La Repubblica 29 luglio 2001 Genova,
tutti i "buchi neri"
di GIUSEPPE D'AVANZO e ANAIS GINORI
ROMA - Governo ladro, a Genova piove tutta la notte tra giovedì 19 e venerdì 20
luglio. Lo Stadio Carlini diventa una pozzanghera e in quella risaia dormono, o almeno
tentano di dormire le Tute Bianche. Di buon mattino, la città è deserta e silenziosa
come una casa sgomberata. Non c'è un negozio con la saracinesca alzata o un'auto privata
in movimento, i tassisti si rivoltano ancora nel letto. Oggi non lavoreranno. Nessuno
lavorerà oggi a Genova.
E' il giorno. Se poi sarà un gran giorno (un giorno di civile protesta) o un giorno
tragico (un giorno di violenze e di aggressioni) ancora nessuno può dirlo.
SONO in programma due cortei autorizzati e otto punti di manifestazioni concordati con la
Questura. La "zona rossa" è lontana, gli Otto Grandi sono lontani, come gli
ottomila dignitari delle delegazioni. I 241 accesi alla Città Proibita sono più blindati
di Fort Knox, bloccati da sbarramenti di metallo e cemento, presidiati da autoblindo,
cavalli corazzati, idranti, agenti antisommossa. Ma non è su quella linea di confine che
si potrà valutare che giorno sarà perché la battaglia, se battaglia ci sarà, non
scoppierà sul confine della "zona rossa". Nessuno lo ha mai davvero pensato.
Né la polizia né le Tute Bianche né i black bloc. Molti osservatori di una qualche
esperienza, come i cronisti che hanno seguito il popolo di Seattle a Praga, Nizza,
Goteborg, si attendono le prime baruffe intorno allo Stadio Carlini. La polizia invece
gioca a sorpresa un'altra carta, come fosse un jolly. Non si vede casco azzurro o nero nei
dintorni del Carlini. Nella notte sono stati tirati su alti muri di containers che
chiudono tutti gli accessi a piazza Verdi, tra la stazione di Brignole e l'inizio di via
XX Settembre, protetta da una seconda barriera di acciaio. Sono rimasti aperti soltanto
tre varchi a levante, via Canevari, via Tolemaide e corso Buenos Aires. L'obiettivo del
piano appare chiaro. Per convogliare cortei e manifestanti in un collo di imbuto dove la
violenza, nelle previsioni o auspici, può essere tenuta sotto controllo. La mossa non
sfugge agli strateghi della Tute Bianche che avvertono: "Piazza Verdi rischia di
diventare una trappola brutale in termini militari". Mentre il campo del Carlini si
desta sulle note del Guglielmo Tell di Gioacchino Rossini - come in Arancia Meccanica, una
scarica di adrenalina - la mossa della polizia appare felice perché deprime l'iniziativa
delle Tute Bianche, ne confonde i programmi, le rende consapevoli del rischio di giocare
su un campo in cui sono state mutate nottetempo le dimensioni e le caratteristiche. Ma per
essere davvero felice la mossa della polizia aveva bisogno di essere preceduta da una
efficace attività preventiva che escludesse l'inserimento dei black bloc nei due cortei.
* * * Ora, secondo un rito molto italico, c'è una diffusa voglia di liquidare le ragioni
di quanto è accaduto a Genova con una sola spiegazione o decisione sbagliata o
responsabilità ambigua come se fosse davvero possibile per un solo centro di comando,
politico o tecnico che sia, prevedere tutte le situazioni, tutti gli sviluppi, tutte le
conseguenze. La verità è che in campo a Genova ci sono state più strategie e
responsabilità. Dalla parte delle forze dell'ordine, dei manifestanti, del governo.
