La Stampa 4 agosto 2001

 

Violante: certi ministri sono fascisti...
Sabato 4 Agosto 2001

LA REPLICA DELL’ESPONENTE DI AN «LUI È STATO COMUNISTA, IO NON ERO ANCORA NATO QUANDO E’ CADUTO MUSSOLINI»
E’ scontro alla Camera con Gasparri sulle «manganellate»

ROMA
E’ uno scaricabarile, qui volano solo gli stracci, si cercano soltanto capri espiatori. Nella selva di accuse che il centrosinistra lancia contro governo e maggioranza all’indomani della rimozione di Andreassi, Colucci e La Barbera da parte del ministro dell’Interno, è il capogruppo diessino Luciano Violante a scatenare la risposta più violenta del centrodestra. Viola un tabù, e lo viola parlando dal microfono dell’Aula. «Quando un ministro sostiene che tutto il problema di Genova è accertare se le manganellate sono state tre o quattro, rivela una concezione fascista del modo in cui si esercita il potere. Perché il manganello è il simbolo del fascismo. Il ministro delle Comunicazioni rispolvera il manganello per lacerare il rapporto tra istituzioni e società», dice Violante. Quel ministro è Maurizio Gasparri, uno dei colonnelli finiani. Due minuti, e in Transatlantico scatta istintiva la reazione, «Violante pensi a Stalin, a Beria e a Pol Pot. Lui è stato comunista, io non ero ancora nato nemmeno quando il partito fascista è stato disciolto». Altri due minuti, e passa il capogruppo di Alleanza nazionale, Ignazio La Russa: «Ma davvero Violante non ha capito le parole di Gasparri? Non s’è accorto di quando diceva che il problema non è il numero di manganellate ma l’esplosione della guerriglia a Genova? Forse Violante parlando di "manganello fascista" voleva far meglio del Gaber di "Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra"...». Commento a giro di agenzia di stampa di Marco Pannella: «Il bue comunista che accusa l’asino fascista».
Ma al di là delle battute molto radical , la polemica è un circolo vizioso che inanella tutta la giornata. L’ Economist riprende a infilzare la povera «Italia disonorata da poliziotti e politici», il ministro per gli italiani all’estero Mirko Tremaglia, incurante dei 400 italiani all’estero che firmano un pubblico documento di indignazione per «le più elementari violazioni dei diritti civili a Genova da parte della polizia», stigmatizza che si sia «colpita la Polizia e non gli aggressori». Dice Tremaglia di sentire «pesante amarezza dell’opinione pubblica» perché si è commesso un atto che «è una sentenza definitiva» contro la pubblica sicurezza. Tremaglia è un ministro, ed è di Alleanza nazionale. Ma altri settori del partito di Fini la pensano diversamente. Enzo Fragalà, soprattutto: «Chi è stato il regista e l’organizzatore occulto della trappola mediatica di igniminia organizzata ai danni del settimo reparto della Celere, della Polizia di Stato, del Governo, dell’immagine del nostro Paese?». Gianni De Gennaro, il capo della Polizia. Fragalà ne ha chiesto ieri le dimissioni, in un’interrogazione al presidente del Consiglio.
Intanto, il reggente diessino Pietro Folena accusa il governo di fare a scaricabarile e chiede di «conoscere le ragioni dei provvedimenti» contro Andreassi, Colucci e La Barbera. Il capogruppo cossuttiano Marco Rizzo punta l’indice, «fanno fuori solo i pesci piccoli, e solo tra i poliziotti: dei carabinieri non si parla nemmeno». Il rifondarolo Franco Giordano vorrebbe le dimissioni di Scajola, e anche quelle di De Gennaro. Alfonso Pecoraro Scanio chiede a nome dei Verdi «le scuse ufficiali di Scajola», perché le rimozioni ai vertici della Ps «dimostrano che il ministro dell’Interno ha mentito in Parlamento quando ha affermato che tutto a Genova aveva funzionato alla perfezione». Ma quello che va in scena è un tutti contro tutti, posizioni differenziate e sfumate in ogni schieramento. A sinistra, c’è il Bertinottiano Ramon Mantovani che attacca Luciano Violante: «Si colloca fuori della tradizione della sinistra, ha partecipato a un dibattito in tv con Mantovano di An, e la loro era una voce sola». A destra, in Forza Italia, c’è il vicepresidente della Camera, il genovese Alfredo Biondi, che rimpiange la rimozione del questore della città Colucci: «Un distacco che lei non meritava, e che non meritava nemmeno la città».
Intanto, il ministro dell’Interno rinnova in una nota la solidarietà alle forze dell’ordine, «che hanno operato con altissima professionalità», e un appoggio gli viene dal compagno di partito Elio Vito, «Scajola ha operato in maniera ineccepibile». Per An, Ignazio La Russa si premura di ripetere che «Scajola è stato bravissimo», anche perché «certo i suoi provvedimenti non sono un’indicazione di colpevolezza» della polizia. E pensare che il presidente del Senato Marcello Pera, riferendosi evidentemente a questo e quell’altro schieramento, l’aveva detto già al mattino: «Guai a noi se utilizzassimo circostanze come quella di Genova per scopi meramente politici».