La Repubblica  6 agosto

Gli indios
e le briciole
d'Occidente

Se volete salvare il mondo
dovete ascoltare la nostra voce

di RIGOBERTA MENCHÙ


La Giornata internazionale dei popoli indigeni che si celebra il 9 agosto è diventata uno degli appuntamenti più opportuni per esprimere i nostri sentimenti e per invitare la comunità internazionale a una riflessione sui principali processi che si stanno verificando nel mondo e che toccano direttamente o indirettamente i nostri popoli.
Nell'ultimo decennio, la marcia del nostro pianeta è stata segnata da un accelerato processo di globalizzazione che ha generato nuovi ambiti, nuove sfide e nuove espressioni di resistenza, articolate da nuovi attori sociali.
È tempo di sederci a riflettere sul mondo che vogliamo lasciare ai nostri figli. La globalizzazione non deve continuare ad essere la mondializzazione delle finanze e della speculazione di Borsa, del narcotraffico, della povertà, dello sterminio della natura e della fine della speranza nel nostro pianeta. Non dobbiamo permettere l'imposizione di un pensiero unico che porta soltanto a vedere una minoranza privilegiata - il 20 per cento della popolazione del mondo - consumare l'80 per cento di quanto produce la nostra Madre Terra, lasciando briciole sempre più esigue alle grandi maggioranze.

Non lasciamo che la ricchezza del nostro patrimonio si riduca alle leggi del mercato, imponendo come modello e prospettiva di vita i valori materiali.
Strettamente legato a questo fenomeno, il cambiamento climatico che subisce il nostro pianeta ci spinge a unire gli sforzi per trovare una soluzione a ciò che certamente, e a brevissimo termine, diventerà una situazione di emergenza globale. Ciononostante, tra le voci esperte in ambiente che partecipano regolarmente alla discussione in ambiti quali il Protocollo di Kyoto e la Convenzione delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, quelle dei popoli indigeni sono state totalmente emarginate.
Per migliaia di anni, noi popoli originari abbiamo saputo convivere con la natura, rispettando i suoi cicli di vita e di rigenerazione. Per noi la natura è parte delle nostre stesse vite; concepiamo la vita come un tutto, dove i distinti elementi convivono per mezzo di complessi meccanismi di rispetto in un concerto dal fragile equilibrio. L'esperienza dei nostri popoli nella conservazione e nella protezione dei boschi e della biodiversità, e nel mantenimento di ecosistemi essenziali, può diventare un ulteriore contributo a favore di un cammino armonico dell'umanità in questo nascente secolo XXI.
Purtroppo, quando si tratta di prendere in considerazione i nostri suggerimenti, proposte e avvertimenti sui danni irreversibili che l'attuale modello di sviluppo sta cagionando, siamo ignorati e alla nostra partecipazione sono posti dei limiti, riproducendo lo stesso sistema escludente e discriminatorio che domina tutti gli altri ambiti decisionali internazionali.
Uno dei migliori esempi di questo fenomeno storico di emarginazione, nonostante possa apparire paradossale, si evidenzia nei meccanismi che riguardano la partecipazione alla prossima Conferenza mondiale contro il razzismo, la xenofobia e le forme collegate d'intolleranza che avrà luogo nella città di Durban, Sudafrica, alla fine del corrente mese di agosto.
Faccio riferimento alla mancata inclusione nel documento originale della convocazione di un capitolo specifico che tratti la nostra realtà. In questo modo, non si raccoglie l'essenza delle rivendicazioni che i nostri popoli hanno ribadito in tutti gli eventi preparatori della conferenza e che possono essere riassunti nel rispetto della nostra esistenza come popoli, nel riconoscimento del nostro contributo storico allo sviluppo dell'umanità e nel nostro diritto a uno sviluppo sostenibile, degno ed equo, con pieno accesso e controllo dei nostri territori e risorse.
Noi popoli indigeni non siamo disposti a vedere, ancora una volta, le nostre rivendicazioni storiche distorte e svendute. Non ci presteremo a sostenere un accordo che consenta alla Conferenza di procedere a spese della nostra dignità e dei nostri diritti. Non riconosciamo a nessuno il diritto di ritagliare o di condizionare le nostre richieste e, assieme a queste, quelle di movimenti sociali e di milioni di uomini e donne che subiscono discriminazioni per cause molteplici e che si aspettano da questa Conferenza una parola chiara e energica contro l'immobilismo e l'impunità.
Nel mondo di oggi, la nostra presenza sfida la mancata promessa del sistema delle Nazioni Unite di porre fine ai regimi neocoloniali che hanno soggiogato i nostri popoli e creato obbrobriose istituzioni di schiavitù e di servitù.
Dobbiamo continuare a lottare affinché la Giornata internazionale dei popoli indigeni non resti un evento meramente simbolico. Dobbiamo interpellare i governanti dei nostri paesi, i dirigenti delle nazioni più potenti e gli alti funzionari degli organismi mondiali che dettano le direttrici globali, per esigere un arresto nella marcia che permetta di riflettere e di fermare questa voragine che ci trascina. È tempo di sommare i nostri sforzi e saggezze per invertire fenomeni tanto pressanti come la distruzione dell'ambiente, l'acutizzazione della povertà e della fame, l'intolleranza, il razzismo e l'esclusione.


L'autrice è Premio Nobel per la pace
Traduzione di Guiomar Parada