Corriere della sera 2 agosto 2001
«Via dalla polizia il capo del reparto mobile di Roma»

I dossier degli ispettori: Canterini voleva sparare lacrimogeni nella scuola, disse di non poter fermare i suoi uomini

ROMA - Davanti al cancello della scuola «Armando Diaz» chiuso con un lucchetto, sabato 21 luglio intorno alle 23.30, ci fu un colloquio piuttosto concitato tra due poliziotti con ruoli e responsabilità diverse, ma entrambi importanti. Uno di più, ed era Arnaldo La Barbera, capo dell’Antiterrorismo; l’altro era Vincenzo Canterini, comandante del primo Reparto mobile di Roma. Bisognava perquisire l’edificio diventato una sede del Genoa social forum per il contro-vertice G8, anche se il responsabile del Gsf, interpellato dal capo della Digos, aveva ammesso di non poter dire chi potesse esserci, là dentro.

L’IRRUZIONE - Dall’interno della scuola arrivavano i primi segnali di resistenza, e davanti al lucchetto chiuso La Barbera propose a Canterini una ritirata, magari per organizzare meglio gli uomini e riprovare in un secondo momento. Ma il capo dei «celerini» rispose che no, ormai non poteva più bloccare i suoi uomini, e che bisognava entrare comunque. In effetti entrarono, quegli uomini, e la perquisizione si trasformò in un pestaggio, con due «occupanti» su tre finiti all’ospedale con ferite e lesioni anche gravi.
Questo episodio è raccontato nella relazione sul blitz alla «Diaz» firmata dall’ispettore Pippo Micalizio e finita sui tavoli del capo della polizia e del ministro dell’Interno, ed è uno degli elementi in base ai quali l’ispettore propone - nei confronti del primo dirigente Canterini - l’apertura di un procedimento disciplinare finalizzato all’«irrogazione della sanzione più grave prevista dal regolamento di disciplina: la destituzione dalla polizia di Stato». Insomma, secondo la relazione quel poliziotto non è più degno di indossare la divisa (o la tuta che veste quando va in piazza) dell’istituzione cui appartiene, e dev’essere cacciato. Non solo a causa di quel colloquio, ma perché prima, durante la riunione preparativa del blitz, aveva addirittura proposto di usare i lacrimogeni all’interno dell’istituto. Ancora una volta fu La Barbera ad opporsi e a raccomandare di lasciare da parte i candelotti; in quell’occasione riuscì ad imporsi. Ancora, l’ispettore rileva che Canterini ha dato versioni diverse e contraddittorie sulle modalità dell’irruzione nella scuola: altro comportamento giudicato deprecabile, visto che si sta parlando di un episodio degenerato in violenze sicuramente eccessive e ancora non chiaro.


GLI ALTRI PROCEDIMENTI - La posizione del comandante del Reparto mobile di Roma è l’unica per la quale Micalizio ipotizza la possibile conclusione del procedimento disciplinare; per gli altri dirigenti presenti sul posto, si suggeriscono altrettante istruttorie che dovranno chiarire le eventuali negligenze e responsabilità, ma senza anticipare alcun giudizio. Così è per il questore Francesco Gratteri, capo del Servizio centrale operativo e come tale responsabile del controllo della «zona rossa» della città (dove non è avvenuto praticamente nulla), giunto alla «Diaz» in ritardo rispetto agli altri funzionari. E così è per l’altro questore che ha partecipato al blitz - il vice di La Barbera, Giovanni Luperi - e per l’altra decina di dirigenti presenti al momento dell’irruzione.
Per il prefetto La Barbera, come si sa, l’ispettore Micalizio ha rimesso ogni valutazione al ministro e al capo della polizia, pur facendo rilevare che il suo comportamento non fu «indenne da censure». Per non aver preso in mano le redini di un'operazione senza responsabili, pur essendo il poliziotto più alto in grado in quel momento, nemmeno di fronte all’insistenza di Canterini nel voler entrare nella scuola, e per essersi allontanato mentre la perquisizione trasformatasi in operazione di ordine pubblico era ancora in corso.
Nessun riferimento, nelle conclusioni della relazione, viene fatto al prefetto Ansoino Andreassi, il vice-capo vicario della polizia inviato dal prefetto De Gennaro a Genova come responsabile dell’organizzazione del G8, ma il suo nome compare nel documento. Sia per il ruolo rivestito, sia perché, nella questura di Genova, c’era anche lui quando maturò la «decisione collettiva» di procedere alla perquisizione. Andreassi diede il suo assenso (l’unico che propose di posticipare l’operazione all’alba seguente sarebbe stato Gratteri) ma non vi partecipò, anche perché il suo compito era relativo alla garanzia dell’ordine pubblico, mentre quella alla «Diaz» doveva essere, nelle intenzioni iniziali, una semplice operazione di polizia giudiziaria.
Tuttavia, nella sua relazione, l’ispettore Micalizio valuta criticamente quello che s’è verificato a Genova durante i giorni del G8 sul piano della «linea di comando» delle operazioni: inviare nello stesso luogo tanti «numeri uno», senza l’attribuzione di responsabilità specifiche e precise distribuzioni dei ruoli, si sarebbe rilevato un errore. E ciò che sta accadendo in queste ore, con le conclusioni dell’ispezione che - quasi inevitabilmente, per via delle «responsabilità oggettive» - si riversano in primo luogo sul questore di Genova e sugli altri dirigenti locali della polizia, appare una conseguenza di questa impostazione.
Per il questore Colucci è stata esplicitamente proposta la rimozione dall’incarico, per l’«inadeguatezza» dimostrata nel dirigere e coordinare le operazioni e per la «perdita di prestigio» conseguente alla guerra del G8, ma dal capoluogo ligure si risponde che in realtà la questura era stata «commissariata» dai tanti dirigenti venuti da Roma, e che dunque è difficile accollare tutte le responsabilità sull’autorità locale di pubblica sicurezza. Considerato quanto scritto da Micalizio, sembra questo uno dei nodi più complicati da sciogliere per il capo della polizia e per il ministro dell’Interno. Da ieri mattina al Viminale c’è pure la terza relazione sui fatti di Genova, quella sulle violenze a cui si sarebbero lasciati andare poliziotti, carabinieri e finanzieri per le strade di Genova durante i due giorni delle manifestazioni, che però - secondo il ministro Scajola e De Gennaro - ha bisogno di ulteriori «approfondimenti».


