Manifesto 4 agosto 2001

Che fare dopo Genova
Interrogativi sulle questioni aperte dopo il successo della mobilitazione
GIULIO MARCON *


Il successo della mobilitazione di Genova può essere esemplificato da evidenti risultati: a) l'iscrizione del tema delle conseguenze rovinose della globalizzazione nell'agenda dei "grandi"; b) il coinvolgimento dell'opinione pubblica che in parte crescente ha espresso consenso al movimento contro il neoliberismo; c) la morte dei vertici G8 così come li avevamo conosciuti fino ad ora: quello di Genova sarà l'ultimo nel suo genere; d) la nascita di un movimento (che sembra andare oltre Genova), di una "coalizione sociale" eterogenea e articolata che rimette al centro la politica e il tema delle alleanze tra soggetti diversi.
Naturalmente non mancano punti sui quali sarà necessario interrogarsi: l'incapacità di previsione, della durezza della risposta delle forze dell'ordine, la sottovalutazione dell'impatto dell'azione dei Black Bloc e - questioni dirimenti per il futuro - l'insufficiente elaborazione di una progettualità e di contenuti comuni e la permanenza di un margine di ambiguità nella scelta delle pratiche di lotta, anche se va ricordata la scelta chiara del Genoa Social Forum a favore di metodi "pacifici e nonviolenti", scelta rispettata sostanzialmente da tutti i soggetti aderenti.
Va ricordato anche un altro punto su cui interrogarsi: la mobilitazione ha avuto ed ha un forte accento occidentale, del "Nord". I motivi di naturale contestazione determinata dagli eventi ("zona rossa", repressione della polizia, ecc.) ha messo in oggettivo secondo piano la soggettività, i temi, le ragioni, le storie, i movimenti, il protagonismo - cioè la capacità di rappresentazione e di rappresentanza - della realtà del "Sud" del mondo. Luigi Manconi (la Repubblica, 26 luglio) ha ricordato che questo movimento deve imparare a dare ancora più rappresentanza ai temi globali; la simbolicità della "zona rossa" (di cui ovviamente non si vuole tacere l'estremo grave significato) ha fagocitato attenzione ed energie eccessive sino a diventare un tormentone che ha offuscato tutto il resto. Ed è sicuramente da discutere e da approfondire anche l'affermazione di Maurizio Meloni (Redattore Sociale, 30 luglio): "C'è stata una scollatura tra i contenuti e le piazze". Contenuti e mobilitazione avrebbero avuto due velocità diverse.

Nasce un movimento
Il vertice del G8 è stato elemento di accelerazione e di radicalizzazione di questo movimento; altri eventi nell'immediato futuro (marcia Perugia Assisi del 14 ottobre, manifestazione per il vertice sulla sicurezza alimentare della Fao, 10 novembre, il Forum sociale mondiale di Porto Alegre, 1-5 febbraio 2002) possono avere analoga - ma non certo medesima - funzione. Ma un movimento non può certo sopravvivere in funzione delle manifestazioni; né è percorribile all'opposto l'ipotesi della sua trasformazione in "soggetto politico" - strutturato, organico, con una "linea politica" - ipotesi che giustamente Marco Revelli respinge sul settimanale Vita (27 luglio). L'esperienza di Genova si può sviluppare solo come un reticolo di esperienze e di movimenti diversi capace di inclusione e di dialogo (Sullo, il manifesto 26 luglio), ma anche capace di selezionare rigorosamente le priorità, favorendo una pratica di alleanze e di concentrazione degli obiettivi, non con l'allargamento "a tutto campo". L'eterogeneità di questo reticolo di movimenti consiglia di evitare la prefigurazione di approdi definiti e le scorciatoie politiciste e organizzative cui molti sembrano affannarsi con troppa fretta.

I contenuti
E allora, i contenuti. Bisogna difendere e valorizzare la specificità di questa esperienza che, per semplificare, ha le sue caratteristiche nella formula della "globalizzazione dal basso" (Mario Pianta, manifestolibri). Grazie anche a nuove esperienze (di cui difendere l'autonoma articolazione) originate da questo campo di problemi (Attac, Rete Lilliput, Tavola della pace e molte campagne specifiche: Sdebitarsi, Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, ecc.) si sono sedimentati saperi e culture politiche, priorità di iniziativa politica (dalla Tobin Tax alla cancellazione del Debito fino alla democratizzazione delle Nazioni Unite) che - al di là dell'approfondimento delle singole proposte - hanno il merito di partire da un terreno di iniziativa politica concreta e di movimento senza perdersi nella proclamazione di "grandi strategie". E ancora: lotta all'Aids e per l'accesso ai farmaci, applicazione dei protocolli di Kyoto, riduzione delle spese militari, lavoro, cooperazione allo sviluppo: questi e altri temi si iscrivono sull'agenda di un movimento che può trovare a breve termine un concreto riscontro anche negli appuntamenti della ripresa di settembre (finanziaria, mobilitazione delle scuole, lotte dei metalmeccanici).
E proprio l'elaborazione di un terreno "nazionale" di mobilitazione non può essere arbitrariamente delimitata - come fa Bernocchi sul manifesto del 27 luglio - da un'elencazione assai parziale, e comunque da approfondire: lotta alle privatizzazioni, alla precarizzazione, alla flessibilità, alla mercificazione, ecc. Non si possono clamorosamente dimenticare temi come l'impegno contro la guerra (rimozione che non ci dovrebbe contagiare), la condizione e la contraddizione di genere, le esperienze di economie (e comportamenti) "fuori mercato". Cioè temi (e soggettività) di movimenti come quello pacifista, femminista e della militanza sociale (commercio equo, consumo consapevole, economia sociale, ecc.) che in questi anni hanno avuto il merito di portare alla luce convincenti chiavi di lettura (pace/guerra, singolo/genere, mercato/fuori mercato) dell'ordine internazionale, economico e di genere rimettendo in discussione i paradigmi di una cultura politica di sinistra che ha ancora difficoltà nel liberarsi da una concezione "militare" e "muscolare" (cioè maschile) della politica e da un'idea della "soggettività sociale" appiattita da una parte puramente sulla dinamica rivendicativa e dall'altra unicamente sulla dimensione del lavoro - salariato, o precario che sia - a scapito di una inclusiva pratica della "cittadinanza" e dei suoi diritti.

