Da "Umanità Nova" n.28 del 5 agosto 2001
Sul filo del racconto
Le tre giornate di Genova: 19, 20 e 21 luglio
Le giornate di Genova resteranno indelebilmente impresse nella memoria dei tanti che
c'erano, che con rabbia, con gioia, con disperazione, con determinazione, si sono trovati
a vivere uno dei momenti più intensi della nostra storia recente. In molti portano
impresso nelle loro stesse carni il segno indelebile della ferocia repressiva di questi
giorni.
Raccontare la propria storia personale e collettiva, rendere partecipi gli altri di
quanto ha attraversato i nostri sguardi è un'esigenza forte ed insopprimibile, tanto più
forte quanto più la macchina tritatutto dei media ha già cominciato a lavare il sangue
con il velo della menzogna, della contraffazione, del dubbio e della calunnia seminati ad
arte.
Questo numero speciale di Umanità Nova, interamente dedicato alle manifestazioni
contro il G8, è stato realizzato grazie alle moltissime testimonianze giunte in
redazione. Sono le voci di anarchiche ed anarchici ma anche di altri libertari che le
hanno volute affidare alle nostre pagine. Pagine che ancora una volta ci sono strette,
strettissime, perché le vostre, le nostre storie avrebbero bisogno di molto più spazio.
I vostri racconti ed i nostri ricordi costituiscono il filo della narrazione di fatti,
ma anche di sensazioni e di opinioni. Non sempre queste opinioni e queste narrazioni
coincidono: accade talora che uno stesso episodio sia stato visto con occhi diversi.
Abbiamo deciso di non scegliere la versione "giusta" ma di lasciare spazio a
più punti di vista. Perché, anche sulle pagine di UN, scegliamo un agire comunicativo
che prefiguri il mondo che vogliamo. Un mondo che ne contiene molti.
La vigilia
"Una città spettrale, deserta: così ci appare Genova al nostro arrivo la sera
del 17 luglio. Siamo in sei, tre torinesi e tre triestini. Attraversiamo vie deserte
percorse ossessivamente da auto della polizia sino al centro sociale Pinelli, nel popolare
quartiere di Molassana. Lì finalmente scorgiamo volti amici: i compagni di Alessandria e
di Palermo e poi i tanti altri già arrivati in città dall'Italia e dall'estero. Il
giorno seguente è denso di incontri, assemblee, discussioni, timori su un possibile
intervento della polizia, già giunta all'alba del martedì al Pinelli per una
perquisizione dai chiari connotati intimidatori. Si dorme pochissimo, quasi ci si scorda
di mangiare." Emilio di Torino così descrive il primo impatto con Genova sotto
l'assedio del G8, occupata da 20.000 uomini in armi, spezzata in due dalle grate
metalliche che chiudono la "zona rossa". Il telefono di "Anarchici contro
il G8" è bollente: chi annuncia il proprio arrivo e chi vuole informazioni sulla
possibilità di accesso alla città. Il centro sociale Pinelli è il porto cui approdano
in tanti, da tutto il mondo: si sentono parlare tutte le lingue ed intorno ai pasti
preparati dai compagni le discussioni vanno avanti per ore ed ore.