I FILMATI SUGLI SCONTRI - L’ispettore Lorenzo Cernetig (ex-questore di Venezia, un'esperienza maturata soprattutto nei Reparti celeri e mobili) ha visionato i filmati televisivi che hanno messo sotto accusa le forze dell’ordine, cercando di «contestualizzare» quegli episodi tra il prima e il dopo, inserendole nella complessità delle situazioni e degli altri eventi che hanno generato le cariche. E per quanto riguarda il vice-capo della Digos di Genova Perugini, ripreso mentre sferra un calcio su un giovane steso a terra, si sospende ogni giudizio disciplinare perché potrebbero esserci gli estremi per un procedimento penale. Il dirigente s’è giustificato sostenendo che stava procedendo a un arresto, ma questa versione non ha convinto l’ispettore.
In generale, anche Cernetig avrebbe rilevato delle «deficienze organizzative» nella gestione dei servizi di ordine pubblico, come del resto aveva annotato nella sua relazione pure il prefetto Andreassi. Proprio il vice-capo della polizia presente a Genova aveva avanzato critiche sulla «predisposizione generale dei servizi», per esempio per ciò che riguarda la «mobilità dei reparti» schierati in piazza che troppe volte non è stata all’altezza della situazione.
In almeno un paio di occasioni i carabinieri non sarebbero arrivati in tempo per «chiudere» i Black Bloc già controllati su un lato dalla polizia. E nel suo lavoro, l’ispettore Cernetig ha raccolto testimonianze sul cattivo funzionamento dei collegamenti radio con la sala operativa, con conseguenti, seri problemi di comunicazione con chi, in strada, doveva fronteggiare i manifestanti violenti. In particolare, il funzionario che guidava gli uomini presenti a Marassi durante un assalto di contestatori non sarebbe riuscito a mettersi in contatto con la questura.


L’INCHIESTA SU BOLZANETO - La relazione sulla caserma di polizia adibita a centro di accoglienza per i «prigionieri», firmata dall’ispettore Salvatore Montanaro, è già da martedì a disposizione di De Gennaro e di Scajola. Per gli episodi censurabili o da approfondire, denunciati da molti detenuti che sono passati da lì, e che hanno trovato parziali conferme, l’ispettore non è riuscito ad individuare responsabilità specifiche, assistendo ad una sorta di «scaricabarile» tra le persone ascoltate. Di qui l’addebito mosso al questore Colucci di non aver nominato un responsabile della struttura che potesse rispondere di ciò che avveniva all’interno.
Su Bolzaneto, nel frattempo, sarà svolta una nuova inchiesta da parte di una commissione nominata al ministero della Giustizia, dopo che alcuni testimoni hanno riferito di pestaggi eseguiti da agenti della polizia penitenziaria. Una prima relazione redatta dal direttore dell’Ispettorato Alfonso Sabella è già agli atti delle inchieste, e lì il magistrato - che era presente a Genova nei giorni del G8 - scagiona i «baschi blu», riferendo tra l’altro che in alcune occasioni poliziotti e carabinieri hanno «fisicamente impedito l’accesso» degli agenti penitenziari ad alcuni locali dov’erano trattenuti gli arrestati.
Giovanni Bianconi