretario al Foreign Office che, unico nel governo Blair, aveva criticato la polizia per «eccesso di reazione», anche se ammette che tale eccesso è comprensibile nel pieno dell’azione: «Ciò che non è scusabile è la sorte degli arrestati dopo che sono stati posti sotto custodia di polizia». Innammissibili, se ci sono stati, i pestaggi in cella. «E grottesco, per di più, che l’ habeas corpus e il diritto all’assistenza legale siano semplicemente ignorati, come se gli anarchici perdessero automaticamente ogni diritto».
Non c’è da stupirsi. E’ un vezzo inglese bacchettare gli stranieri, anche quando non c’è motivo. Ma stavolta i motivi sono lì: a Stephan Jakobi, dell’associazione Fair Trial Abroad, che di solito assiste cittadini britannici accusati per possesso di droga in Thailandia o di alcool nei Paesi Arabi, non par vero di scoprire una «situazione disgustosa, barbarica», anziché nel Terzo Mondo, in Italia: «Non s’è mai visto in Europa Occidentale un parallelo di ciò che ha fatto la polizia italiana». L’Unione Europea, dice, dovrebbe indagare questa «violazione volontaria della legge internazionale». Conclude: «Qualcuno, da qualche parte, dovrà fornire in Italia una spiegazione decente, perché ciò che è successo a Genova riguarda tutti noi, in Europa».
Alessio Altichier