Il corteo dei migranti
Il 19 è il giorno del corteo dei migranti. Gli anarchici del Coordinamento
"Anarchici contro il G8" si raggruppano dietro lo striscione "Padroni di
nulla, servi di nessuno, all'arrembaggio del futuro". La partecipazione è al di là
delle aspettative dei più. Racconta Emilio: "Arriviamo al concentramento in
anticipo, io, la mia compagna Guido di Genova e Claudio di Pisa. C'è una marea di gente:
facciamo fatica a passare per la gran calca di persone. Riusciamo alfine a raggiungere lo
spezzone anarchico e ad aprire lo striscione lilla "Senza stati né frontiere,
nessuno è clandestino" che, secondo quanto deciso da Anarchici contro il G8, doveva
caratterizzare la nostra partecipazione al corteo, cui si voleva essere presenti pur non
aderendo ai contenuti di stampo riformista degli organizzatori. Il clima è piacevole, la
diffusione di Umanità Nova va benissimo. Dalle finestre delle case molti genovesi
espongono le mutande per protestare contro la "normalizzazione" berlusconiana
che si è accanita persino contro il bucato steso tra i palazzi. Lungo il percorso le
nostre fila si allungano progressivamente: saremo almeno quattromila. Bandiere nere, rosse
e nere, bandiere dei gruppi anarcosindacalisti e quelle della FAI sventolano lungo tutto
il corteo. Ci sono italiani, francesi, spagnoli, tedeschi, greci, gente da ogni dove. Ci
sono anche parecchi esponenti del Black Bloc, che fedeli all'impegno assunto
collettivamente di non mettere a repentaglio la sicurezza dei migranti, sfilano
pacificamente con noi.
In coda un gruppo rosa, nel quale sono anche alcuni anarchici, sfila ballando al
seguito della banda Roncati. È una bella giornata". In serata al Pinelli per
"Anarchici contro il G8", nonostante la pioggia violentissima che si abbatte
sulla città, suonano in acustico i Modena City Ramblers.
Il corteo dei lavoratori
Il 20 luglio, mentre vari gruppi tentano di assediare la Zona Rossa a levante, dal
popoloso quartiere di Sampierdarena parte il corteo dei sindacati di base. Da levante
arriva la notizia che la polizia ha stretto d'assedio il Pinelli ed impedisce a chi è
all'interno di muoversi: solo grazie all'intervento di numerosi compagni accorsi in
sostegno dalla vicina Sciorba, le camionette si allontanano. Molti non ce la faranno mai
ad arrivare al corteo in partenza da piazza Montano. Tra loro e il levante genovese si
stende la Zona Rossa, migliaia di poliziotti e, dalla tarda mattinata, le cariche della
polizia contro i vari cortei svoltisi a ponente. I compagni di Bologna e di Chiavari
preparano in fretta altre bandiere, temendo che quelle raccolte al Pinelli sotto assedio
non giungano mai. Ma, nonostante le gravi difficoltà a raggiungere questa parte della
città, isolata da un fitto cordone di polizia, almeno 10, 15 mila lavoratori in sciopero
vi partecipano. Lo spezzone di "Anarchici contro il G8" raccoglie circa mille
persone, folta è la rappresentanza della FAI che sfila con il proprio striscione. Su
questo corteo, desaparecido dai mezzi di informazione perché è l'unico che si conclude
senza incidenti, riferisce lungamente Pedro Medina nel suo articolo a pagina 3. Riportiamo
comunque la testimonianza di Federico della FAI di Trieste che così descrive la giornata
del 20: "Venerdì ho partecipato allo spezzone anarchico al corteo dei sindacati di
base che si è svolto nel ponente della città. Nonostante la tensione e l'infelice
percorso del corteo (corto e in mezzo al "deserto") la manifestazione è
comunque riuscita bene e anche qui il settore anarchico (l'unica area politica presente in
forze) si è fatto notare facendo capire che la scelta fatta a livello nazionale di
puntare su questa giornata per supportare lo sciopero dei sindacati di base è stata
sicuramente azzeccata e politicamente caratterizzante. Intanto ci arrivavano le notizie
degli scontri nel resto della città e dell'assassinio di Carlo Giuliani. Tutti ci
chiedevamo preoccupati che cosa sarebbe successo il giorno successivo."
Le piazze tematiche
Il 20 è anche il giorno della protesta contro la Zona Rossa che diversi raggruppamenti
vogliono, con mezzi diversi, violare. È il giorno della morte di Carlo Giuliani,
ammazzato a colpi di pistola da un carabiniere, è il giorno in cui la ferocia poliziesca
si abbatte con furia inaudita ed è il giorno in cui fanno la comparsa sulle piazze
italiane i Black Bloc.
