La Repubblica 4 agosto 2001

Cala il grande freddo
tra il ministro e il Capo

De Gennaro di fatto sfiduciato, ma non intende dimettersi
il retroscena

LIANA MILELLA


ROMA - Formalmente, il loro rapporto è rimasto ineccepibile. Come dev'essere quello tra un ministro dell'Interno e un capo della polizia. Tant'è che ieri, per spicciare l'ordinaria amministrazione, Claudio Scajola e Gianni De Gennaro si sono sentiti più volte. Tra loro c'era l'ombra di quegli improvvisi trasferimenti ad altro incarico - di Andreassi, La Barbera, Colucci - decisi dal titolare politico del Viminale in piena autonomia e comunicati, alle nove di sera, solo con una nota di agenzia al poliziottoprefetto che, in nome del ministro, dirige la sicurezza e l'ordine pubblico del Paese e comanda su più di centomila agenti e funzionari. Un gesto che, nel rigido galateo del palazzo, viene letto nell'unico modo possibile: un atto di imperio del responsabile politico su quello tecnico. Che avrebbe anche potuto produrre una reazione stizzita, impensierita o impaurita del capo della polizia.
Ma così non è stato: De Gennaro, che si è sempre definito un «servitore dello Stato», resta al suo posto e non pensa affatto a dimettersi. Un governo, quello presieduto da Giuliano Amato, lo ha nominato e un altro governo, se lo vorrà, dovrà revocargli l'incarico. Un comportamento che non stupisce affatto chi lo conosce bene, ha lavorato con lui negli anni e lo ha visto alle prese con situazioni difficili, come quando gli scappò da sotto il naso il pentito Santino Di Matteo. Ma nel Dna di De Gennaro non è scritta la parola "dimissioni". Non conta, dunque, che Scajola, contro il suo parere, abbia tagliato di netto due teste importanti come quelle del vicecapo vicario della polizia Andreassi e del capo dell'Antiterrorismo La Barbera, entrambe sue "creature". Un passo indietro in questo momento, spiegano i suoi collaboratori, starebbe a significare automaticamente un'ammissione di responsabilità sui gravi fatti di Genova. E questo è «fuori discussione».
Dunque se Scajola, con quei trasferimenti improvvisi, voleva lanciargli un segnale di sfiducia, lui ha deciso di non raccoglierlo. Tant'è che si è già messo al lavoro sui nomi dei possibili sostituti. Il ministro, fino a ieri, non aveva parlato con il suo capo della polizia di un futuro, possibile organigramma, ma De Gennaro e i suoi ci stanno lavorando lo stesso e questo diventerà il terreno su cui misurare la temperatura del rapporto di fiducia (o di sfiducia) che intercorre tra i due. Per quei due incarichi di nomi ne circolano molti (Izzo di Napoli, Finazzo di Roma, Cavaliere di Torino, ma anche Manganelli, Pansa, De Sena). E l'attuale squadra di De Gennaro - o meglio quello che ne è rimasto - non dà affatto per scontato che la scelta possa essere consensuale. Se quei nomi saranno imposti, De Gennaro sarà ancor più delegittimato. Ma non è detto neppure che sarà lo stesso capo della polizia a farla.
Un fatto è fuori discussione: ieri, al Dipartimento della pubblica sicurezza, hanno tirato un sospiro di sollievo quando Scajola ha lasciato il palazzo per il suo weekend a Imperia partendo verso le 15. È stata una sorta di liberazione seguita dal commento: «Menomale, vuol dire che fino a lunedì possiamo stare tranquilli». De Gennaro si è tuffato nelle carte di Genova con lo scopo di prepararsi per mercoledì prossimo quando dovrà affrontare, appuntamento non facile, l'interrogatorio della commissione d'indagine parlamentare sulle violenze e i pestaggi del G8.
Non sfugge a nessuno che, proprio il giorno dopo, a palazzo Chigi, è fissato l'ultimo consiglio dei ministri prima della pausa estiva. Ed è avvenuto spesso, in passato, che proprio con questa tempistica si decidesse di sostituire i vertici della sicurezza. E anche stavolta l'ipotesi viene presa in considerazione. Un blitz estivo piacerebbe all'ala decisionista di Forza Italia che comprende anche il presidente Silvio Berlusconi e il ministro Scajola, entrambi esasperati per i fatti di Genova, turbati dalle immagini di violenza, scossi da una reazione dei partner europei che imputa a un governo di destra la brutalità della polizia. Per Scajola c'è una ragione in più: un capo della polizia debole e delegittimato indebolisce anche il ministro e gli potrebbe causare altri guai. Per questo, e per due giorni consecutivi, il ministro è rimasto a lungo a colloquio con Carlo Azeglio Ciampi, in allarme a sua volta per lo scollamento e la sfiducia tra i cittadini e le forze di polizia. Gli inquilini del Colle considerano De Gennaro un bravo poliziotto, per alcuni è anche un amico. Ma in questi giorni, davanti alla catastrofe di Genova e a quelle immagini mandate in onda dal Tg1 mercoledì 25 luglio, alzano le mani e rispondono: «Sì, è un amico, ma...».
L'ala decisionista sta spingendo molto per un avvicendamento immediato che, senza tenere le forze di polizia sulla graticola della commissione parlamentare, consentirebbe ai nuovi capi di ricostruire un rapporto di fiducia con la base guardando ai prossimi, e pericolosi, appuntamenti d'autunno con la piazza e con un possibile risveglio del terrorismo. Gli organigrammi - naturalmente supersegreti - sarebbero già pronti. Polizia, carabinieri, servizi segreti. Ma proprio l'avvicendamento dei direttori degli 007 potrebbe rappresentare un ostacolo. Il forzista Franco Frattini, che coordina l'intelligence, non vuole delegittimare i suoi capi che pure sono ormai in sella da anni e che, nel caso del Sismi con l'ammiraglio Battelli, viaggiano verso la pensione. Frattini ha più volte ripetuto, anche a Berlusconi, che i capi del Sismi e del Sisde hanno ben operato in vista di Genova. Hanno segnalato per tempo i maggiori pericoli, hanno spedito corposi dossier, hanno perfino segnalato i nomi dei trequattrocento Black blocs veramente pericolosi. La polizia e i carabinieri avrebbero avuto tutto il tempo, se veramente avessero voluto, per individuarli e fermarli. Perché non lo hanno fatto? Forse per un espresso disegno che mirava a far fallire il G8 rovinando al capo del governo la sua prima uscita internazionale? Un ricambio contemporaneo - De Gennaro e Siracusa da una parte, Battelli e Stelo dall'altra, perché Masone verrebbe confermato al suo posto - darebbe l'idea che tutti vengono puniti per Genova. Di qui il rinvio all'autunno. Dalla parte dei "duri" c'è un'ultima considerazione: una polizia preda delle faide, i 25 e passa sindacati e sindacatini in rivolta, un capo che gode della copertura del ministro solo a metà non sono il modo migliore per far dimenticare Genova e chiudere una pagina di «vergogna» - come scriveva ieri l'"Economist" - per la polizia italiana.