Manifesto 5 agosto 2001

Uomini in fuga
GABRIELE POLO

Il prossimo vertice dalla Fao a Nairobi, il G8 sulle Montagne rocciose, il Wto nei deserti dell'Arabia: sembra che il terrore seminato nelle piazze di Genova si stia ritorcendo contro i suoi registi. Al punto che Berlusconi consiglia di spostare in Africa un appuntamento che da cinquant'anni si svolge a Roma. Per paura o perché quegli incontri sono ormai inutili e il neoliberismo, per quanto zoppicante, si governa da sé al di là delle passerelle politiche?
Improbabile che Berlusconi - per non parlare di Bush - sia terrorizzato: lo dimostrano l'apparato militare e la violenza messi in mostra a Genova e la disinvoltura con cui sta gestendo - fuori da ogni regola democratica - i lasciti militari di quell'infausto vertice. Semmai preferisce evitare qualunque fastidio possa derivare al suo doppiopetto da migliaia di persone in piazza. Oppure, magari, ha esaurito con i limoni posticci e le reprimende sulle mutande stese sui balconi la propria vocazione da arredatore urbano. E, del resto, con tutte quelle televisioni e giornali le occasioni di passerella non gli mancano certo. Ma la fuga dall'occidente dei potentati chiamati a governare il mondo - poveri inclusi - testimonia qualcosa di più profondo: è, in qualche modo, un'operazione di verità.
La zona rossa di Genova, la militarizzazione della città, l'allarmismo che ha preceduto il vertice - annuncio del morto compreso - sono stati il paradigma della separazione tra i principi e i sudditi, tra chi comanda (o pretende di farlo) e chi esegue (e si rende conto di farlo). Le violenze delle "forze dell'ordine" contro migliaia di persone quasi tutte inermi - fino a quell'assassinio su piazza, fino alla mattanza della scuola Diaz poi proseguita nelle caserme - sono state il messaggio lanciato urbi et orbi per dire "la globalizzazione non si discute, la piazza non è più il luogo della politica". Ora - tra indagini confuse e rese dai conti negli apparati dello stato - quel messaggio viene reiterato attraverso alcuni grandi media, che in sede di cronaca raccontano e descrivono gli abusi polizieschi, e poi - nei commenti - li giustificano bollando come violenti tutti coloro che sono scesi in piazza a Genova; magari violenti inconsapevoli, ma violenti perché contestatori del G8. Sullo sfondo l'allarme terrorismo, che non esiste ma viene evocato considerandolo sbocco naturale di un movimento che ha invece tutt'altra natura. Alle persone che sono scese in piazza suggeriscono insomma una sola possibilità, tornarsene a casa, rimanerci e lasciare il campo libero a chi vuole giocare alla guerra.
Tanto più nella prospettiva di un autunno - italiano - che si preannuncia carico di tensioni: i metalmeccanici in lotta per un contratto decente, gli studenti che contestano la privatizzazione della scuola e i cittadini che non vogliono quella della sanità, i sindacati che dovranno fare i conti con una finanziaria per ricchi, le centinaia di associazioni che hanno dato vita al Genoa social forum. Tutti vissuti come ostacoli al "lasciateci lavorare" da chi non sopporta più nemmeno gli emedamenti parlamentari figuriamoci quei "turbatori dell'ordine pubblico" che pretendono ancora di manifestare il proprio pensiero con qualche corteo. "Dio non voglia", direbbe Fini, che tutti questi si mettano assieme e comincino a dialogare tra loro. E, sui giornali e in televisione già va in onda l'annuncio dell'autunno rosso (di sangue), si grida al lupo per materializzarlo nei panni dei tanti robocop che abbiamo visto posare per le foto ricordo a Genova.
Voglia dio, diremmo noi, che tutti questi comincino a guardarsi in faccia e a camminare insieme, anche se Berlusconi e compagni fossero nel deserto, a Nairobi o in una baita di montagna.