La Repubblica 31 luglio 2001 La
democrazia ferita a Bolzaneto
LE IDEE
di PAUL GINSBORG
NON vi è dubbio che i fatti di Genova rappresentano una grave lesione nella storia
della democrazia italiana. Nessuno, quale che sia il suo colore politico, dovrebbe
sottovalutarne l'entità e il significato. Se questa lesione si rivelerà curabile oppure
si aggraverà rimane una questione aperta. La risposta dipende in gran parte dalle scelte
e dalle azioni di ognuno dei principali attori storici di questo delicato momento.
Vediamoli uno per uno.
Innanzi tutto, il movimento sociale che è nato in questi giorni. Le decine di migliaia di
ragazzi che si sono recati a Genova fanno parte di una generazione pacifista, perfino
passiva.
I loro modelli e i loro eroi (se si eccettua forse Che Guevara) non sono, nella grande
maggioranza dei casi, quelli del post'68, vale a dire le lotte di liberazione nazionale,
la rivoluzione culturale maoista, la presa del Palazzo d'inverno. Essi non credono (o
almeno non credevano) che il potere derivi dalle canne di un fucile, che la violenza di
massa sia necessaria e inevitabile. Al contrario. Dopo gli anni di piombo, in Italia come
in Germania si è assistito a una profonda svolta culturale verso il pacifismo.
I ragazzi di Genova – fra i quali ci sono i nostri figli, studenti e laureati - sono
andati lì per protestare sulle questioni ambientali, contro la povertà, le
disuguaglianze e le malattie nel mondo. Sono stati accolti in modo indiscriminato con
manganellate e gas lacrimogeni. E' incontestabile che sabato in quella moltitudine vi
erano elementi violenti, e che il compito della polizia risultava tutt'altro che facile.
Ma altrettanto vero è il fatto che la grande maggioranza dei manifestanti voleva evitare
ad ogni costo la violenza. Questi ultimi sono tornati indietro scioccati e amareggiati.
Rappresentavano una piccolissima, per quanto ben istruita, minoranza all'interno di una
generazione in gran parte indifferente. Dopo tre giorni, fitti di conversazioni in ogni
luogo - in autobus, dal dentista, al bar, su Internet - , che hanno prodotto quel famoso
passaparola che modifica in modo profondo e molecolare un'opinione pubblica nazionale, non
sono più una minoranza così piccola. In autunno, quando riapriranno le scuole e le
università, saranno ancor meno minoranza. Quanti speravano che i giovani rimanessero
depoliticizzati, dominati dal consumismo, chiusi in sé, non avrebbero potuto comportarsi
più stupidamente. Né avrebbero potuto fornire migliori motivi per alimentare una
profonda e rinnovata sfiducia nei confronti dello Stato italiano e delle sue istituzioni.
In autunno, coloro che sono impegnati a mantenere in primo piano gli ideali pacifisti e
democratici avranno bisogno di molta chiarezza e determinazione. Ricordo con amarezza
quando nel 1970 noi studenti di Cambridge, che organizzammo una protesta contro la
dittatura dei colonnelli in Grecia, contattammo i mezzi d'informazione per avvertirli
della nostra iniziativa: «Telefonateci solo se c'è violenza», ci dissero.
In secondo luogo, la polizia. Le forze nazionali di polizia possono essere misurate in
riferimento a uno spettro molto ampio: a un'estremità c'è il mitico bobby britannico,
disarmato, al servizio della comunità locale; all'altra, le bande terroristiche delle
dittature latinoamericane. Dopo la performance dello scorso fine settimana, dove dovremmo
collocare la polizia e i carabinieri italiani? I racconti dell'orrore che ci giungono non
provengono solo dai ragazzi di Genova. Vengono da altre fonti insospettabili, come i
cronisti di quotidiani conservatori come il Sunday Times o El Mundo. Pensavo (e non ero il
solo) che il lento progredire della democrazia italiana, che ha ormai quasi sessant'anni,
avesse raggiunto e influenzato profondamente perfino quelle aree dello Stato italiano che
storicamente si sono rivelate più resistenti nei confronti della cultura democratica.
Dai bassifondi della caserma di Bolzaneto non poteva arrivare smentita più brusca a
simili idee. Quella che qui emerge è piuttosto una cultura puramente fascista: fascista
nei suoi slogan, nella sua brutalità, nel suo deliberato disprezzo per i più elementari
diritti delle persone sottoposte a detenzione. Non è per niente rassicurante il fatto
che, per quanto io sappia, nessuno dei sindacati degli agenti di polizia o degli alti
ufficiali abbia preso le distanze da questi deplorevoli eventi. C'è stato un serrate le
file corporativo a difesa di tutte le azioni di polizia, di qualsiasi sorta. E' un grave
errore. Il veleno che è filtrato da sotto le porte di quella caserma richiede un antidoto
a pronto effetto.
In terzo luogo, il governo. La sua moderazione è durata lo spazio di un pomeriggio.
Eppure al suo interno i moderati ci sono. Si può perfino ipotizzare che all'interno di
singole personalità del governo (sto pensando per esempio a Gianfranco Fini) esistono due
anime o almeno due atteggiamenti. Quale delle due si affermerà non è affatto
indifferente. L'intera storia dell'Europa meridionale dalla fine dell'Ottocento in poi ci
insegna quali pericoli vi siano dietro a una nazione che si spacca in due, con una parte
consistente della popolazione convinta di aver di fronte un governo che tollera o rispetta
poco le sue ragioni e i suoi diritti.
In questi giorni il timore che l'Italia si stia avvicinando a un regime autoritario di
nuovo tipo è cresciuta a vista d'occhio in ampi settori della pubblica opinione europea
ed italiana. L'imminente dominio dei principali mezzi di comunicazione, l'irrisolto
conflitto di interessi, la brutalità della polizia, la voglia di distruggere l'autonomia
della magistratura (anche nel campo della lotta alla Mafia) – tutti questi elementi
si uniscono a comporre un cocktail assai pericoloso. Prima che sia troppo tardi, le voci
liberali e caute all'interno del governo e del parlamento devono farsi sentire contro gli
esagitati, che sono in gran numero.
In quarto luogo, l'opposizione. Non è un momento in cui si può essere timidi e incerti.
L'indecisione e l'assenteismo dei Ds sono costati cari, ma non è troppo tardi per
recuperare il terreno perduto. La più convinta denuncia della violenza, da qualsiasi
parte essa venga, deve essere accompagnata da una costante vigilanza contro qualsiasi
azione arbitraria da parte della maggioranza. Gli ‘wild men' ci penseranno due volte
prima di agire solo se sapranno che ad ogni loro azione si opporranno le più ferme
denunce e la mobilitazione. Tali atteggiamenti potrebbero essere un primo passo,
necessario ma in nessun modo sufficiente, verso il riscatto.
(traduzione di David Scaffei) |