Da "Umanità Nova" n.28 del 5 agosto 2001 La ferocia del potereGli avvenimenti di Genova hanno aperto una riflessione ad ampio spettro nel mondo intero. 1. Lo sfoggio di potenza manifestato dal gruppo degli Otto ha raggiunto il suo apice simbolico nell'arroccamento nello scacchiere rosso. Contemporaneamente il messaggio lanciato al mondo ha toccato il livello minimo d'audience: il grande spettacolo messo in piedi ha trovato una platea pressoché vuota, in ben altri affari affaccendata. Gli Otto devono registrare che non è ancora tempo di santificazione popolare del loro operare. Continueranno ad agire come sempre hanno fatto , ma senza quell'alone di riconoscimento e di riconoscenza che hanno tenacemente ricercato trasformando i loro incontri in avvenimenti epocali. Ripiegando sulle Montagne rocciose canadesi hanno sancito il fallimento del loro agire simbolico.
2. Soddisfatto sul piano simbolico il movimento di contestazione e di lotta non può essere soddisfatto sul piano concreto delle cose. I processi di globalizzazione del mercato, l'invasiva presenza del capitale, la riduzione della vita a merce, continuano a spron battuto. Questi processi non si fermano ricorrendo a elemosine (tra l'altro ridicole come quelle decise a Genova) né inseguendo illusioni (come la Tobin Tax, per altro altamente indigesta agli stomaci forti della speculazione). Il sistema di potere globale si combatte con la lotta globale, costruendo collegamento e progettualità tra i vari soggetti che, nei diversi angoli del mondo, esprimono resistenza ed alternativa. Non si tratta di inseguire fantasmi centralistici, ma di potenziare maggiormente quelle che sono le caratteristiche del movimento in corso: l'autoorganizzazione, il federalismo, il riconoscimento delle sue diverse identità lasciando al dibattito interno il compito di coglierne limiti, involuzioni e potenzialità.
3. Come ogni movimento anche questo comprende al suo interno anime ed intenzioni assai variegate. Da chi pretende di assumerne rappresentanza a chi lo vive come un condominio. Da chi lo vive con un occhio rivolto alle politiche di casa propria, a chi invece guarda agli interessi della propagazione religiosa in terre lontane. Da chi è preoccupato per l'ambiente a chi per il mercato del lavoro. Da chi propugna l'internazionalismo proletario ai difensori delle nazionalità oppresse. E così via. La costruzione del sistema globale di potere ha comportato l'associarsi, in forma progressiva, delle varie forme di opposizione, anche contraddittorie, che si manifestano. Forme di opposizione che si danno, anche operativamente, in forme diverse a seconda della radicalità o della progettualità che le caratterizza.
4. A Genova sono confluite varie anime del movimento che, a livello internazionale, utilizzano gli incontri dei rappresentanti del sistema globale di potere per evidenziare la loro presenza e i loro metodi di lotta, usufruendo del sistema mondiale di informazione e sperare di propagandare così i loro contenuti. Da Seattle in poi questa è sempre stata una costante. Ed anche un limite del movimento. Infatti l'attenzione rivolta agli effetti mediatici della contestazione è diventata per alcuni talmente preminente da condizionare la propria attività politica e sociale (il mito dello sfondamento controllato della zona rossa ad esempio che ha riempito giornali e TV per mesi e mesi ) tanto da mettere in secondo piano i contenuti.
5. La blindatura di Genova, il controllo militare del territorio in forme prima sconosciute qui in Italia, lo sfoggio di potenza poliziesca, hanno rappresentato una provocazione ritenuta da molti intollerabile alla quale dare risposta. Le manifestazioni di massa si spiegano in questo modo. Nonostante il pesantissimo clima poliziesco e di serrata che ha contraddistinto Genova (ma non la sua popolazione, o almeno la gran parte che si è dimostrata sensibile e solidale), il 19 decine e decine di migliaia di persone erano in piazza, così come il 21, dopo l'assassinio di Carletto, in un clima decisamente peggiore, addirittura in alcune centinaia di migliaia . In una dimensione del genere sarebbe stato ingenuo non aspettarsi forme di contestazione più dura e violenta. Chi ha seguito gli avvenimenti di Seattle, di Praga, di Nizza, di Goteborg e di tante altre città sapeva che lo spettacolo mediatico esigeva anche questa parte. D'altronde non è male ricordare che in Italia centri sociali e sinistra in genere (noi compresi) si sono interessati al movimento antiglobalizzatore proprio a partire dagli scontri di Seattle.
6. Lo spiazzamento nei confronti degli scontri di piazza è sorprendente; meno sorprendente è il tentativo affannoso di cercare di individuarne il colpevole in questo o quel gruppo. Se è ben chiaro infatti che allontanare da se il reprobo, riempiendolo inoltre di calunnie, vuol dire cercare di riconquistare una forma di dialogo con la controparte, lo spiazzamento o nasconde una sostanziale ingenuità nei confronti delle dinamiche di una piazza internazionale come Genova sulla quale si erano riversati sovversivi, eversori, incazzati e anche provocatori (prezzolati o meno) da tutto il mondo, o altrimenti rappresenta un tentativo furbesco di salvare capra e cavoli dopo non essere riusciti a 'governare' la piazza.
7. A Genova in realtà l'han fatta da padrone tutti i corpi repressivi dello Stato che hanno avuto mano libera nel perquisire, nel sequestrare, nell'arrestare, nel picchiare, nel ferire e nell'uccidere. 'Legittima difesa' ha tuonato il fascista Fini delineando le linee future di comportamento delle forze del disordine in previsione delle reazioni di piazza che si avranno in risposta alle politiche di taglio della spesa pubblica (sanità, pensioni, ecc.) già preannunciate dal nuovo esecutivo. Non bisogna dimenticare però che il piatto alla destra lo ha servito la sinistra, creando tutti i presupposti (militarizzazione e blindatura) per quello che è poi successo.