A pagina 6 e 7 pubblichiamo la scheda "Cos'è il Black Bloc?" ed alcune
testimonianze significative fatteci pervenire dai compagni. A pagina 10 trovate invece la
testimonianza di un compagno che ha partecipato al Blocco Rosa.
Sabato 21
Il 21 è il giorno della grande manifestazione internazionale. Arriva dopo una notte
inquieta, in una città sconvolta dagli scontri, scossa dall'omicidio di un ragazzo.
Sentiamo Emilio: "L'alba del 21 ci trova a Quarto, poco distante da piazza Sturla
dove è prevista la partenza della manifestazione internazionale. L'aria è tersa e
limpida: dinanzi a noi gli scogli ed il mare. Pare impossibile che poche ore prima sulle
strade di Genova sia rimasto un ragazzo di 23 anni, ammazzato come un cane, colpito in
faccia da due proiettili esplosi dall'arma di un carabiniere. Il lungomare è già
affollato di manifestanti scesi dai pullman: non sono ancora le 6 e già dinanzi a noi
passano migliaia di persone. Con il nostro gruppo, tre torinesi, tre triestini, un
palermitano, un pordenonese e due spagnoli di Cadice ci spostiamo a Sturla dove apriamo lo
striscione di "Anarchici contro il G8" e quello della FAI. Nelle ore che
precedono la partenza capiamo che la manifestazione sarebbe stata imponente: folle dense
sfilano incessantemente dinanzi a noi. Si respira una sensazione di forza collettiva.
Intorno all'una, riusciamo, non senza fatica, ad inserirci nel corteo. Pare di essere al
centro di un grande fiume in piena: le nostre fila si allungano rapidamente. Siamo
moltissimi, almeno duemila mentre tanti altri non ce la fanno a raggiungerci, stretti tra
la folla, persi nella moltitudine che manifesta a Genova. I compagni distribuiscono un
volantino con il comunicato emesso dalla CdC della FAI la notte precedente. L'afa impazza.
Dalla terrazza di una casa ci lanciano bottiglie d'acqua: è un segno tangibile di
solidarietà che rinfresca l'arsura, non solo fisica, che proviamo." Andrea di Roma:
"Sono arrivato quando il corteo era già in movimento erano le 13,30 circa. La
sensazione che ho avuto è stata come di una situazione sospesa, la polizia non si vedeva,
quanto meno non era visibile, se non di fronte alla Fiera. Ad ogni traversa di Corso
Buenos Aires un solo blindato. Ho avuto la sensazione che i manifestanti stessi non
percepissero la delicatezza della situazione. L'uccisione di Carlo sembrava decisamente
molto lontana da quella realtà, come se ciò che era successo il giorno precedente fosse
accaduto in una realtà parallela. Il corteo sembrava dunque molto tranquillo, una massa
enorme di persone che si muoveva anche al di fuori del flusso fermandosi ai lati, che
chiacchierava seduta sui muretti del lungo mare, che volantinava, o vendeva
giornali."
"Non siamo ancora arrivati sul lungomare - prosegue Emilio - che arriva la notizia
che la parte iniziale del corteo è stata caricata e che il corteo è stato spezzato in
due. Proseguiamo. Lo spezzone di "Anarchici contro il G8" riempie entrambe le
corsie di corso Italia: lo striscione della FAI affianca quello nero con il galeone. In
lontananza verso piazzale Kennedy scorgiamo lunghe colonne di fumo, quello nero degli
incendi e quello bianco dei lacrimogeni. Dopo poco il corteo si ferma bloccato sul lungo
mare. La tensione è palpabile: formiamo cordoni più stretti, ci cospargiamo la faccia di
limone, ne impregniamo i fazzoletti. L'aria è come sospesa. Partono i lacrimogeni: ci
investono dal corso, dal mare e persino dall'elicottero. Per qualche minuto il nostro
spezzone tiene, arretrando lentamente." Sempre Andrea: "...una massa di persone
in preda al panico ci travolge in un fuggi fuggi generalizzato che letteralmente
polverizza il nostro spezzone, i cordoni si sfaldano." Emilio: "Non ci sono vie
di fuga: siamo imbottigliati tra gli alti muraglioni del quartiere Albaro e la scogliera
che scende a mare. Quando la carica, i gas e la folla in fuga ci investono in molti
rischiano di cadere e venire calpestati. Per un momento me la vedo brutta perché mi rendo
conto che nella calca potrebbe capitare una tragedia. È solo un caso che non avvenga una
strage." Federico di Trieste: "anche il nostro spezzone è stato caricato e
gassato dagli sbirri. È stato un momento di panico perché eravamo tutti in cordone e
arretravamo con calma, ma la gente davanti di noi si è fatta prendere dal panico e ci ha
travolto. C'è stato un pigia-pigia infernale in mezzo ai lacrimogeni (il collirio
funziona benissimo!) con il rischio di cadere e venire schiacciati dalla folla. Alla fine
siamo usciti interi ma poteva essere una strage e la polizia lo sapeva bene. Mentre il
corteo ritornava sui suoi passi sul lungomare gli sbirri continuavano senza motivo a
lanciare lacrimogeni ed a avanzare."
