Corriere della sera 7 agosto 2001
«Non avevamo uomini per fermare i Black Bloc»

La questura ammette i ritardi: arrivarono segnalazioni, ma gli agenti erano impegnati in altre emergenze

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
GENOVA - Poliziotti al telefono: «Guardi, comandante, che qui la situazione è pesante. C’è un sacco di gente. Ci sono i manifestanti che ci gridano di tutto e probabilmente dentro ci sono anche quelli con le tute nere. Se entriamo diventa un casino». «Va bene ragazzi, ho capito. Se la situazione vi sembra troppo a rischio, si torna indietro». È sabato 21 luglio. Sono più o meno le 9.30. La conversazione è fra un funzionario dell’Ufficio di gabinetto della questura e il capo dello stesso Ufficio, Vincenzo Crea.


L’ASILO - Quando chiama il suo superiore il funzionario è nella zona di Quarto, davanti ai cancelli dell’asilo Sedi, un edificio di proprietà della provincia messo a disposizione dei manifestanti. Guida un contingente di 150 uomini che hanno un compito ben preciso: stanare i Black bloc, «inquilini» indesiderati dell’asilo. Dopo le prime ore d’occupazione, lo stesso presidente della provincia, Marta Vincenzi, aveva telefonato al capo di Gabinetto e in prefettura: «Qui ci sono le tute nere. Stanno distruggendo tutto. Per favore, fate qualcosa». Ma anche un bel po’ di cittadini aveva chiamato il 113: «I ragazzi del blocco nero stanno tutti nell’asilo», «Hanno mazze, molotov e altre armi». Ma niente: nessun intervento, fino al tentativo di quel sabato mattina. E otto giorni fa, davanti al pubblico ministero Sergio Merlo, il capo di Gabinetto in persona - sentito come testimone - ha spiegato il perché di quell’«omissione d’atti d’ufficio», reato al quale la procura ha dedicato una delle indagini sul G8.
Già da venerdì 20 c’erano sufficienti indicazioni per giustificare un’irruzione nell’asilo. Ma Vincenzo Crea ha detto al pm: «Non avevamo abbastanza uomini per intervenire in quella situazione, impegnati com’eravamo con gli attacchi alla zona rossa, i cortei delle tute bianche e le azioni dei devastatori». E sabato? «Ci abbiamo provato, ma una folla di manifestanti pacifici radunati nel parco davanti all’asilo alla vista del nostro contingente si è avvicinata e ce lo ha praticamente impedito. Per motivi di sicurezza abbiamo preferito rinunciare». Dunque, anche la polizia lo ammette: il covo dei cattivi non era poi così segreto. Gli «spaccatutto» non erano introvabili. E adesso, dal punto di vista giudiziario, si tratta di capire se e quanto fosse giustificato dalle circostanze il mancato intervento per fermare, se non tutti, almeno alcuni dei ragazzi in tuta nera: gli stessi che poi, sabato pomeriggio, hanno messo a ferro e fuoco la città.


L’ESPOSTO - Ad aprire il filone d’indagine sui ritardi e le omissioni negli interventi è stato un esposto presentato il 21 luglio dalla presidenza della Provincia. Racconta Marta Vincenzi: «Mi davo i pizzicotti da sola per capire se era vero quello che sentivo. E cioè che non potevano far niente. Così ho detto "adesso segno tutto e lo porto in Procura". I miei funzionari e i custodi mi hanno riferito che il sabato una colonna di mezzi della polizia è passata davanti alla Sedi e che si è fermata un’auto con tre poliziotti. Che quell’auto è rimasta lì per dieci minuti e che poi tutti sono andati via. Dopo il fatto, lunedì e martedì la Digos ha fatto un sopralluogo all’asilo. Hanno portato via qualche volantino e poco altro. Ma mercoledì i nostri operai hanno trovato in un cespuglio, nel prato davanti all’asilo, tre bombe molotov». I magistrati stanno valutando un altro caso di mancato intervento: quello di un contingente di carabinieri che, mentre i manifestanti avanzavano davanti al carcere di Marassi (venerdì 20, nel pomeriggio) ha girato i tacchi ed è scomparso lasciando le guardie carcerarie sole a fronteggiare contestatori armati di spranghe e molotov. Sembra che uno degli ufficiali dell’Arma, prima di annunciare la ritirata, abbia ricevuto una chiamata dai suoi superiori.
Giusi Fasano