La Repubblica 27 luglio 2001

Castelli e la notte del sangue
"C'ero, non vidi violenze"

LIANA MILELLA


ROMA - «Io, quella notte, a Bolzaneto c'ero. Ho visto delle cose e intendo renderle note». È molto promettente, alle 15 e 52, la dichiarazione che il Guardasigilli Roberto Castelli fa prima di entrare nell'aula della commisione Giustizia del Senato. Sembra quasi preludere a qualche clamorosa rivelazione sui fatti, tutti gravissimi, che si sono svolti nella caserma Bolzaneto di Genova, per metà trasformata in carcere provvisorio e teatro, come la scuola Diaz, di pestaggi da parte delle forze di polizia. Il ministro della Giustizia aggiunge addirittura, sempre a quell'ora, che è sua intenzione andare dai magistrati per «rendere la sua testimonianza». Preannuncia, in più, anche una convocazione ad horas dei vertici del Dipartimento della polizia penitenziaria i cui agenti - quelli dei Gom - sono accusati da un testimone di violenze.
Ma da Castelli e dai suoi dirigenti carcerari non viene affatto una conferma, bensì una smentita che, dopo la riunione serale, si fa ancora più secca e si formalizza in un comunicato di una pagina. Una trentina di righe per negare «pestaggi sistematici e preordinati da parte della polizia penitenziaria». Dunque, quella del ministro è una testimonianza in controtendenza rispetto alle tante prove in arrivo da Genova, in netta difesa delle guardie e non certo di denuncia di malefatte. Dice Castelli: «Sono stato a Bolzaneto e finché mi sono trattenuto ho visto una situazione totalmente diversa da quella descritta dai quotidiani di oggi». E cioè da "Repubblica" che ha riferito la testimonianza di un poliziotto. «Ci tengo a dirlo - aggiunge il Guardasigilli - perché l'ho visto con i miei occhi».
Non è difficile ricostruire la visita del ministro della Giustizia a Genova, nella notte tra sabato e domenica, e precisamente tra le 24 di sabato e le 2 di domenica. Ad attenderlo nel carcere di Marassi c'era Alfonso Sabella, un ex pm antimafia della procura di Palermo, che è stato il responsabile del Dap a Genova per tutto il G8. Il ministro si è fermato più a lungo a Marassi e poi per venti minutimezz'ora al massimo, tra l'una e le due, è passato per Bolzaneto. Praticamente proprio nelle stesso momento in cui, alla scuola Diaz, avveniva la perquisizione a suon di botte della polizia. In quella mezz'ora Castelli - e Sabella con lui - non hanno notato nulla di anomalo.
Tuttavia un'inchiesta interna sarà fatta comunque. L'ha decisa il ministro dopo essersi incontrato, per due ore, con gli attuali vertici: il responsabile del Dap Paolo Mancuso (che da oggi torna a Napoli come procuratore aggiunto), il vicedirettore Emilio Di Somma, Sabella e i due generali a capo dei Gom Mattiello e delle traduzioni Ricci. Sarà un'inchiesta condotta con i magistrati. Ma, sin d'ora, si può capire che al Dap tendono ad autoassolversi. Innanzitutto, ci tengono a mettere in chiaro che a Genova non c'era un ex generale del Sisde, che poi sarebbe Enrico Ragosa, a capo dei Gom che sono invece comandati da Mattiello e che quegli agenti «non portano né hanno in dotazione guanti neri». In più, i cento del Gruppo operativo mobile avrebbero «operato esclusivamente all'esterno dell'edificio», mentre all'interno ci sarebbero state solo tre agenti donna che avrebbe avuto «gesti di solidarietà verso alcuni arrestati, soprattutto le ragazze, con la fornitura di indumenti e generi di prima necessità».
Quanto alle botte le prime verifiche fatte da Sabella darebbero risultati negativi. Il controllo non è difficile, spiegano al ministero, perché esiste un primo referto sulle condizioni mediche della persona fermata non appena portata a Bolzaneto e poi il documento del controllo definitivo quando il detenuto viene tradotto in carcere. Se i due referti sono difformi allora vuol dire che qualche agente ha ecceduto. Ma finora, dai controlli a campione, non risulterebbero anomalie.
Naturalmente il lavoro su 222 detenuti passati, in tre giorni, per Bolzaneto richiederà qualche giorno. È evidente anche che, al Dap, non se la sentono di negare quanto i fermati «arrivassero in cattive condizioni per le botte che avevano già preso». Ed è anche chiaro che Castelli non può, politicamente, calcare la mano sulle responsabilità della polizia. Ma il suo atteggiamento - cioè quello di un ministro che si è mosso in piena notte per andare a verificare di persona che cosa stesse succedendo a Genova - è complessivamente positivo verso i suoi agenti penitenziari che, di quella caserma, occupavano soltanto una metà e avevano un compito ben preciso e delimitato. Insomma, garbatamente, la risposta è: noi non abbiamo fatto nulla, semmai la colpa è di altri.