Manifesto 5 agosto 2001 Forze
del disordine I buchi neri del G8
FRANCESCO PATERNO'
Carabinieri che lasciano inspiegabilemente campo libero ai violenti,
reparti di polizia criminale che nulla avrebbero dovuto avere a che fare con il G8,
guardia di finanza avviata nel silenzio a una timida indagine interna, polizia
penitenziaria che indaga su se stessa ma senza l'autonomia mostrata dai tre superispettori
del ministero dell'interno nei riguardi dei tre alti dirigenti di polizia rimossi dopo il
loro rapporto. E poi il ruolo degli infiltrati della Digos e dei carabinieri, le colpe
della polizia rimasta però curiosamente sola sul banco degli imputati, con il suo capo
Gianni De Gennaro in bilico, deciso a difendersi mentre c'è chi in Allenza nazionale
vorrebbe farlo subito fuori e chi in Forza Italia sarebbe tentata di tenerlo al suo posto
come prossimo capro espiatorio, da usare nella previsione di un autunno caldo.
Ma che cosa è successo davvero a Genova? Il quadro che emerge dal racconto di alcuni dei
suoi protagonisti - ascoltati in questi giorni in modo anonimo con l'obiettivo primario di
capire - è sconcertante. Per la catena di errori e di omissioni compiuti dalle forze
dell'ordine, e dal governo da cui dipendevano - un passaggio cruciale da non perdere mai
di vista.
Buchi neri. Dice in modo illuminante un dirigente della polizia: "L'errore principale
a Genova è stato nel puntare su una concezione militare dell'ordine pubblico, con la
difesa a oltranza della sola zona rossa. Questa decisione ha fatto passare in secondo
piano tutte le esigenze di prevenzione di incidenti nella città. Una scelta politica,
perché evidentemente si doveva dimostrare che il G8 in Italia si sarebbe svolto
regolarmente e senza forzati cambiamenti di programma, come è successo ai vertici di
Nizza e di Goteborg. I gravi fatti di Goteborg, in particolare, hanno accelerato questa
impostazione".
Carabinieri
A Genova c'erano circa 3500 carabinieri, poco meno dei poliziotti, il cui ruolo è stato
dimezzato dopo l'uccisione, il venerdì, di Carlo Giuliani da parte di un ausiliario di 20
anni. In piazza sono stati solo un giorno, abbastanza per dimostrare l'impreparazione
della maggior parte di loro, giovani alle prime armi. Ma chi era il graduato che comandava
la camionetta in cui c'era il carabiniere che ha sparato e l'autista, solo loro due
indagati? Silenzio.
Silenzio anche sul coordinamento delle forze in piazza. Fino a pochi giorni prima del
vertice, i carabinieri si erano rifiutati di stare nella centrale operativa unificata
genovese. Sono stati costretti a entrarci 48 ore dopo l'incidente della macchina
"sospetta" di fronte alla prefettura. Controllata in un primo momento dalla
polizia e lì lasciata parcheggiata perché considerata "innocua", è stata
fatta saltare dai carabinieri senza dare comunicazione a nessuno, suscitando polemiche. E'
da questo episodio che scaturisce l'ordine da Roma di "coordinarsi" con gli
altri.
Grave anche il comportamento dell'Arma al carcere di Marassi, un obiettivo
"sensibile". Il venerdì viene assaltato dai black bloc: immagini
televisive riprendono due furgoni blindati dei carabinieri che, all'arrivo dei
manifestanti, se ne vanno senza reagire. Risultato: vetri spaccati, il portone
bruciacchiato, l'ufficio del direttore devastato, nessun arresto. Perché i carabinieri
non hanno difeso il carcere? Stessa vicenda capita nello stesso giorno a Forte S.
Giuliano, nel quartiere fieristico. La tv non c'è, ma nemmeno i carabinieri, che pure
avrebbero dovuto essere schierati di fronte a un centro di detenzione. Contro i
manifestanti che lanciano sassi, scendono in strada una sessantina di agenti della
penitenziaria, certo non addestrati ad affrontare tumulti di piazza. Gli unici due
carabinieri presenti negli uffici restano ben chiusi dentro.
Perché per l'Arma non è scattata finora nessuna inchiesta interna come per la polizia?
Il ministro della difesa Antonio Martino, che avrebbe dovuto ordinarla, la spiega così: a
Genova l'Arma è stata agli ordini del ministero dell'interno. Suona come una difesa
d'ufficio. Sufficiente per salvare il suo comandante Sergio Siracusa di cui, secondo
indiscrezioni parlamentari, Alleanza nazionale vorrebbe comunque la testa?
Sco
Gli uomini del Servizio centrale operativo erano presenti a Genova e sarebbero stati i
primi a fare irruzione nelle scuole Diaz e Pertini. Nato con compiti operativi, lo Sco ha
da tempo solo compiti di intelligence, comunque di lotta alla criminalità organizzata e
alla mafia. Perché allora lo Sco è stato inviato nel capoluogo ligure? E perché è
stato mandato in fretta e in furia alla Diaz? E' sua l'informativa sbagliata sulla
scuola-covo di black bloc? L'unica spiegazione plausibile che arriva dall'ambiente
è poco plausibile: Francesco Gratteri, il capo dello Sco, è uomo di cui "Gianni De
Gennaro si fida".
