La Regione Ticino 7 agosto 2001

Genova, Chiese e globalizzazione
di Paolo Tognina, Novaggio
A Genova l'eterogeneo popolo "no-global" si è incontrato per scoprire di essere unito su alcuni principi condivisi da tutti e intorno alla convinzione che "un altro mondo è possibile". E accanto alle associazioni e alle Organizzazioni non governative promotrici del commercio equo, della cancellazione del debito e della lotta contro l'aids, ai sindacati e ai movimenti politici che puntano alla trasformazione delle istituzioni e agli attivisti dei gruppi più radicali, sono comparse decine di associazioni e comunità cristiane, soprattutto cattoliche, ma anche protestanti.

Tra i frutti più amari delle drammatiche giornate del 20 e 21 luglio c'è senza dubbio il fatto che l'attenzione si sia appuntata sugli scontri, sulle devastazioni, sulla violenza scatenata dagli estremisti e dalle forze dell'ordine, mentre sono state relegate in secondo piano le discussioni, le rivendicazioni e le proposte lanciate del Genoa Social Forum e da tutte quelle espressioni della società civile che prima e durante il vertice G8 hanno dato vita a un'ampia serie di iniziative, pacifiche e costruttive (tavole rotonde, dibattiti, conferenze, concerti).

Genova ha dimostrato che l'opinione pubblica guarda con crescente preoccupazione agli sviluppi incontrollati del mercato globale e che le società del benessere sono pervase da un crescente senso di malessere - e forse anche di paura - nei confronti dei danni sociali, politici e ambientali provocati dall'attuale modello di sviluppo.

E per la prima volta in forma tanto ampia e articolata, anche le chiese cristiane sono scese in campo - in tempi e modi in parte diversi per far sentire la propria voce. In particolare c'è stata una vasta mobilitazione dell'arcipelago delle associazioni cattoliche - pacifiste, ecologisti, terzomondisti, comunità di base e associazioni operanti nel sociale in genere - e anche di alcune personalità di spicco della gerarchia cattolica italiana, tra cui il cardinale di Genova Dionigi Tettamanzi, autore di un denso saggio sulla globalizzazione uscito nei giorni del vertice, e il cardinale di Milano Carlo Maria Martini.

Meno ampio per contro il coinvolgimento dell'associazionismo cattolico d'oltre confine: quasi completamente assenti, ad esempio, i cristiani francesi delle varie Joc, Ccfd e Cimade.

Tempi e modalità della partecipazione cristiana sono stati diversi: c'è chi ha deciso di partecipare, ma solo aderendo al più rassicurante controvertice cattolico dell'8/9 luglio, chi ha aderito a pieno titolo al Genoa Social Forum (tra questi le chiese evangeliche della Liguria e la Federazione delle chiese evangeliche in Italia) e alle iniziative della settimana di mobilitazione pre-vertice, e chi si è dato appuntamento, nei giorni del vertice, su invito delle congregazioni missionarie cattoliche, a una due giorni ecumenica di preghiera e digiuno nella chiesa genovese di Boccadasse. Senza dimenticare però che nel mondo cattolico si sono anche levate voci contrarie alla mobilitazione cattolica anti G8; in questo senso si sono espressi Comunione e Liberazione e una trentina di intellettuali cattolici italiani tra cui Piero Gheddo, Gianni Baget, Bozzo e Marcello Pacini.

I vescovi cattolici liguri hanno reso noto un documento (locale, non espressione della Conferenza episcopale italiana) in cui hanno invitato i loro fedeli a non restare indifferenti al G8, riconoscendo che i problemi affrontati nel corso del vertice genovese "sono quanto mai importanti e in qualche modo decisivi per le sorti presenti e future di noi tutti e dell'umanità". Non è mancata anche una decisa, seppure ovviamente meno cospicua in termini numerici, mobilitazione delle componenti evangeliche italiane (valdesi, battisti, metodisti, luterani, pentecostali e di altre denominazioni). La Federazione delle chiese evangeliche in Italia ha aderito al Genoa Social Forum ed è intervenuta alla settimana di mobilitazione. Tutte le chiese cristiane presenti a Genova, in una convergenza ecumenica che si nutre certamente delle positive esperienze maturate nell'ultimo decennio, dall'assemblea ecumenica di Basilea a quella di Graz, sui temi della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato, alla recente riunione di Strasburgo, che ha visto il varo di una Carta ecumenica per l'Europa, hanno firmato il 19 luglio un messaggio comune, indirizzato "agli uomini e alle donne che rappresentano a Genova i governi degli otto paesi più ricchi della terra". I rappresentanti delle chiese cristiane hanno dichiarato di voler "dare voce al grido dei poveri della terra", e hanno chiesto agli otto grandi in particolare di rispettare gli obiettivi fissati dalle campagne per la cancellazione del debito dei paesi poveri. "Riconosciamo di non avere sempre sostenuto e difeso a sufficienza il diritto a una vita degna della persona umana", affermano i firmatari del manifesto, i quali proseguono: "oggi siamo convinti che nessuna decisione politica, economica e finanziaria possa prescindere dalle esigenze dell'etica, che vede al suo centro la persona con la dignità datagli dal Creatore e con i compiti affidatigli anche in rapporto alle risorse dell'universo".