Silvia di Pordenone si trovava in altra parte del corteo: "la testa del corteo ha
cominciato allora a correre, premendo contro chi, a 50-100 metri di distanza non aveva
ancora avuto il tempo di capire ciò che stava succedendo. I lacrimogeni venivano a questo
punto lanciati, oltre che dalle postazioni a terra, anche da un elicottero e da una
piazzola sovrastante la strada che porta a P.zza Kennedy. La strada era però intasata
ora, e quindi questa fuga cominciava lentamente ad arrestarsi, mentre i lacrimogeni
continuavano a piovere dal cielo uno dietro l'altro. La testa del corteo, in preda al
panico, continuava a spingere verso la coda che era però ormai intasata e quindi
bloccata. Dopo pochi secondi anche la testa del corteo non riusciva più ad avanzare: ci
siamo allora trovati così pressati da non riuscire neanche a respirare, da non avere
spazio per appoggiare i piedi. (...) La situazione diventava sempre più pesante: chi
cadeva era morto, perché sarebbe stato schiacciato da migliaia di piedi impanicati in
fuga e cadere non era poi così difficile: si inciampava in scarpe, zaini, sacchi a pelo,
vestiti che aveva perso chi era già avanzato nella ritirata, si inciampava sulla persona
davanti se quella dietro non inciampava su di te.
(...) Una donna di 50 anni, a fianco a me, ha cominciato piangendo ad urlare
"aiuto", perché, come tanti, era inciampata e stava cadendo: per fortuna è
riuscita ad aggrapparsi al mio braccio. Cosa le sarebbe successo se non avesse trovato
subito il mio braccio?".
La carica della polizia è violentissima e si accanisce contro gente già fiaccata dai
lacrimogeni. Alessio di Milano: "Io mi son trovato con le spalle contro delle sbarre,
troppo alte (c'era chi saliva su una macchina lì in prossimità per passare oltre), le
sbarre avevano le punte in cima, la siepe che mi separava dalla strada si è squarciata:
è emersa la testa di una ruspa della polizia, si intravedevano i manganelli dietro, in
quel momento qualcuno (un compagno penetrato dentro? Uno dei tanti angeli custodi
Genovesi?) ha aperto il cancello dello stabilimento balneare contro le cui sbarre mi
trovavo, son corso dentro, insieme ad altri mille affianco, ed è forse cominciata l'ora
più penosa della mia vita: i manifestanti caricati erano principalmente verdi e lilliput,
avevano un'espressione di dolore disperato, piangevano, si sentivano come me la faccia e
le braccia in fiamme, gli occhi con la sabbia dentro, lo stomaco esploso, il respiro
assente, insufficiente, strozzato, ma probabilmente, non sapevano che sarebbe presto
cominciato a passare; avevano gli occhi di chi crede che sta morendo. (...) Appena ripreso
fiato son risalito verso la strada: ragazzi con la fronte spaccata, gente a terra presa a
calci dalla polizia, ovunque questi robocop della vergogna che grugnivano, si davano
pacche sulle spalle, e poi giù testate (col casco integrale addosso) sui ragazzi
dispersi, soli, sanguinanti, lì un gruppo di poliziotti che si innaffia vicendevolmente
di getti d'acqua: si rinfresca? O pulisce il sangue? Una schiuma rossastra scorre nel
fango.(...)
