La Repubblica 31 luglio 2001 LA
LEZIONE CHE VIENE DAL COLLE
di MASSIMO GIANNINI
LA VERITÀ non si concerta. Lo ha dovuto ricordare il presidente della Repubblica ai
due Poli, prima impegnati a trasferire in Parlamento le logiche degli scontri di piazza,
poi propensi a barattare il ritiro di una mozione di sfiducia con il via libera a una
commissione d'indagine. L'intervento di Carlo Azeglio Ciampi sui fatti di Genova richiama
maggioranza e opposizione al rispetto di due principi fondamentali della vita democratica:
il principio di verità, il principio di responsabilità.
Nella tragica tre-giorni del G8, l'azione delle frange estreme della protesta
antiglobalizzazione ha scatenato una guerriglia costata un morto, centinaia di feriti,
miliardi di danni. La reazione delle forze dell'ordine è stata energica. In qualche caso
eccessiva, al di là dell'opportuno e, forse, anche del lecito. Se le cose sono andate
così, bisogna saperlo. Se c'è qualcuno che ha sbagliato, deve risponderne di fronte al
paese. "Attendo che si faccia piena luce su quanto è accaduto, è ciò che vogliono
tutti gli italiani", dice Ciampi con un tono che ricorda la puntigliosa passione
civile di Sandro Pertini.
Il capo dello Stato, "silente ma non assente", ha scritto le sue parole di
getto, domenica, nella tenuta di Castelporziano. Ciampi ha vissuto con angoscia
quest'ultima settimana difficile, come tanta parte dell'opinione pubblica. Ha guardato
telegiornali e speciali televisivi, immagini ufficiali e filmati amatoriali. Ha visto
all'opera i Black bloc, che hanno aperto le ostilità con una ferocia inusitata contro le
forze di polizia e contro gli otto Grandi, e hanno finito per far calare una tetra cortina
di fumo e di violenza su un vertice che, per Ciampi, è e resta un grande successo
soprattutto nelle politiche degli aiuti per i paesi poveri. Ha visto cadere Carlo
Giuliani, colpito a morte, a vent'anni, da un suo coetaneo in divisa.
Un ragazzo che probabilmente ha premuto il grilletto sapendo che, in quella maledetta
piazza Alimonda, in quel maledetto venerdì pomeriggio, anche lui si stava giocando la
vita. Ha ascoltato le parole «nobili» del padre di Carlo. Ma poi ha visto anche altre
immagini. Barelle, troppe barelle uscire dalla scuola Diaz. Anziane signore in lacrime,
con bambini avvinghiati al collo dei genitori. Ragazzi inginocchiati, con le mani
congiunte e le facce stravolte dalla paura e dal sangue, a pregare poliziotti in divisa
con il manganello in mano. Ha letto le corrispondenze e i commenti dei giornali stranieri,
che irridono o attaccano il nostro paese. Ha osservato il muro contro muro tra
centrodestra e centrosinistra.
A quel punto ha capito che non poteva più tacere. La nota di Ciampi si inserisce nel
solco già tracciato dai presidenti di Camera e Senato, con gli appelli al dialogo
formulati sabato scorso. Il Quirinale si conferma attento ed equidistante. Il suo
messaggio si conferma improntato al consueto profilo bipartisan. Ciampi dà atto al
governo di aver gestito al meglio e con «un taglio nuovo» il G8, sul piano dei contenuti
e dei risultati finali. Ma dà corda anche all'opposizione, che chiede un accertamento
approfondito di tutti i fatti di violenza che hanno circondato e condizionato il vertice.
Il Colle non entra nel merito dello strumento tecnico che dovrebbe rendere possibile
quell'accertamento. Con un comprensibile equilibrio istituzionale, Ciampi rimette la
scelta al Parlamento sovrano. Ma nel farlo, ricorda due cose: la verità ha molte facce,
ma per svelarle tutte va ricercata con convinzione e con serietà, senza tattiche
dilatorie o strumenti falsi o di pura facciata. La seconda: accertare le responsabilità
è un dovere verso l'opinione pubblica, ma anche verso l'Europa.
«Abbiamo più prestigio che in passato, ce lo siamo conquistato con anni di lavoro e di
sacrifici, con una condotta lineare e leale... E grazie anche al consenso, nel momento
delle scelte decisive, di tutte le maggiori forze politiche. Su questa strada dobbiamo
continuare».
Con queste parole, Ciampi sembra chiedere ai poli uno spirito collaborativo e unitario,
come quello che caratterizzò la missione italiana nei Balcani. Quasi come se i fatti di
Genova fossero anche un tema di politica estera, oltre che una dolorosa pagina di ordine
pubblico interno. Finora ha prevalso il braccio di ferro. I mattinali delle questure
contro le accuse da dittatura cilena. Ora c'è una proposta di mediazione sostenuta dai
moderati dei due schieramenti, per uscire dall'impasse. Si anticipa il voto sulla mozione
di sfiducia a Scajola, così si sancisce che il ministro degli Interni ha il sostegno del
Parlamento, dove come è noto il Polo ha la forza assoluta dei numeri. Subito dopo, si dà
il via libera all'indagine parlamentare sulle violenze del G8. Sembra un compromesso sul
quale anche Fini e Violante, sia pure con diverse sfumature, potrebbero alla fine essere
pronti a cedere.
Sembra in effetti un buon punto d'incontro. Ridimensiona lo spirito inutilmente rissaiolo
di certe frange della sinistra ulivista, ancora nostalgiche di vecchie e inutili battaglie
parlamentari, più di testimonianza che di sostanza, fatte nel passato. Ma al tempo stesso
sterilizza anche le inaccettabili scorciatoie assolutorie di certa destra «law and
order», che troppo in fretta ha dismesso l'orbace e ha scoperto il doppiopetto. Ma per
essere efficace, serve una commissione d'inchiesta vera e propria, così come la prevede
la nostra Costituzione, e cioè con poteri propri dell'autorità giudiziaria, che consenta
al Parlamento di indagare davvero, e a tutto campo, su quanto è accaduto a Genova.
Indagare dunque tra le tute nere e le divise.
Questo chiede Ciampi. Questo esige l'opinione pubblica. La verità non si concerta. |