Il documento si sviluppa poi intorno a due richieste principali, quella del rispetto effettivo dei diritti dell'uomo, da un lato, e quella del rispetto degli impegni nei confronti dei paesi in via di sviluppo, dall'altro. ."Chiediamo che i "diritti dell'uomo" non siano recepiti solo in dichiarazioni di principio, ma siano affermati con decisioni e gesti, politici ed economici concreti; in caso contrario la sopraffazione e l'esclusione continueranno ad essere ampiamente praticate, ostacolando la costruzione effettiva di quella comunità "globale", in cui tutti i popoli, tutti gli uomini, nella valorizzazione delle loro specifiche diversità e risorse, abbiano parte ai beni del creato e del comune lavoro umano. Di più , non possiamo ridurre il rispetto dei diritti umani solo alla fruizione dei beni economici, ma anche di quelli spirituali, morali e culturali".

Nella parte conclusiva del testo qualcuno ha voluto individuare anche una sorta di rivincita della teologia della liberazione e un'appropriazione, ora anche da parte di esponenti di rilievo della chiesa cattolica, di quel principio della "opzione preferenziale per i poveri" che tanta irritazione ha suscitato nelle stanze della Congregazione per la dottrina della fede. "Sentite al vostro fianco, sempre e in particolare nei giorni dell'incontro, anzi vogliate al vostro tavolo di lavoro i poveri della terra, i miti, gli assetati e affamati di giustizia, coloro che piangono, i misericordiosi, i perseguitati (cfr. Matteo 5). Nessun popolo sia da voi escluso dal diritto di sedere a pieno titolo alla mensa comune. Per questo chiediamo interventi programmatici puntuali ed efficaci, secondo le irrinunciabili esigenze della giustizia e della solidarietà tra i popoli. In questa linea si muovono le proposte che vengono da più parti e che noi stessi condividiamo.

In particolare, ricordiamo che durante la riunione del G7 a Colonia nel 1999 furono prese risoluzioni impegnative. Ci riferiamo soprattutto alla riduzione del debito dei Paesi in via di sviluppo, alla riqualificazione degli standar di ammissione alla riduzione, alla conversione del debito in programmazione per lo sviluppo, alla riformulazione dei criteri operativi degli istituti finanziari sovrannazionali e alla riforma delle loro competenze.

Queste risoluzioni sono rimaste in gran parte inoperanti, nelle remore di competenze e procedure, indifferenze, pregiudizi e reticenze; quando non sono state addirittura sconfessate. Quale credibilità può dare tutto questo? Non solo chiediamo l'attuazione di quelle risoluzioni, ma riteniamo necessario il loro aggiornamento, con la piena adozione degli obiettivi della Campagna "Jubilee 2000", vale a dire la cancellazione totale o parziale del debito dei Paesi in via di sviluppo fino a una quota realmente da loro sostenibile, l'attivazione di procedure arbitrali bilaterali, la riconversione del debito al servizio dello sviluppo.

Chiediamo ancora di non sottovalutare l'aggravamento dei sintomi di violenza strutturale presente nella globalità dei rapporti culturali, ambientali ed economici, per molti dei quali sembra vicino il punto di non-ritorno. Politiche insensibili al degrado della vita umana e sociale compromettono, anche per chi le sostiene, il bene stesso della pace e dell'umana convivenza. Chiediamo che tali politiche sino del tutto ripensate".

Parole non generiche, animate da un autentico spirito di solidarietà nei confronti dei paesi in via di sviluppo, che veicolano proposte chiare. Nel contempo però anche parole che, visto l'andamento del vertice e gli scarsi risultati cui i grandi a Genova sono pervenuti (nulla di fatto sul protocollo di Kyoto, scarso impegno nella lotta all'Aids e altre malattie, vaghe promesse circa la cancellazione del debito dei paesi poveri), a poche settimane dalla loro stesura già appaiono insufficienti. E tuttavia un passo importante è stato fatto, una voce seria, credibile e moderata è entrata nel coro di chi ritiene che "un altro mondo è possibile".