Corriere della sera 2 agosto 2001
L’INTERVISTA / Parla Angela Burlando, vicequestore di Genova. «I romani non conoscevano neanche le vie principali e noi siamo stati esautorati»

«Davano ordini senza sapere niente, un nostro funzionario disse no al blitz»

«Forse anche un altro rifiutò di irrompere nella scuola»

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
GENOVA - «La notte della perquisizione alla scuola Diaz un funzionario di polizia si rifiutò di partecipare all’intervento, dicendo ai superiori di essere pronto ad assumersi tutte le responsabilità del suo gesto, ma che lui là dentro non ci sarebbe entrato».
Angela Burlando, vicequestore aggiunto di Genova, trentotto anni di servizio, aggiunge un particolare inedito al blitz del 21 luglio (61 feriti e 93 fermi, di cui 68 non convalidati). «Potrebbero anche essere stati due - aggiunge - i funzionari che non eseguirono l’ordine, di uno comunque sono certa...».
Parole che calano in un’atmosfera già pesante. La famigerata «linea rossa» dei giorni del G8 si è infatti spostata tra Genova e il Viminale: i poliziotti del capoluogo ligure si sentono addosso il cerchio delle accuse. Da Roma rimbalzano addebiti che potrebbero costare la poltrona al questore Francesco Colucci e mettere nei guai i vertici della Digos cittadina. Ma loro, i genovesi, non ci stanno: «Esiste una volontà preconfezionata per trovare qui un capro espiatorio» affermano Giovanni Palladini e Salvatore Marino del Sap. «Sì, è ridicolo scaricare tutto su Genova - aggiunge Carmine Abbagnale dell’Associazione poliziotti italiani -. Quella notte, alla Diaz, c’era La Barbera, che sarà anche un grande contro il terrorismo e la mafia, ma l’ordine pubblico è un’altra cosa». Tensioni covate a lungo. Come quelle che affiorano nelle parole del vicequestore Burlando, che è anche segretario del sindacato di polizia Uilps.
Dottoressa, chi è il poliziotto che si rifiutò di entrare alla Diaz?
«E’ un funzionario che era stato aggregato in quei giorni alla nostra Questura. Conosco nome e cognome, ma non posso rivelarli. Presumo sia coinvolto nell’inchiesta della Procura e spetterà quindi ai magistrati ricostruire l’episodio».
Conosce i motivi che lo spinsero a non partecipare alla perquisizione?
«No. So solo che si disse pronto ad assumersi ogni conseguenza derivante dal suo gesto».
Il Viminale punta il dito contro la Questura genovese. Qual è la sua opinione?
«Ciò che sta avvenendo è profondamente ingiusto. Tutta la preparazione del G8, sotto il profilo dell’ordine pubblico, è stata guidata e condotta dai vertici romani. Hanno scelto le strategie, si sono portati i loro uomini. E’ vero o no che c’era il vice capo della polizia Andreassi? E allora perché ora deve pagare il questore Colucci? Noi funzionari siamo stati esclusi».
Quanti dei funzionari in servizio a Genova sono stati utilizzati durante i tre giorni?
«Io e un collega, ma dopo vibranti proteste. Sinceramente mi è parso a dir poco singolare dover quasi aprire una vertenza sindacale per poter andare in strada e rischiare magari un sacco di botte. Ma è stato così».
E da dove venivano gli altri funzionari?
«Da tutta Italia. Ce n’erano alcuni che non conoscevano nemmeno le vie principali della città. Ad altri abbiamo dovuto spiegare che cos’erano i punkabbestia e quale pericolosità andava loro attribuita. Senza parlare di quelli che davano ordini senza magari preoccuparsi di chiedere a noi, che conosciamo questa realtà, il minimo consiglio».
Hanno accusato la polizia di non aver saputo fronteggiare le incursioni delle Tute Nere. Ci sono state carenze organizzative?
«I momenti più difficili li abbiamo vissuti sabato. La tattica delle frange più violente era quella di uscire all’improvviso, colpire le forze dell’ordine e poi rifugiarsi in mezzo al corteo, giocando sulla confusione. Il nostro scopo era invece quello di isolarli, senza farci trascinare lontano dal centro».
I poliziotti genovesi si sono schierati al fianco di Colucci: se l’aspettava?
«In questi anni si è istaurato un buon rapporto con lui».
E ora?
«Aspettiamo. Ma sarebbe assurdo se venissero decisi provvedimenti punitivi senza prima aver chiarito ogni aspetto di quei tre giorni».
Francesco Alberti