La Repubblica 2 agosto 2001

La Digos di Genova accusa Roma
Il racconto ai pm: "Non volevamo il blitz alla Diaz"
Scoppia un nuovo "caso Bolzaneto". Quattro testimoni accusano: pestaggi anche alla Fiera del Mare

MASSIMO CALANDRI


GENOVA - «Quella sera noi genovesi eravamo contrari all'irruzione nella scuola: c'erano troppi pericoli e il rischio di innescare nuove violenze. Glielo abbiamo detto chiaro e tondo, ma è stato inutile». Dagli interrogatori dei funzionari di polizia coinvolti nel blitz alla Diaz, proseguiti per tutta la giornata di ieri negli uffici della Procura di Genova, sarebbe emerso un inquietante retroscena: poco prima della mezzanotte di sabato 21 luglio, nel corso di una riunione presso la sala operativa della questura, i responsabili della Digos genovese avrebbero espresso «forti perplessità» riguardo all'eventualità di intervenire nell'istituto scolastico, dove forse si nascondevano alcuni Black Bloc armati di molotov. Perplessità di cui non tennero conto i vertici romani dell'Ucigos (Arnaldo La Barbera e Giovanni Luperi), che affidarono l'operazione a Vincenzo Canterini e ai suoi settanta agenti del VII Nucleo Reparto Mobile. Stamane toccherà al capo dello Sco, Francesco Gratteri, al suo braccio destro Gilberto Caldarozzi e probabilmente anche a La Barbera raccontare ai magistrati cosa accadde quella sera, e se davvero non abbiano voluto ascoltare i consigli dei colleghi.
Ieri nel capoluogo ligure sono stati sentiti dai giudici anche i primi funzionari di polizia coinvolti nelle violenze della caserma di Bolzaneto, mentre in un'altra ala del tribunale si apriva un ennesimo fronte di indagine: quello dei presunti soprusi davanti alla sede universitaria della Fiera del Mare, nella «cittadella» che in occasione del G8 ospitava circa seimila agenti e che qualcuno ha già ribattezzato la «nuova» Bolzaneto. In ballo ci sono quattro denunce di manifestanti che hanno raccontato di essere stati catturati durante gli scontri e portati all'interno della struttura sul lungomare dove alloggiava il grosso delle forze dell'ordine. «Mi hanno obbligato ad attraversare un corridoio formato da poliziotti, mentre piovevano manganellate», ha testimoniato uno studente di Ingegneria Navale che ha riconosciuto la zona proprio perché uno degli edifici del complesso è sede di aule e laboratori universitari.
In serata il sostituto procuratore Enrico Zucca ha terminato di ascoltare un ufficiale che gestiva alcuni degli uomini in servizio alla caserma di polizia di Bolzaneto tra venerdì e sabato. Una «chiacchierata» di circa tre ore nel corso della quale sarebbero emersi nuovi particolari circa i pestaggi e le umiliazioni subite da centinaia di persone arrestate in quei giorni. Altri due funzionari erano stati interrogati in precedenza, mentre ieri mattina il procuratore aggiunto Gian Carlo Pellegrino aveva incontrato Alfonso Sabella, dirigente della Polizia Penitenziaria, anche lui «persona informata sui fatti»: Sabella ha consegnato una dettagliata relazione ed ha lasciato il tribunale sottolineando che «nessun episodio di violenza a Bolzaneto ha visto protagonista la polizia penitenziaria, che gestiva due camere di sicurezza (su 6) e che contava solo su 4 agenti di quel Gom che vogliono far passare come un reparto di picchiatori: tutte donne».
Nel corso di una frenetica giornata il procuratore Francesco Meloni ha trovato anche il tempo di ricevere il questore di Genova, Francesco Colucci, che chiedeva spiegazioni circa le indiscrezioni che lo davano per «condannato» in anticipo anche dalla magistratura. «Una visita di cortesia», ha glissato Meloni. Su Colucci e i suoi collaboratori dicono pesi già il rapporto stilato dagli ispettori inviati a Genova dal ministro Claudio Scajola, rapporto che sta per essere consegnato anche ai giudici del capoluogo ligure: «Ne terremo conto, ma noi facciamo valutazioni di altro tipo», hanno precisato in Procura. Un funzionario della questura genovese, uno dei 13 testimoni, aveva appena ricordato: «L'intervento alla scuola Diaz era troppo rischioso. Non avevamo la certezza di chi si nascondesse là dentro, c'era l'incognita di attribuire delle responsabilità precise a chiunque avessimo trovato, Agnoletto e quelli del Gsf erano proprio nell'edificio di fronte e di sicuro sarebbero scesi di sotto. E poi ormai era fatta, gli scontri erano terminati e non c'era molto più da fare: potevamo solo provocare nuove tensioni e scatenare delle violenze anche per il giorno dopo, domenica. Ma hanno deciso diversamente».