Queste strategie e responsabilità si sono scontrate, annullate e esaltate in un
eterogenesi dei fini che, alla fine, ha provocato la catastrofe che abbiamo avuto per tre
giorni sotto gli occhi. Ma per sciogliere i nodi che ingarbugliano il dossier Viminale
bisogna fermare due immagini del primo giorno che ben illuminano la défaillance
dell'analisi delle forze dell'ordine e l'irresponsabile doppiezza di Luca Casarini. Il
capo delle Tute Bianche, secondo molte testimonianze raccolte da Repubblica, tratta nella
notte tra giovedì e venerdi, con il Black bloc. Casarini ne conosce i capi, ne conosce le
forze e gli obiettivi. In quella notte conviene con i "neri" di ritardare la
partenza del corteo delle Tute Bianche per lasciare loro campo libero alla scorribanda.
Dal proprio canto, le forze di polizia con una pericolosa semplificazione pensano di
controllare con le Tute Bianche anche i black bloc e lasciano colpevolmente cadere le
segnalazioni e le denunce che indicano gli edifici e i campi occupati dai Black nei
dintorni di Genova. E' il caso di Quarto. Qui le tute nere s'installano, strappando
all'ala radicale del movimento un edificio della Provincia. Racconta l'assessore al
patrimonio Eugenio Massolo: "Abbiamo avvisato Prefetto e Questore del fatto che
alcuni violenti stavano devastando le nostre strutture, armandosi con spranghe e coltelli.
Ma gli agenti, intervenuti per ben due volte fuori dai cancelli, non sono mai entrati in
azione". E' una sciatteria che costa cara ai manifestanti e al piano predisposto
dalla polizia. Perché a Quarto non c'è stata nessuna perquisizione? *** Non sono più di
trecento. Sono vestiti di nero e vengono da Quarto verso la Foce. Vogliono raggiungere
piazza da Novi dove confluisce il corteo dei Cobas e del Network dei diritti globali, i
centri sociali "non dialoganti" Vittoria e Transitati (Milano), Askatasuna e
Murazzi (Torino) e Officina 99 (Napoli): almeno cinquemila persone. I trecento fanno ciò
che vogliono lungo il tragitto al grido di Smash, distruggi. La polizia non interviene. I
black bloc agiscono con molta naturalezza. Ricorda l'edicolante di corso Torino:
"Alcuni si sono fermati al distributore di benzina e lì si sono messi le tute
nere". Un'altra testimone aggiunge: "Ero nel corteo pacifico dei pink. Accanto a
me un ragazzo inglese si è improvvisamente tolto la maglia rosa: sotto aveva la tuta
nera". Il ministro dell'Interno Scajola ha confermato in Parlamento sette giorni fa
che "appartenenti al movimento contro la globalizzazione hanno confluito in piazza da
Novi. Qui sono stati raggiunti da circa trecento teppisti e hanno dato vita a tafferugli e
aggressioni nei confronti delle forze dell'ordine, costringendo gli aderenti al noglobal
ad abbandonare la piazza loro assegnata". Quel che il ministro non riesce a spiegare
è perché le forze di polizia presenti in massa in un luogo previsto come ad alto rischio
non siano intervenute in questo momento. Era il momento più adatto in un luogo
predisposto per la controffensiva delle forze dell'ordine. Invece, nulla accade. Perché?
