Corriere della sera 2 agosto 2001
Genova, i fiori e le opere di bene

C iampi dice: «Gli italiani vogliono la verità». Che è fuori di ogni dubbio una nobile pretesa, ma mi viene in mente, come ricordava un mio vecchio direttore, che «uno solo la possedeva, e finì in croce». Poi commentava: «Non mi pare del resto, che questa sia una delle massime aspirazioni dell’Ordine dei giornalisti».
Allora: bisogna raccontare, senza riguardo per nessuno, quello che è accaduto a Genova in occasione del G8. Lo chiedono in tanti: il Parlamento, i vescovi, e magari i cittadini, che sono importanti anche quando non vengono chiamati a votare.
Il Secolo XIX , il prestigioso quotidiano ligure diretto da Antonio Di Rosa, un mio collega bravo e galantuomo, ha chiesto a Berlusconi: «Presidente, lei ha visto che cosa è successo nelle strade di Genova?». Risposta: «Io ero impegnato a far fare bella figura all’Italia».
Nessuno si azzarda a negarlo: non c’era mai stato un capo del governo tanto impegnato, fino a scegliere le tovaglie per i banchetti e l’intonaco per certe facciate.
Oltre ai fiori, forse, bisognava dedicare magari qualche attenzione in più alle opere di bene.
Era presumibile che gli occhi del mondo fossero puntati su quello straordinario convegno, e si poteva anche immaginare che gli eventuali contestatori non si sarebbero lasciati sfuggire un così importante palcoscenico.
E d è bello e nobile che si voglia capire quello che è accaduto al di là delle cerimonie ufficiali: c’è anche un giovane morto e un carabiniere sotto inchiesta. E Genova è passata da Giovan Battista Perasso che lancia un sasso all’invasore austriaco, a Carlo Giuliani, che cerca di buttare un estintore nella jeep della «Benemerita».
Adesso, come è consuetudine, partirà l’inchiesta ufficiale: e penso che a queste indagini solenni si addica la definizione che Churchill appioppò al Cremlino: «Un enigma avvolto nel mistero».
Andiamo: ci sono voluti diciotto anni per arrivare a una sentenza sul disastro del Vajont; forse i discendenti degli scomparsi avevano qualche difficoltà, lo dico senza ombra di offesa, a ricordare il nome del morto.
E il DC9 dell’Itavia, buttato giù dai proiettili, non dall’incuria dei meccanici o dall’imperizia dei piloti, lo ricordate? Lo sapete che il proprietario della compagnia aerea, il signor Davanzali, innocente e vittima anche di una concorrenza senza riguardi, ne uscì rovinato? Come si era permesso di mettersi sulle rotte della compagnia di bandiera? Mentre sulle strade di Genova imperversava la tempesta, Berlusconi - lo ha detto al cronista - era impegnato a farci fare bella figura. Forse non c’è riuscito: disordini ne accadono ovunque, ma quello che è successo dalle nostre parti è stato un dramma.
No, l’Italia non ha brillato; e quel disastro era prevedibile come la neve d’inverno.
Come è immaginabile che la responsabilità dei guai non sarà data a ministri o a politici, ma a De Gennaro, il capo della Polizia, perché ci sono anche le botte che le «forze dell’ordine» hanno distribuito sulle teste dei ragazzi contestatori.
C’è la descrizione di un giovanissimo detenuto nel carcere di Pavia, che all’onorevole Giuliano Pisapia, in visita, suppongo di controllo e di consolazione, «ispira solo tenerezza, la faccia viola delle manganellate, l’occhio destro rosso di sangue».
Oltre ai danni che i pacifisti hanno provocato, vetrine spaccate, cassonetti incendiati, negozi distrutti, auto ribaltate, un campionario di ribalderie, c’è anche chi suppone che qualche onorevole incoraggiava quella «maschia gioventù» nell’intrepida impresa. Diceva il vate Gabriele D’Annunzio: «C’è sempre uno stupido che le inventa e un cretino che le perfeziona».
Poi nella sarabanda che all’inizio sembra una smargiassata goliardica, si insinua la tragedia: non si può giocare a ladri e a guardie quando si è già anagraficamente «grandi», perché invece di fare «bum» con la bocca, c’è chi lo fa con la pistola. Nella globalizzazione c’è posto per tutti: per i retori e per gli sconsiderati.