Manifesto 24 luglio 2001 Bentornati
a Milano
Diecimila persone si ritrovano al corteo
unitario
LUCA FAZIO
GIORGIO SALVETTIMILANO
"Hey ragazzi, tranquilli. A Genova potevamo giocarci qualsiasi carta, qui oggi no.
Mi raccomando...". Indossano i caschi e si nascondono sotto il portone della
Prefettura, non si faranno vedere per tutta la giornata, non risponderanno agli insulti; e
quei pochi messi a guardia di Palazzo Marino, di fronte a un muro di mani alzate non
potranno che lasciare libero il campo. Ieri, a Milano, non era giorno per la polizia.
Piazza San Babila si riempie alle 18 che sembra solo un presidio, bello, tantissima gente.
Ma nel giro di pochi minuti la manifestazione s'ingrossa. Uno, due, tre, diecimila persone
e forse più danno vita a un corteo che d'istinto si riprende una libertà che da tanti
anni a questa parte mai ha sentito così pesantemente minacciata. Una ragazza con il
pennarello distribusce fogli di carta e pezzetti di scotch: "Avete oltrepassato ogni
limite! Vergogna". Una signora gira con il sacchetto della spesa e distribusce
striscie di plastica nera: tutti se la legano al braccio. E' per Carlo Giuliani.
C'è chi una reazione simile non la sentiva dai tempi della guerra del Golfo. Insieme
sparpagliati, una volta tanto senza troppe mediazioni. Spazio per tutti e stessa rabbia
significa anche rivedere in testa a un corteo (tanto per non rischiare contatti
spiacevoli) anche le bandiere dei Ds, appena dietro le tante di Rifondazione. Ancora più
indietro i Verdi e gli Umanisti. I "sopravvisuti" di Genova si stringono la
mano, qualcuno incerottato, ma il corteo è forte soprattutto di gente che è stufa di
stare in casa con un nodo alla gola. "Questa è la risposta che ci vuole",
argomenta tra sé e sé un signore sulla cinquantina. Ci sono tutti i partiti, non manca
nemmeno un'associazione o un gruppo organizzato. Eppure non è una manifestazione rituale,
la sensazione è quella di essere di fronte a qualcosa di nuovo. Mai sentiti certi slogan:
"Morire a vent'anni è una pazzia, isoliamo la polizia". Oppure: "La
violenza del potere insanguina i nostri sogni". Gli striscioni sanno ancora di
vernice fresca, due lunghe strisce di cellophane con la scritta "Democrazia
Desaparecida" penzolano da Palazzo Reale. A metà corteo - e sembrerebbe lo
spartiacque di una divisione generazionale che invece non c'è più - si alza uno
striscione che è come un grido di dolore: "Il nostro sangue, i vostri
profitti". Appena prima, un altro, nuovo anche quello, e lo portano le madri del
Leoncavallo, "Dove sono i nostri figli?".
Quando il corteo sfiora la Prefettura è un contatto che brucia. Le mani battono. E' un
applauso in crescendo. Minaccioso. Alcuni volonterosi si offrono per un cordone cercando
di evitare contatti. Ma non serve. Gli "assassini" sono dietro l'angolo, hanno
deciso di non farsi vedere. Il serpentone mette la testa davanti a Palazzo Marino proprio
quando la giunta Albertini approva una mozione che sa di vergogna, un'accusa ad personam
contro Vittorio Agnoletto. Le mani, senza bisogna di alcuna regia, ricominciano a battere.
Si alza un grido, lo stesso - "Assassini" - e la gente si dirige senza alcuna
paura verso trenta poliziotti chiamati a difendere l'ingresso del palazzo comunale.
Decidono di non giocarsi alcuna carta, oggi, se ne vanno. "E pensare che a Genova
poteva andare così", scuote la testa una ragazza che due giorni fa correva in mezzo
a grappoli di lacrimogeni. Piazza Duomo. Andarci così, in questo modo, è una liberazione
per tutti. Un gruppo arriva dalla Galleria Vittorio Emanuele con le mani alzate dipinte di
bianco, le stesse che a Genova sono state travolte dalla polizia. E dopo un intenso minuto
di silenzio, parla chi vuole. Quella di ieri è stata solo la quarta, straordinaria,
manifestazione milanese dopo la tragedia di Genova. La quinta è già stata preparata per
stasera, l'hanno chiamata assemblea e si terra alle 21 in piazza del Duomo.
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