La Repubblica 27 luglio 2001 SE LO
STATO SI CONFONDE
CON LE ARMI DELLA POLIZIA
di EZIO MAURO
SPENTI i riflettori e anche i mille videotape che hanno filmato ora per ora le strade e
le piazze, la questione di Genova rimane clamorosamente aperta e chiede chiarezza, verità
e giustizia. Diciamo subito che la relazione in Parlamento del ministro dell'Interno non
ha chiarito nulla e anzi ha lasciato tutte le questioni aperte. Tanto che a poche ore di
distanza la vicenda di Genova è riesplosa nelle capitali europee, diventando un vero e
proprio caso internazionale.
Di fronte al fatto che è morto un ragazzo per strada, ucciso dal colpo di pistola di un
carabiniere (per la prima volta nella storia dei G8 e del loro confronto-scontro con la
piazza) ogni strumentalizzazione politica diventa inaccettabile e disonesta e deve essere
evitata. Abbiamo già superato una soglia di pericolo e di particolare gravità, per quel
che è successo. Ecco perché occorre riflettere sul comportamento delle polizie, sui
pericoli che il movimento antiglobalizzazione corre se non si separa subito e
definitivamente da ogni violenza, sulle strategie e sugli istinti della destra italiana
che ci governa in tema di ordine pubblico, conflitto sociale, sicurezza e diritti dei
cittadini.
IL GOVERNO - Il ministero Berlusconi è sembrato impreparato di fronte agli avvenimenti di
piazza. Spinto dal ministro degli Esteri, Ruggiero, aveva opportunamente cercato un
dialogo col movimento, attraverso i suoi effimeri rappresentanti, alla prova dei fatti
più chiacchieroni che autorevoli. Ma il controllo della città si è risolto in un
ossessione di controllo della zona rossa, come se tutto si esaurisse nel garantire
l'indispensabile sicurezza agli Otto grandi. Per il resto, scarsa preoccupazione prima dei
giorni cruciali, come dimostrano le dichiarazioni tranquillizzanti della vigilia, eccesso
di reazione - e sbandamento - di fronte alle violenze dei cortei, che non sono state né
prevenute come dovrebbe fare una moderna polizia allertata e efficiente, né arginate.
TUTTI abbiamo scritto che davanti agli attacchi più violenti le forze dell'ordine hanno
perso la testa, e questo è possibile, parlando di singoli uomini. Ma questi uomini, e
più ancora i reparti, com'era stati addestrati? Che cosa si aspettavano davanti ai loro
scudi? Che tipo di preparazione, anche psicologica, avevano ricevuto? E soprattutto, quali
disposizioni precise e specifiche erano state impartite sull'uso delle armi da fuoco? In
sostanza: gli apparati di prevenzione e controllo, i servizi, la guida politica del
governo, sapevano oppure no che cosa si preparava a Genova? Di fronte ad un doppio esito
fuori controllo degli avvenimenti - la parte violenta del movimento da un lato, la
reazione della polizia dall'altro - dobbiamo pensare a impreparazione da parte del
Viminale e dei suoi apparati o a imperizia? IL MOVIMENTO - Per la prima volta il G8 conta
un morto tra i manifestanti. Ma per la prima volta lo scontro di piazza è arrivato a
questi livelli di gravità. È incredibile che i Black bloc siano stati lasciati liberi di
arrivare, organizzarsi, radunarsi, poi sparpagliarsi, coordinarsi, addirittura rivestirsi
coi loro paramenti di guerra, e infine colpire. Ma è giusto e onesto dire che le violenze
non sono state commesse solo dai Black bloc. Gruppi di manifestanti, frange del movimento
hanno compiuto atti molto gravi e violenti. Rivediamo la scena filmata che precede
l'uccisione di Carlo Giuliani. Cos'è successo, trent'anni dopo, perché si possa
attaccare la camionetta di due carabinieri terrorizzati a colpi di spranghe, assi di legno
che sfondano i finestrini, pietre e perfino un estintore? Ci sono ragazzi che accettano il
rischio di ammazzare in una manifestazione di protesta altri ragazzi della loro età che
servono lo Stato nelle forze dell'ordine? Questo impazzimento violento e funebre non era