I black bloc distruggono negozi, agenzie immobiliari, banche, anzi fanno di più. Ne
devastano gli interni, rovistano nei cassetti, sfasciano scrivanie e computer. Si
trattengono anche per decine di minuti in quei "sacrari del capitalismo
globale". Accade per esempio al Credito Italiano in corso Torino. Le cariche della
polizia cominciano soltanto più tardi. Alle 12.05 e durano un'ora. In quell'ora da piazza
Paolo da Novi, le "tute nere" si spingono lungo via Trebisonda verso il
quartiere Foce, devastando ogni cosa. Costruiscono barricate con auto incendiate e
cassonetti. Circolano indisturbate per la città fino al carcere di Marassi, mentre la
polizia sembra ormai aver smarrito la lepre che stava cacciando e si accanisce contro
tutti coloro che possono sembrare dei manifestanti. La prima vittima è Lorenzo Marvelli,
un volontario medico del Gsf. La seconda un cameraman francese. Per due giorni gli scontri
di Genova avranno questo schema. Poche centinaia di "tute nere" si abbandonano a
un'ostinata distruzione della città, sostenute e guidate in qualche caso da autonomi e
anarchici italiani. Tra loro anche nazisti come Liam Stevens, 26 anni di Birmingham che
racconta, in via Casaregis, a una cronista di Repubblica: "Sono qui per spaccare
tutto. Sono un nazi, non un anarchico. I fratelli italiani ci hanno assicurato che la
polizia ci avrebbe lasciato fare quel che volevamo". Forse Liam è uno sbruffone, ma
è quel che accade davvero. Le "tute nere" fanno il loro lavoro con relativa
tranquillità a Genova, mai inseguite dalle forze dell'ordine che non riescono ad isolarle
dal grande corpo dei cortei che, alla fine, paga le conseguenze della reazione tardiva e
brutale degli agenti. Come accade alle 14,55 di venerdì in via Tolemaide, al corteo dei
10mila "disobbedienti" delle Tute Bianche. E' un fuggi fuggi generale. Nella
strada diventata un budello ci sono incredibili scene di panico. Non si respira, chi cade
è pestato e picchiato dai carabinieri. Accade in piazza Manin, un'ora dopo, dove i gruppi
pacifisti di Lilliput sono caricati mentre alzano le mani dipinte di bianco. Scene di resa
disperata. Come succede ancora sabato, quando viene caricata la testa del corteo
internazionale partito da La Sturla e arrivato in piazza Rossetti. O come accade
all'altezza di Punta Vagno dove ambientalisti e cattolici rimangono isolati e poi
picchiati senza aver possibilità di fuga. Una foto ritrae il terrore di un disabile
rovesciato a terra dalla sua carrozzella. *** Si può dire che le forze dell'ordine
scaricano sulla folla inerme il senso di impotenza per non essere riusciti a tagliare la
strada alle incursioni dei casseur. Con ogni probabilità è questo sentimento che anima
gli agenti - non tutti, per fortuna - che picchiano ad occhi chiusi anche donne e padri
con al collo bambini di cinque anni. Molto deve aver pesato in questi momenti una vistosa
disorganizzazione dei 6.800 agenti antisommossa che presidiavano la zona gialla. Una
smagliatura che ha avuto la sua parte anche in piazza Alimonda quando alle ore 17.26 di
venerdì muore Carlo Giuliani. *** Nella foto che pubblichiamo in queste stesse pagine, è
evidente come un nutrito gruppo di aggressori abbia accerchiato la Land Rover dei
carabinieri. Ma un dettaglio da tenere in considerazione lo si rintraccia in alto a
sinistra della foto, dove si vedono due carabinieri in assetto di guerra a non più di
venti metri dalla jeep. Sono in due, uno di loro guarda sorpreso, e come paralizzato, la
scena. L'altro è più reattivo, è girato di spalle, ha il braccio alzato e chiama i
rinforzi. Il drappello dei carabinieri è poco più in là, a trenta metri. Dall'altra
parte della piazza c'è un altro drappello di poliziotti che presidia l'angolo con via
Caffa. Sono pochi attimi ed è difficile ora dire che cosa abbia impedito a quegli uomini
di intervenire. *** La morte di Carlo Giuliani è come uno specchio per ognuno dei
protagonisti dei giorni di Genova. Ciascuno in quella tragedia può vedere i propri
eccessi e le proprie responsabilità. I leader del Genoa Social Forum possono ripensare a
quella notte di trattative, alle complicità che hanno assicurato ai black bloc e agli
anarchici che li sostenevano. Le forze dell'ordine possono vedere gli effetti nefasti
prodotti da un uso non responsabile della violenza. Anche il governo potrebbe
rintracciare, se lo volesse, la sottovalutazione di un appuntamento che non aveva la sola
