La Stampa 2 agosto 2001
Sfiducia a Scajola, l’opposizione si sfrangia
Giovedì 2 Agosto 2001

Il Senato respinge la mozione dell’Ulivo, assenti Amato e Mancino
Claudio Tito
ROMA Tutto secondo copione. Il Senato ha bocciato la mozione di sfiducia a Scajola. Il centrodestra, nella difesa del ministro degli Interni, è riuscito addirittura a raccogliere un numero di voti superiore a quelli della maggioranza. La sfiducia chiesta dal centrosinistra e che puntava l’indice sulla responsabilità politica del ministro degli Interni per i fatti di Genova è stata respinta con 180 no, 106 sì e un astenuto. Mentre la Casa delle libertà si è ritrovata 6 inaspettati no in più, l’Ulivo ha contato più di una defezione eccellente. Nel carniere dell’opposizione mancano ad esempio i nomi di Giuliano Amato, Nicola Mancino e Achille Occhetto. Un’assenza che risponde ad una precisa posizione politica perché i tre negli ultimi giorni non hanno nascosto le loro perplessità sulla mozione di sfiducia individuale. E ieri le hanno confermate. «Non ho partecipato al voto - ha spiegato l’ex presidente del Senato - perché non ho firmato la mozione in quanto non la ritenevo opportuna e continuo a non ritenerla tale». Anche Giulio Andreotti non era presente in aula, ma ha fatto sapere che si sarebbe espresso contro la sfiducia o al massimo «mi sarei astenuto». Ancora più netto un altro senatore a vita, Francesco Cossiga. Che ha scelto di intervenire per offrire il suo sostegno al ministro. «Il mio voto è per lei - ha sottolineato l’ex Capo dello Stato - ma è soprattutto per le forze di polizia di questo che non è diventato in un mese uno Stato di polizia». Cossiga, ricordando che i vertici delle forze dell’ordine sono stati nominati dal centrosinistra, si è rivolto verso gli scranni dei Ds per far notare che in occasione delle sue dimissioni da ministro dell’Interno dopo l’assassinio di Aldo Moro, il Pci gli chiese di non farlo: «Ma in quei banchi sedevano uomini diversi».
In difesa di Scajola, il governo ha schierato tutti i grossi calibri. Silvio Berlusconi non ha parlato, ma era presente in aula. A nome dell’esecutivo è allora intervenuto il vicepremier, Gianfranco Fini, che è andato giù duro contro l’opposizione. Ha rivendicato la linea della fermezza, ha respinto i timori per le «derive argentine o cilene» paventate dall’Ulivo e ha confermato il «pieno sostegno» al titolare del Viminale: «Il governo avverte fortemente il dovere di esprimere pieno sostegno e non solidarietà perché la solidarietà si dà a chi è sul banco degli imputati». Non solo. Fini è anche andato al contrattacco accusando i banchi dell’opposizione di aver offerto «collusioni e complicità di cui hanno goduto i violenti».
«Fini faccia i nomi o taccia», ha replicato il capogruppo Ds al Senato, Gavino Angius: «Noi per primi vogliamo sapere chi sono, ma se non ha i nomi taccia» perché «tutti abbiamo visto come le "tute nere" abbiano agito a lungo indisturbate. Non li abbiamo tollerati noi, li ha tollerati chi aveva il compito di agire». Ad illustrare la mozione ci ha pensato il diessino Massimo Villone. Il testo faceva riferimento a omissioni e comportamenti tali da non assicurare che «l’ordine pubblico e la garanzia dei diritti costituzionali possano essere tutelati dall’attuale ministro dell’Interno». Mentre Nando Dalla Chiesa, responsabile giustizia della Margherita, definiva in aula Fini «il vero ministro dell’Interno», Willer Bordon, capogruppo della stessa Margherita, mostrava ai giornalisti nuove immagini degli scontri riprese da un videoamatore. Immagini non chiare da cui Bordon deduce un secondo ricorso alle armi da parte delle forze dell’ordine.
Alla fine il Senato ha bocciato la mozione di sfiducia e il sipario si è chiuso mentre da una tribuna riservata al pubblico veniva calato uno striscione con la scritta «Scajola come Pinochet». Il responsabile, l’ex parlamentare verde Stefano Apuzzo, è stato fermato. Un episodio che secondo il presidente del Senato, Marcello Pera, è «grave, censurabile e deprecabile».