Guardia di finanza
Ci risulta che un'inchiesta interna è partita per "capire" il comportamento di
alcuni finanzieri nei giorni di Genova. L'inchiesta, non ordinata dal ministro Giulio
Tremonti cui fa capo il corpo ma ufficiosa, è scattata dopo la pubblicazione su Diario,
L'Espesso e il manifesto di fotografie ritraenti un ufficiale con corpetti
protettivi e senza divisa d'ordinanza, in atteggiamenti da gladiatore.
I finanzieri, secondo le accuse provenienti da altre forze dell'ordine, si sarebbero
distinti anche loro a Genova nel pestaggio dei manifestanti. Non il venerdì, ma da
sabato, quando sono stati mandati come rinforzi (poco meno di un migliaio) per sostituire
in piazza i carabinieri, allontanati dalla prima linea.
Gom
Sono gli specialisti della polizia pentitenziaria, quelli che hanno a che fare con il
trasferimento dei mafiosi e dei detenuti sottoposti al carcere duro. A Genova ce ne erano
140, anche loro come lo Sco utilizzati in modo improprio rispetto alla situazione.
Alla Bolzaneto (e a Forte S. Giuliano) si sono distinti nei pestaggi dei fermati ma,
rilanciano dall'ambiente, tra sabato e domenica avrebbero ricevuto manforte da colleghi di
altri corpi. Di sicuro, diversi celerini della Bolzaneto hanno colpito i fermati una volta
finito il servizio, "a titolo strettamente personale".
I magistrati dovrebbero individuare facilmente le responsabilità di questo corpo facente
capo al ministero di grazia e giustizia: molti fermati, infatti, hanno riferito di essere
stati costretti a camminare guardando in basso, di tenere la faccia al muro, trattamenti
che solo i Gom usano nei confronti dei mafiosi per non farsi riconoscere e proteggere la
loro identità. Una "firma". I Gom è l'unica forza, insieme alla polizia, che
è ufficialmente sotto inchiesta da parte del ministero di appartenenza. Con una
differenza vistosa rispetto a quanto avvenuto al Viminale: mentre i tre superispettori
della polizia sono stati scelti da De Gennaro anche per la loro assoluta autonomia, sui
Gom indaga Alfonso Sabella, capo dell'ispettorato del ministero di via Arenula ma anche
responsabile politico degli uomini della penitenziaria proprio in quei giorni a Genova.
Chi controlla il controllore?
Infiltrati
E' ovviamente il capitolo più oscuro, essendo in piena zona grigia. Però ci colpisce che
un carabiniere - assai esperto di questo tipo di operazioni - e un poliziotto da noi
ascoltati su questo punto finiscano con lo stesso dubbio: ma che ruolo hanno avuto gli
infiltrati a Genova?
Normalmente è una missione che serve sia a prevenire che ad agire successivamente,
arrestando a posteriori per esempio autori di violenze, crimini, etc. Nei giorni del G8
gli infiltrati - della Digos, dei carabinieri, forse dello Sco, più agenti dei servizi
segreti di mezzo mondo - hanno tutti fallito clamorosamente. Prima, durante e dopo. Un
disastro, che lascia spazio perfino a sospetti. "Ma il futuro è da scrivere",
tiene a precisare un dirigente del Viminale.
Polizia
E' il corpo finito subito sotto inchiesta, è stato il più numeroso a Genova e il più
esposto, si è macchiato di molte nefandezze, però è l'unico ad avere pagato con
l'allontanamento di tre suoi altissimi funzionari dai rispettivi incarichi.
Nella parte del sindacato più responsabile e più democratico (sono 28 le sigle) si
sottolinea con preoccupazione come i fatti di Genova abbiano creato una frattura tra le
forze dell'ordine e la società civile, come le riforme avviate e sostenute anche da De
Gennaro equivalgono oggi allo zero. C'è molto da lavorare per ricostruire; in questo
senso, diamo un'indicazione di trasparenza che ci è stata raccontata attraverso
l'esperienza genovese.
I celerini italiani hanno un numero di codice che è leggibile all'interno del casco (a
Goteborg, invece, i poliziotti svedesi erano individuabili da lontano, con numeroni di
matricola bianchi stampati sul retro del casco), nella divisa ma non nel manganello. I
manganelli non sono numerati: così, facciamo un esempio, se un poliziotto lo perde in
piazza, non si può risalire al "proprietario". Un'omissione grave: perché
risulta che molti manganelli, con un tappo alla base e l'anima vuota, possano essere resi
non regolamentari con molta facilità. Il racconto viene dall'interno: qualcuno ci mette
biglie di ferro, silicone, e cose così. Alla base del manico, poi, ci dovrebbe essere un
gancetto per appendere il manganello alla cintola: capita però che il gancio diventi
sempre più grande, magari doppio, magari fermato con una cravatta metallica con vite
assai sporgente, se non limata. E capita che il manganello venga usato impugnandolo al
contrario.
Se la parte più responsabile della polizia vuole davvero ricostruire un rapporto con la
società civile, ecco un primo punto da dove ricominciare.
|