priorità dell'incontro tra i Grandi ma anche il diritto a manifestare pacificamente il
dissenso. Un diritto travolto dai violenti ma anche da chi avrebbe dovuto, come la
polizia, evitarne le incursioni in lungo e in largo nella città. Con la morte di Carlo
Giuliani la "battaglia di Genova" vive un momento di sospensione, quasi di
riflessione collettiva. Non dura più di qualche ora. Quella domanda che era nella mente
di tutti - sono anch'io responsabile della morte di Carlo? - è spazzata via da quel che
accade nel cuore della notte in via Cesare Battisti, tra le scuole Diaz e Pertini. ***
C'era un poliziotto infiltrato che da qualche giorno dormiva come gli altri in un sacco a
pelo nelle aule della Diaz. Era lì, guardava, annotava chi entrava, chi usciva, che cosa
fumava, come si armava. La polizia dunque sapeva che nell'edificio considerato
"sgombro" dal Social Forum era diventato un porto di mare che ospitava
soprattutto stranieri delle "tute nere". Alla Diaz si poteva intervenire già da
qualche giorno e c'era un piano, poi abbandonato, per rastrellare i black bloc arrivati in
città fin dal 15 di luglio. Lo rivela Adolfo Sabella, magistrato e ispettore del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria: "Nella caserma di Bolzaneto del
reparto celere di Genova, il ministero della Giustizia si era già attrezzato per ricevere
prima dell'inizio del G8 decine di fermati da trasferire in carcere". Perché questo
piano sia stato abbandonato nel corso del tempo non è chiaro e merita una risposta. E' un
fatto che nessuna azione di disturbo o di identificazione delle "tute nere"
presenti nell'edificio è stata fatta fino alla notte di sabato, quando settanta uomini
del reparto celere piombano nella scuola abbandonandosi ad una violenza che più che
gratuita è sembrata vendicativa. E vendicativa è parsa anche al giudice delle indagini
preliminari che ha giudicato illegittimo l'arresto, infondata l'ipotesi di accusa,
mandando liberi 92 dei 93 fermati. Quindi nel sacco rimane una sola, presunta "tuta
nera". E' un risultato mortificante che lascia in ospedale 62 ragazzi gravemente
feriti e gravemente vulnerata l'immagine internazionale del Paese. Ma il blitz di via
Cesare Battisti svela anche l'evidente incapacità di prevedere le mosse dei black bloc;
l'inutilità di un temporeggiamento che ha permesso ai "neri" di distruggere
quanto volevano distruggere; il fallimento di chi neanche a partita chiusa è riuscito a
individuare i responsabili. Che, evidentemente, hanno potuto far ritorno nelle loro città
in attesa del prossimo appuntamento noglobal. *** La battaglia di Genova si chiude negli
stanzoni attrezzati a celle della caserma di Bolzaneto. Per tutte, vale qui ripetere la
testimonianza di Evandro Fornasier, torinese, 39 anni, raccolta da Repubblica. "Per
circa cinque ore, a turno, i militari ci hanno usato violenze di vario genere: la testa
contro il muro, calci sui testicoli, schiaffi, colpi al torace, gas urticante in faccia. E
insulti continui: "Comunisti di merda", "froci" oppure "perché
non chiamate Bertinotti o Manu Chao?". Ci facevano sentire con le suonerie dei
cellulari Faccetta Nera. Ci hanno cantato una litania che ho memorizzato: uno due tre viva
Pinochet, quattro cinque sei a morte gli ebrei, sette otto nove il negretto non
commuove". Quel che è accaduto a Bolzaneto non ha nessuna giustificazione. Come
nessuna giustificazione ha il miserabile scaricabarile che si registra tra chi era in quel
luogo tra sabato notte e lunedì notte. Il reparto celere di Genova, padrone di casa,
indica nel reparto celere di Roma, gli ospiti, i responsabili dei pestaggi. Il reparto
celere di Roma alza il dito contro il gruppo operativo della polizia penitenziaria, difesa
dal magistrato presente in caserma in quelle ore, Adolfo Sabella. Sabella ammette le
violenze, scagiona i suoi, ma non è in grado di dire se quelle violenze e i responsabili
li ha in quelle ore o nelle ore successive denunciate all'autorità giudiziaria. Il fatto
è che dopo le decine di testimonianze raccolte dai media, non c'è nessun rappresentante
delle forze dell'ordine che ha negato le violenze: tutti si sono limitati a chiamarsi
fuori da quel che è accaduto. Come se quella caserma, per tre giorni, si fosse
trasformata in una terra di nessuno, dove nessuno era responsabile del proprio
comportamento. |