Il Manifesto 1 agosto 2001
Consenso di regime
FRANCESCO INDOVINA
Bisogna mettere assieme tutti gli avvenimenti per capire il blocco
economico e sociale che il Polo sta costruendo o rinforzando. La "nuova"
riorganizzazione del potere economico, che rafforza gli "amici" e permettere
"vendette" interne al capitalismo, riafferma il blocco storico del capitalismo
italiano, mentre gli emergenti (i tanti osannati "piccoli") è bene che
apprendano a stare al loro posto. Un mio caustico amico mi diceva: "Berlusconi è
molto generoso, è bastato che Agnelli si esprimesse, durante la campagna elettorale, a
suo favore per regalargli la Montedison", mentre a chi ha evitato di schierarsi
contro ha permesso di pagare dieci (Bell) e controllare cento (Telecom).
Tuttavia nessuno deve potersi lamentare, così una bella manciata di migliaia di miliardi
di opere pubbliche (utili, inutili, prioritarie e non); una torta che si spartiranno in
molti, sia del blocco edilizio storico sia di qualche nuova entree. Il mercato, tanto
proclamato e richiesto, in realtà risulta una spartizione di aree di influenza e una
divisione di spoglie pubbliche.
A se stesso, ma anche ad altri amici, Berlusconi si è regalato, oltre che il tentativo
(che riuscirà) di abolire il reato di falso in bilancio, l'eliminazione della tassa di
successione e quella sulle donazioni (non si sa mai fosse costretto dai
"comunisti" a risolvere in qualche modo il conflitto d'interessi).
Ma il blocco economico-produttivo non basta, per consolidare una maggioranza sociale è
essenziale il coinvolgimento dei servizi e della media borghesia, produttiva e no,
proiettata al successo, così i provvedimenti su scuola e sanità, sulla dirigenza
pubblica, la velocità autostradale, la Tremonti bis, ecc. Mentre sempre più insistenti
si fanno le voci che richiedono forme di "censura", ovviamente in difesa della
famiglia, dei giovani e della ... verità. Insomma i famosi 100 giorni pare si stiano ben
spendendo.
Ma ci vuol altro: un "regime" ha bisogno di consolidare un "consenso di
popolo". Non nonostante, ma proprio per gli "eccessi" (per così dire),
Genova è stata l'occasione buona. Quali sono, infatti, i messaggi mediatici da una parte
e diretti dall'altra che i fatti di Genova hanno trasmesso? Non esistono manifestazioni
pacifiche, tutte le manifestazioni mettono a ferro e fuoco le città; quindi per il bene
dei cittadini e delle città, le manifestazioni dovranno essere limitate (abolite?). Un
messaggio questo che per quanto possa essere contraddetto da testimonianze e indagini
giunge al cuore di molte persone "tranquille", che vogliono solo... lavorare e
fare soldi e che della democrazia conoscono solo il "mio".
L'altro messaggio non è meno chiaro: non è più tempo di manifestare; il dissenso
politico, sociale e sindacale, non può essere di piazza (cioè visibile); vi bastoneremo,
v'insulteremo, vi arresteremo. La polizia è forte, potente, postmoderna e quasi
avveniristica nei suoi mezzi ed è, soprattutto, al servizio del potere, non del
cittadino. Per un certo periodo saranno ammesse solo le manifestazioni di
"protesta" per gli eccessi dello "Stato" in una precedente
manifestazione; poi neanche quelle. Uomo bastonato è tutto avvisato.
Con un corollario non di poco conto, la nuova geografia urbana. La città sarà
sostanzialmente divisa: una parte "difesa" e intoccabile (ieri per il G8, domani
per la società "bene" e le sue istituzioni); un'altra parte lasciata in balia
alla violenza (privata e pubblica, di protesta e di rapina). La città come spazio
pubblico democratico, di vissuto collettivo, di incontro, anche se contraddittorio, si
vanifica attraverso un processo di segregazione: una parte fondata sulla pace sociale e la
difesa pubblica, l'altra abbandonata alla violenza e all'autodifesa (molto più dei films
che abbiamo visto). Chi vorrà entrare nella parte "buona" dovrà avere censo o
fare chiara manifestazione di adesione al regime.
Con questo insieme di intrecci di interessi, di regalie pubbliche a privati selezionati,
di processi di segmentazione dei cittadini, di riduzione dei diritti di cittadinanza e di
azioni repressive che Berlusconi e Fini (il Fini di cui ci si poteva fidare, secondo
qualche esponente della sinistra, perché dotato di senso dello stato) operano per formare
e consolidare un blocco sociale di regime. Sono proprie queste connessioni che vanno
analizzate e individuate con precisione, senza una loro messa in pagina, chiara e
approfondita, non c'è possibilità di contrasto. Il centro sinistra, per altro, resta
impigliato nella rete della sua azione di governo e nella dipendenza psicologica di molti
suoi membri alla ricerca di una personale "promozione sociale", più che di
affermare un progetto politico.
A questo disegno, una vera strategia, ci si può e ci si deve opporre, almeno per limitare
i danni, con notevole capacità analitica, rilevante intelligenza politica, gran
determinazione e capacità d'intervento, tutte cose che non abbondano, nonostante la
generosità del movimento. A tutto questo bisognerà mettere mano.
Una prima occasione di contrastare il regime B.F. sarà costituita dalle lotte sindacali
contrattuali (old economy), alle quali sarà necessario garantire un'ampia rete di
solidarietà, di sostegno e di supporto, perché si chiudano positivamente e costituiscano
un primo scacco (anche se non matto) al regime.
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