Non lo dimenticherò mai: per terra con la schiena appoggiata a una panchina una
signora che potrà avere sessanta, sessantacinque anni, a fianco una bandiera di
Rifondazione Comunista, sezione di Rimini. Ha un braccio rotto, si solleva un po' la
manica corta al mio passaggio e mi gela quel sorriso consolatorio che le dispenso: un
tremendo ematoma allungato, l'inconfondibile segno della manganellata, non urla, non
piange, ha un'espressione congelata, indefinibile, incredula... non ci sono parole per
descrivere lo strazio... si ferma un poliziotto gigantesco, imbottitissimo, pesta
rumorosamente il terreno davanti alla signora per attirarne l'attenzione e urla "Alla
sua età...non si vergogna?". Se l'odio impotente ha un'espressione dev'essere stata
la mia, per fortuna il poliziotto non l'ha vista ed è passato oltre.
Riesco a raggiungere il corteo spezzato, ma lacrimogeni, che vedo chiaramente sparare
dalle barche che si muovono per il lungomare, preannunziano l'ennesima carica.
Solito panico, ma davanti avremo centomila persone, non si riesce a correre, ci si
travolge da soli.
Dico calma, calma, calma, poi mi giro e dietro ho solo i poliziotti, non sono un tipo
suggestionabile ma avanzavano menando colpi di manganello come per uccidere, si sentiva
stridere l'aria, e loro avevano un'espressione che non ho mai visto su nessuno... la
ferocia, la ferocia personificata, ho capito allora, cercavano il morto, anche Sabato.
Due manganellate mi hanno raggiunto e devo ringraziare il sacco a pelo che sorpassava
lo zaino di mezza testa se ho ancora una testa. Ho messo la quarta, in tre minuti ero
cento file avanti, poi ho smesso di correre." Carlo di Carrara: "...tra tutti i
pensieri che mi passavano per la testa c'era la consapevolezza di essere testimone di un
fatto grave, il tentativo delle forze dell'ordine di provocare una ecatombe, di farci
calpestare gli uni con gli altri, di volere la morte."
Emilio: "Dopo la carica resto solo con Maria, dopo un po' incontriamo Sabatino
dell'USI e proseguiamo verso Sturla. I cellulari non funzionano, non riusciamo a
contattare i compagni, la preoccupazione per la loro sorte si fa pressante. Poi, poco a
poco, li ritroviamo, facciamo una sorta l'appello... quelli che conosciamo ci sono tutti.
E via in fretta perché l'elicottero che ci ha seguiti per tutta la manifestazione è di
nuovo sopra di noi: è lo stesso che ha bersagliato più di tutti il nostro spezzone. Il
camper affittato per andare a Genova si è trasformato in un autobus. Stipati dentro ci
sono una quindicina di compagni. Diretti al Pinelli attraversiamo la città. Ovunque
sbirri e blindati, qua e là cassonetti rovesciati e bruciati per resistere alle cariche
della polizia, l'aria è pesante, pesantissima. Sapremo più tardi degli insulti e botte
riservati ai manifestanti in partenza alla stazione, ai gruppi rimasti isolati... più
tardi ci allontaniamo da Genova per fuggire la caccia all'uomo già iniziata in
città."
La furia della polizia ha frantumato, schiacciato, pestato un corteo di quasi
trecentomila persone: una mattanza culminata nella notte con il massacro alla Diaz. Ma la
paura, le ferite, il dolore si sono subito tramutate in consapevolezza e determinazione.
Nei giorni successivi centinaia di migliaia di persone hanno nuovamente riempito le piazze
d'Italia.
A cura di M. M. |