sepolto nel passato dell'Italia moderna? Cosa lo ha resuscitato? E gli Agnoletto, i capi
del movimento pacifico di contestazione, e Bertinotti che ha combattuto il terrorismo
negli anni Settanta, non sentono subito il dovere prioritario di denunciare questo
pericolo nascente, separando attivamente da ogni violenza le ragioni del movimento? O
questa chiarezza morale e politica viene fatta immediatamente e definitivamente, oppure la
funzione politica del movimento perirà insieme con le sue ragioni, risucchiate dal gorgo
tragico della violenza, che pietrifica ogni cosa. LA DESTRA - I giovani del No Global non
sono gli unici attori nuovi nella scena italiana, soggetti di cui sappiamo poco. E' nuova
in realtà anche questa destra, pezzi di antiquariato politico postfascista e parte di
modernariato liberista, fusi insieme dal calore del berlusconismo, istinti
radical-nazionali, riflessi d'ordine, pratiche e tentazioni di vecchie forzature
autoritarie, frequentazioni di apparati più che di istituzioni. Noi non sappiamo come la
destra stia oggi riflettendo sui fatti di Genova. Ufficialmente si è compattata in una
difesa d'ordine delle forze di polizia, dimenticando che Berlusconi aveva scaricato i loro
vertici pochi minuti dopo la morte di Carlo Giuliani, cercando di dipingerli come uomini
del centrosinistra. In realtà, non sappiamo quale idea del paese e del confronto sociale,
anche del conflitto, abbia oggi questa destra. Potrebbe sciaguratamente pensare di trovare
convenienza in una rappresentazione di comodo dell'Italia di oggi che contrapponga la
piazza eversiva al Palazzo tutore dell'ordine, senza spazio per culture politiche
intermedie, riformiste o liberali, comunque europee e occidentali. Potrebbe cioè pensare
che questo livello dello scontro riacutizza il sentimento di insicurezza dei cittadini
già cavalcato per altre strade in campagna elettorale, e premia di conseguenza una
politica di "tolleranza zero" , comunque declinata, senza distinzione di caso,
di fattispecie, di interlocutori o antagonisti. Sarebbe una scelta pericolosa per tutti.
Vanno dunque incoraggiati, a destra, tutti i tentativi di distinguere, di parlare ai
cittadini e non ai loro istinti e alle loro paure di richiamare insieme - come in verità
fa soltanto Giuliano Ferrara - la tutela dell'ordine e la tutela dei diritti. LE POLIZIE -
Mentre devono prevenire i reati per seguire chi li commette, polizia e carabinieri devono
infatti sapere che di fronte hanno cittadini - italiani o stranieri - portatori di
diritti, tra cui quello di protestare, di criticare liberamente, di manifestare nelle
forme tipiche di una moderna democrazia, purché senza violenza. A Genova non è stato
così in troppe circostanze, fortunatamente documentate da molte testimonianze. In un
Paese democratico i cittadini devono fidarsi degli agenti, perché sono un pezzo dello
Stato e svolgono una funzione civile di mantenimento dell'ordine, nell'interesse di tutti
e ovviamente sotto il controllo di tutti. Il ministro dell'Interno e il capo della
polizia, il comandante dei carabinieri, stanno riflettendo sui risultati che il
comportamento di loro uomini e loro reparti a Genova ha oggi nel sentimento dell'opinione
pubblica italiana e internazionale? L'assalto alle due scuole di Genova, la
"Pascoli" e la "Diaz" , non solo non ha giustificazioni per le
modalità con le quali è avvenuto, ma non ha nemmeno spiegazioni. Si sa che è stato
deciso dalla polizia, senza l'intervento del magistrato: e il ministro della Giustizia che
quel giorno è andato proprio a Genova, è stato proprio nella caserma di Bolzaneto, si
sente ancora oggi di proporre la sua "riforma" che prevede l'azione di polizia
nelle indagini totalmente svincolata dalla guida e dal controllo dei magistrati? Resta il
