Corriere della sera 24 luglio 2001
I racconti dei giovani liberati ieri. C’è anche un fruttivendolo

«Io, arrestato mentre andavo ad aprire il negozio»

DAL NOSTRO INVIATO
PAVIA - «Sono stato arrestato venerdì pomeriggio e solo adesso mi lasciano andare». È la storia, raccontata ieri pomeriggio all’uscita dal carcere di Pavia, da Fabrizio Fileni, 28 anni, residente a Genova, professione fruttivendolo. «Venerdì scorso sono uscito di casa alle 15 per andare a lavorare. Con me avevo i soldi da utilizzare in negozio: ho incontrato il corteo e, vista la tensione che si respirava, ho deciso di lasciare i soldi a un amico, anche lui negoziante. Appena uscito sono stato fermato dai poliziotti, mi hanno preso il portafoglio con dentro 900 mila lire. Sono stato picchiato nella caserma di San Giuliano, in faccia e sul corpo, poi portato in carcere a Pavia».
Nessun contatto con chi era a Genova per protestare, Fabrizio si trovava lì, tra i manifestanti, con maglietta verde, jeans e capelli corti, solo perché doveva andare a vendere frutta e verdura. «Mi hanno accusato di avere addosso due aste, due scudi di plexiglas, due caschi, bombe molotov e di carta - continua Fabrizio - : con me avevo solo il portafoglio e il telefonino. Adesso voglio andare fino in fondo: non mi basta che mi abbiano restituito, con tante scuse, una parte dei soldi che avevo in tasca».
Su 24 ragazzi arrestati venerdì a Genova e portati nel carcere di Torre del Gallo di Pavia (altri sono stati trasferiti nelle case circondariali di Voghera, Alessandria, Vercelli e Monza), 23 sono stati rilasciati ieri pomeriggio: in cella è rimasto un ragazzo irlandese sorpreso con un coltello sporco di sangue (29 giovani, arrestati dopo il blitz di sabato alla scuola Diaz di Genova, si trovano ancora in cella a Pavia). Prima di essere rilasciati, i ragazzi sono stati ascoltati dai gip di Genova, Vincenzo Papillo e Elisabetta Vidali: a nove di loro non è stato mai convalidato l’ordine d’arresto, e sono rimasti in carcere tre giorni senza una motivazione.
È il caso di Timothy Ormezzano, 26 anni, cineoperatore di Ancona, figlio del noto giornalista sportivo Gianpaolo. All’uscita del carcere, ad attenderlo, c’erano i suoi genitori: Timothy esce, ha un grosso cerotto sopra l’occhio destro, ecchimosi sul corpo, piange: «Mi dispiace, siete rimasti ad aspettarmi per tante ore».
Escono a gruppetti di due o tre, facce smarrite, ferite evidenti, molti non sanno bene quello che è successo dopo il loro arresto. «Ci tenevano in cella d’isolamento - afferma Aldo Manni, 28 anni di Venezia - , l’unica cosa che mi hanno detto è che un ragazzo è morto».
Qualcuno esce lanciando accuse precise: «Mi hanno picchiato sempre - dice Gilberto Policani, 25 anni, di Perugia - in caserma e anche qui, a Pavia. Al nostro arrivo, alle 5 di sabato mattina, siamo passati attraverso un cordone di poliziotti che ci hanno rifilato calci e schiaffi». Gilberto ha molti capelli in testa: in quella «foresta» si apre uno spazio che fa vedere una ferita. Tre punti di sutura, «frutto di una manganellata ricevuta in caserma».
Martino Spadari