Le pratiche
E questo si riflette anche sulle "pratiche"; soprattutto - attraverso il rifiuto di quella concezione "muscolare" della "politica guerreggiata" (Luana Zanella, il manifesto 22 luglio) - con l'estraneità alla retorica (in caso di simulazione) e alla pratica (se reale) dello scontro che invece di far risaltare simbolicamente le ragioni del conflitto, rischia di banalizzarlo con la sua mediatizzazione tipica da "società dello spettacolo". Ciò che viene stigmatizzata è, cioè, l'idea che la politica sia "la continuazione della guerra con altri mezzi" in una concezione di essa come "scontro esiziale", dentro la dinamica "amico-nemico" che ha visto concordi pensatori di matrice ed epoca assai diversa, da Engels a Carl Schmitt. Su questo aspetto - come ricorda Revelli in "Oltre il Novecento" - la sinistra sconta la subordinazione culturale e teorica ad una visione della politica come "forza" o "potenza", visione (con la quale la destra si è sempre trovata a suo agio) contestata con passione e radicalità nel '900 da Simone Weil. Per questo ha ragione Marco Revelli su Vita (27 luglio) quando afferma che bisogna evitare "il terreno degli altri", mentre giustamente Gigi Sullo (il manifesto, 26 luglio) ricorda: "Se ci si immagina di scontrarsi con il potere usando le sue armi, nelle piazze e nei media, si è già sconfitti". Acquista in questo senso maggior risalto il percorso che le "tute bianche" hanno fatto in questi mesi sperimentandosi a Genova sul terreno della "disobbedienza civile", scelta che - con la pratica degli zapatisti dello "spiazzamento" (che, appunto, evita lo scontro frontale) - è un patrimonio prezioso di dibattito e di confronto per tutti noi.
E' in questo contesto che ricondurre - come fa Bernocchi - gli autori delle violenze (Black bloc, sostanzialmente) ad un "problema sociale che richiede indispensabili proposte di trasformazioni dell'esistente" (manifesto, 27 luglio) è tanto ovvio (vale anche per gli Ultras del Milan), quanto insufficiente. L'analisi sociologica ("un problema di disagio sociale") e la denuncia della trappola ("ci sono infiltrati") vanno completate - pena l'ambiguità - con una valutazione politica. Cioè quella di Agnoletto: "Sono nostri avversari", ribadendo così non solo l'estraneità, ma la contrapposizione a queste forze.

Pacifisti e mondo cattolico
E' evidente in questo senso i rischi che potrebbe correre questo movimento così vario e articolato, venendo meno a questa impostazione: perdere consensi e simpatie nel mondo cattolico e pacifista (e non solo in questo). E' un rischio che va evitato. Susan George dice: "Ora, il movimento per una diversa globalizzazione è in pericolo... senza la garanzia di manifestazioni pacifiche poco a poco la base si allontanerà, l'unità di adesso si sbriciolerà" (il manifesto, 26 luglio). Con questo mondo è possibile un incontro sulla radicalità dei contenuti e delle proposte; è impossibile su quello della "politica guerreggiata" (rappresentata o reale) o, peggio, dello scivolamento violento delle azioni e delle reazioni. E' da segnalare inoltre (si era già visto a Porto Alegre) come parte del movimento di Genova non colga appieno il significato della logica della guerra o del riarmo nell'ambito delle strategie neoliberiste. In questo senso il Gsf ha sottovalutato l'importanza di indicare come primo appuntamento della mobilitazione - prima della manifestazione in occasione del vertice sulla sicurezza alimentare della Fao a Roma, il prossimo 10 novembre - la marcia per la pace da Perugia ad Assisi, il prossimo 14 ottobre, e la IV Assemblea dei popoli delle Nazioni Unite che si terrà nei giorni precedenti. Slogan della marcia è proprio la "globalizzazione dal basso" e le richieste sono: "cibo, acqua, lavoro per tutti". Occasione di incontro di culture ed esperienze diverse la marcia pacifista da Perugia ad Assisi può essere il modo - prima del 10 novembre - per riprendere un cammino, insieme, discutendo e dialogando. Sicuramente con tutti quelli che già a Genova hanno scelto la strada della nonviolenza e della mobilitazione pacifica, anche con la disobbedienza civile. E con tutti coloro che hanno a cuore le sorti di un movimento ampio, partecipato e democratico. Se poi i promotori della IV Assemblea dei Popoli delle Nazioni Unite e della marcia Perugia-Assisi invitassero Vittorio Agnoletto a parteciparvi e a ad intervenire, sarebbe proprio una bella notizia.

* Presidente dell'ICS
(Questo intervento è un estratto di un articolo più lungo che uscirà sul numero di settembre-ottobre della rivista Lo Straniero, diretta da Goffredo Fofi)