fatto che i governi europei pretendono spiegazioni di quanto accaduto. Le famiglie
chiedono notizie di ragazzi fermati di cui non sanno nulla. I magistrati hanno giudicato
ingiustificati la quasi totalità degli arresti compiuti a Genova. I giornali tedeschi
attaccano la polizia italiana e chiedono una commissione d'inchiesta internazionale. La
"Bbc" manda in onda il racconto di un operatore di Internet inglese di 33 anni
ricoverato per lesioni polmonari, costole rotte, emorragia interna, che denuncia di essere
stato colpito da calci e colpi di manganello fino a perdere i sensi. "El Pais"
denuncia "torture fisiche e psicologiche" da parte degli agenti. "Le
Monde" conclude così: "Difficile immaginare comportamenti polizieschi di questo
tipo in un paese dell'Unione europea" . "Repubblica" sta documentando da
giorni i fatti di Bolzaneto, la caserma trasformata in centro di raccolta e di pestaggio
dei fermati, con lettere e testimonianze. Stupisce che di fronte alla portata di questi
episodi, i vertici istituzionali non sentano il dovere di uno sforzo di verità, di
chiarificazione, di un'assunzione di responsabilità. Qui si parla di teste sbattute
contro i muri, minacce di stupri col manganello, sigarette spente sulle mani, calci nei
testicoli, il tutto tra cori di "Faccetta Nera" , inni a Pinochet, insulti agli
ebrei e ai negri. Com'è possibile una violenza istituzionale di questa portata, ostentata
e inscenata in massa, quasi come una vendetta o una rappresaglia, o l'instaurazione del
primo pesante anello di un nuovo "ordine"? Da dove nasce questo improvviso
spostamento del potere di polizia in uno spazio di assoluto arbitrio, di violenza, fuori
da ogni regola civile? E da dove arriva questo sentimento di impunità, visto che gli
agenti ripetevano di sentirsi "coperti"? Davanti al deflagrare di troppe
testimonianze il ministro dell'Interno e il capo della polizia hanno scelto di farsi
intervistare uno dal Tg5, l'altro da "Panorama". Colpisce non tanto il basso
profilo difensivo delle loro parole, ma l'inerzia burocratica che li muove. Ci sono stati
scontri durissimi e anche assalti contro forze dell'ordine. Un ragazzo è morto colpito da
un poliziotto. Poi l'attacco notturno alle due scuole, e il pestaggio di Bolzaneto.
Niente: reazioni ordinarie, come se un vigile urbano avesse insultato un automobilista:
"Errori di valutazione" , "comportamenti censurabili" . Ci dicano per
favore chi comandava i reparti che sono entrati nelle scuole, che ordini ha dato, chi
guidava l'operazione notturna nella palestra di Bolzaneto, mentre gli uomini indossavano i
guanti neri imbottiti. E ci dicano che provvedimenti si stanno prendendo, qui e ora, per
salvare la credibilità della polizia e della sua funzione, in un Paese civile. LA
SINISTRA - Tra i ragazzi (e gli adulti) che hanno raccontato sui fax e nelle e-mail la
notte di Bolzaneto, molti parlano di fascismo, di notte cilena, di violenze senza alcuna
giustificazione. Si rendono conto il ministro Scajola e il prefetto De Gennaro del rischio
che questi ragazzi confondano lo Stato col manganello, la polizia con la violenza, le
istituzioni con l'arbitrio? Capiscono il pericolo che un pezzo dell'ultima generazione si
separi un'altra volta dallo Stato, non lo senta più né suo né neutrale, con esiti
tragici che abbiamo già conosciuto? Per fare da ponte tra le istituzioni democratiche e
le loro buone ragioni, e le ragioni critiche del movimento antiglobalizzazione, servirebbe
un'autentica cultura riformista, quella di una sinistra che non c'è. In tutta questa
vicenda non ha saputo dove stare, perché non conosce la sua identità risolta,
quell'identità che in politica obbliga a compiere certe scelte e a prendere certe
posizioni, con la precisa coscienza del perché. Senza questo, tutto è tattica, e lo
spazio della sinistra resta vuoto. Quel vuoto, nell'Italia di oggi, pesa come una colpa. |