8. La forza repressiva dello Stato che si è esercitata non solo in divisa, ma anche con l'infiltrazione nei cortei, con il lavoro d'intelligence prima e durante le giornate di luglio, con i controlli alla frontiera, nei centri sociali, in stretto coordinamento con i loro colleghi degli altri paesi, principalmente statunitensi, ha dispiegato il suo controllo del territorio nel modo che sappiamo, tanto da meritarsi i complimenti dei loro omologhi. Se non ci fosse stato il Black Bloc, ne avrebbe creato un altro: la volontà di sopruso e di violenza si respirava nell'aria. Da parte loro molti di quelli che arrivavano dall'estero non erano a conoscenza della reale situazione sul territorio, né della natura e delle caratteristiche del movimento d'opposizione nostrano, nemmeno della partita in gioco a livello politico italiano. Le stesse caratteristiche di Genova, del suo carattere popolare e sostanzialmente progressista erano di fatto ignote. Operare con la scenografia dei tamburini e colpire poi a freddo (anche se in modo selettivo come ha riconosciuto la polizia) banche ed assicurazioni ha quindi offeso e sorpreso molti, ma non la polizia che ha scientemente ricondotto, dove poteva e quando poteva, i gruppi del BB in direzione del corteo per provocarne la reazione e colpire duramente i manifestanti disarmati. E la reazione c'è stata riversando rabbia ed incazzatura, facendo saltare accordi e pantomime. Pacifici manifestanti si sono difesi con quello che trovavano; così è morto Carletto. E non si dica che la colpa è di pochi gruppi, perché quando gli incidenti vanno avanti per ore in uno scenario sempre più ampio, è perché sempre più persone vi sono coinvolte. E più duro è il comportamento della polizia, maggiore è la reazione, anche disperata, anche devastante, di chi ne è vittima , tanto più se si tratta di giovani metropolitani, abituali soggetti della quotidiana azione poliziesca di controllo. 9. E' prassi comune quando si perde il controllo della piazza accusare gli incontrollati, gli estremisti di ogni nefandezza. In questo esercizio si sono lanciati in molti. D'altronde prendere le distanze è funzionale al rifuggire da ogni autocritica, a salvare le possibilità di ripresa di dialogo 'democratico'. In un gioco del genere gli anarchici sono figure tra le più ricercate per l'immaginario che hanno cucito loro addosso Se non ci sono si inventano, se ci sono si enfatizzano, se ci sono in forme che non 'fanno gioco' si ignorano. Siamo abituati ai nostri cortei che scompaiono tra le righe dei giornali, alle nostre attività pubbliche soverchiate da un qualsiasi petardo. Ma non sono i media i nostri referenti: i media costruiscono e manipolano fantasmi. L'importante è non farsi condizionare e mantenere sempre un rapporto stretto con il proprio quotidiano, rivendicando la propria soggettività. 10. La presenza di nazi a Genova non è stata al momento accertata. Dubbi, voci, presentimenti si susseguono. Certo è che, all'interno dell'estremismo di destra, si agitano anche correnti e pulsioni contrarie ai processi di globalizzazione capitalista, disponibili ad una lotta a carattere nazionale di difesa della comunità. Non sorprenderebbe quindi una presenza ovviamente occultata di tipo militante tesa a conseguire l'obiettivo di deflagrazione di un movimento ancora composito per impedirne il consolidamento a sinistra e mantenere aperta una prospettiva di recupero. Una volta di più si conferma la necessità e l'urgenza che la lotta alla destra sia anche battaglia culturale tesa a smantellare presupposti e valenze, per evitare di tornare alla retorica di un antifascismo di retroguardia e per se stesso, inesorabilmente perdente. 11. Il movimento non è deflagrato, anzi ha ricevuto sostegno dalle moltissime manifestazioni che in tutt'Italia hanno denunciato il comportamento poliziesco. Il tentativo della forza repressiva dello Stato, su mandato del sistema di potere globale, di assestare un colpo decisivo al movimento è anche fallito sebbene gli abusi di potere e la violenza impartita rimarranno nei ricordi di chi li ha subiti. La violenza di Stato ha sempre una finalità propedeutica soprattutto se impartita su giovani. Ridare fiducia e volontà di lotta alle tante vittime di tale violenza sarà uno dei compiti più impellenti del movimento. 12. Se il tentativo di ridurre il movimento alla rappresentazione di piazza utile alla simulazione del conflitto è arrivato al capolinea, anche il tentativo di forzatura della piazza per rompere quello che è sentito come nuovo patto sociale tra lo Stato e le componenti più moderate del fronte dei centri sociali ha dimostrato di fatto inconsistenza, al di là degli aspetti 'spettacolari' dello scontro. Non è su questi piani che generalmente si ottiene una crescita di consapevolezza sociale. Si può avere disvelamento della violenza di stato, si può provare l'ebbrezza del collettivo che si riconosce nell'esercizio momentaneo del contropotere, ma la dimensione militare a cui sostanzialmente si riduce lo scontro lo deforma in assetti gerarchici. Altra è la strada da privilegiare, la strada dell'autorganizzazione, della lotta quotidiana, del duro lavoro di costruzione di un movimento anarchico che , libero dalle gabbie dell'ossificazione ideologica, sappia essere un agente, reale e concreto, della trasformazione sociale. Il trio lescano
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