La Stampa
Martedì 24 Luglio 2001

FIRMAXXXXreportage
Marco Raffa

GENOVA
IO nella scuola Diaz non c’ero, a operare là sono stati altri colleghi. Noi siamo arrivati dopo, a "liberare" in qualche modo gli agenti dall’assedio che si era creato all’esterno. E, lì fuori, nelle fasi concitate della notte, non ho potuto fare a meno di notare due atteggiamenti diversi. Da un lato c’era chi, come Agnoletto, urlava e gesticolava davanti alle telecamere, rischiando di alzare ulteriormente la temperatura già a livelli di guardia. Dall’altra Francesco Caruso, del Network napoletano, un vero leader: si deve a lui, al suo lavoro di mediazione con gli ospiti della scuola, se la nottata non si è trasformata in tragedia». A parlare è un funzionario della questura genovese, che preferisce rimanere anonimo anche se non è stato tra i protagonisti dell’operazione che sta suscitando polemiche enormi, a ogni livello. Del resto la consegna, tra gli agenti e i carabinieri in servizio nei tre giorni più lunghi di Genova, è rigidissima: non parlare, non raccontare, non commentare. Con i giornalisti, ovviamente, addirittura con gli stessi colleghi. Una consegna che diventa ferrea quando si parla del blitz della scuola Diaz. Più facile raccogliere l’opinione di chi, come sindacalista, ha una possibilità di commento negata ad altri. Ad esempio, Laura Galtieri, delegata nazionale del Siulp del quale è anche segretaria ligure: «E’ veramente un peccato che un episodio come quello della scuola Diaz, al quale io però non ero presente, se è accaduto nei termini in cui è stato riportato, abbia vanificato il lavoro di tantissimi uomini delle forze dell’ordine che hanno lavorato in condizioni di disagio, stress e persino paura: sacrifici enormi per garantire che le manifestazioni si svolgessero nella maniera più democratica possibile».
C’è rabbia, c’è frustrazione, c’è amarezza tra gli agenti. Anche perchè molto spesso, dicono, nonostante quello che si è detto a proposito delle «tv-testimoni», le telecamere non hanno saputo o voluto mostrare in modo completo quello che stava succedendo. «Le riprese del Tg3 hanno mostrato quello che aveva tutta l’apparenza di un violento pestaggio di un gruppo di manifestanti che si erano sdraiati a terra a pochi passi dalla questura. In quell’operazione c’ero anch’io - sbotta un sovrintendente - certo, siamo passati per degli aguzzini. Anche perchè la tv non ha mostrato la violentissima sassaiola che quei dieci, dodici scalmanati avevano scatenato contro di noi. Quelle persone sono state arrestate, i fermi convalidati: credete davvero che i magistrati avallerebbero l’arresto di pacifici dimostranti colpevoli di essersi solo sdraiati a terra?»
Dai pestaggi «isolati» alla guerriglia di piazza. Da giorni poliziotti e carabinieri sono accusati di aver lasciato agire indisturbati i «neri», gli anarchici protagonisti delle scorrerie più atroci, accanendosi invece contro i no-global all’interno dei cortei. Qui va registrata, sempre anonima e confidenziale, l’opinione di un «vecchio» agente, esperto di ordine pubblico fin dagli Anni Settanta, in strada a Genova con le reclute. «In trent’anni i nostri metodi non sono cambiati, questo sì è un grave errore. Allora la minaccia arrivava dai cortei, da lì arrivavano le molotov, ogni tanto si staccava qualcuno e sparava. Ora gli antagonisti hanno cambiato tattica, ma noi non ci siamo saputi adeguare. Più che i battaglioni della Celere ci sarebbero voluti veri e propri commandos, che noi non avevamo. A Genova ho visto molte cose strane, come la finta ambulanza "indipendente" e vuota, ho vissuto la battaglia del ponte di Terralba, con i lacrimogeni esauriti e mille esagitati a tempestarci di sassi. E comunque a parole è molto facile pontificare, come hanno fatto molti in questi giorni, sulla necessità di "isolare i violenti". Ci provino loro, a entrare in un corteo come quello di sabato, a prelevare gli elementi più pericolosi. L’ingresso della polizia nel corpo del corteo avrebbe avuto effetti devastanti: un fuggi-fuggi generale, gente travolta, calpestata. Mentre la regola basilare in ordine pubblico è quella di lasciare sempre e comunque alla folla una via di fuga, per evitare il caos».