Manifesto 27 luglio 2001 Fughe
dal pianeta Terra
Hollywood anticipa i segni forti della realtà
con i suoi ultimi film. Preoccupazioni ecologiche, antimilitariste, scientifiche, molto in
sintonia con le istanze dei movimenti no global, si ritrovano nei kolossal della stagione.
Da "Final Fantasy" a "Il pianeta delle scimmie" (fuori concorso a
Locarno), da "A.I." a "Ghosts of Mars"
GIULIA D'AGNOLO VALLAN - NEW YORK
Un bambino robot, stagliato sull'orizzonte di una Manhattan sepolta
dalle acque, ha in sè la sola memoria rimasta della storia e della civilizzazione umane.
Una Terra conquistata da fantasmi alieni, che succhiano l'anima di uomini, animali e
piante, è ridotta ad un globo grigio, immerso in una notte perenne, e senza vita. Un
manipolo di soldati e galeotti, trapiantati sulla frontiera di Marte, lotta invano per la
sopravvivenza della razza umana contro un'armata di orribili mutanti. Tutto questo e in
più - basta la parola - Il pianeta delle scimmie.
Se, al suo meglio, il cinema hollywoodiano riflette, evoca e traduce i segni forti della
realtà che lo circonda, l'immaginario cinematografico di quest'estate non potrebbe essere
più "sulla notizia". Dalle meditazioni complesse e profondamente malinconiche
di Steven Spielberg (A.I.) e Hironobu Sakaguchi (il cui Final Fantasy è il
primo digital film a tentare la ricreazione fotografica del reale), alle grandi battaglie
extraterrestri di Tim Burton (Il pianeta delle scimmie) e John Carpenter (Ghosts
of Mars), il meglio del cinema Usa (quello più visionario e "impegnato")
racconta della fine del mondo. Preoccupazioni ecologiche, antimilitariste, scientifiche,
etiche, politiche, e anche mistico/religiose - non troppo dissimili da quelle intorno a
cui si sono create le premesse per le manifestazioni di Seattle, Washington fino a Genova
- animano alcuni dei film più kolossali e ribelli della stagione.
Non c'è da stupirsi che, in un e-mail giratomi un paio di settimane prima del G8, un
ragazzo di Genova paragonasse la militarizzazione della città a un film di John Carpenter
(un ipotetico terzo capitolo delle "fughe", dopo New York e Los Angeles): era
stato proprio Carpenter a suggerire, nel suo enorme e nerissimo Fuga da Los Angeles
- in cui i rappresentanti della politica istituzionale, di destra e di sinistra, erano
egualmente cinici e improponibili - la necessità di tornare ad un grado zero della
civiltà. Per chi non si ricorda, l'ultima, radicale, immagine (nella filmografia di un
regista già poco solare) era quella di un fiammifero accceso, dopo che Iena Plissken
aveva distrutto l'aggeggio che controllava tutta l'energia del pianeta.
In Ghosts of Mars, il nuovo Carpenter in uscita a fine agosto, la Terra non c'è
nemmeno più. Esiste infatti solo nel ricordo/allucinazione - una grande, meravigliosa,
onda blu - di una soldatessa (Natasha Henstridge) stazionata su Marte. Parte di una
pattuglia, a bordo di un treno che solca il rosso deserto marziano, Melanie Ballard deve
riportare alla capitale un pericoloso prigioniero di nome Desolation Williams (Ice Cube).
Ma quando raggiunge la città mineraria (il set quello di un western del futuro) dove
Desolation è già rinchiuso in una cella, la trova deserta e scopre ben presto che tutti
i pionieri che la abitavano sono posseduti da fantasmi marziani che li trasformano in
mutanti dal look parecchio heavy metal e altrettanto assetati di sangue. In molti sensi, Ghosts
of Mars è un ritorno di Carpenter a Distretto 13. Le brigate della morte e
all'adorato, hawksiano, Per un dollaro d'onore.
Ma, fantasmi marziani e citazioni a parte, non ci sono dubbi: il male ("la
cosa") che, come da una dimensione parallela, minaccia l'umanità nei film
dell'autore di La cosa e Essi vivono, qui ha già vinto. Gli uomini,
scacciati dal loro pianeta, non sono che una deriva in via di estinzione, e condannati ad
una guerra armata perenne.
Se non fosse che è stato scritto e pensato dall'autore giapponese (Sakaguchi) di una nota
e fortunatissima serie di videogiochi, Final Fantasy: The Spirit Within potrebbe
essere un editoriale di commento al dibattito sull'ambiente che si sta svolgendo in Usa e
alla politica di George Bush. C'è addirittura un personaggio che sembra ritagliato dal
temibile segretario della difesa di Bush jr., Donald Rumsfeld. Strano ibrido nella
tradizione del cartoon giapponese postapocalittico a cui è sovrapposto un livello di più
convenzionale narrativa hollywoodiana, Final Fantasy (dall'omonimo videogame,
giunto ormai alla sua nona edizione) è il primo "cartone animato" a tentare la
scommessa della riproduzione digitale degli esseri umani - un oggetto raro, triste,
solitario, prezioso e d'avanguardia, che tenta di spingersi là dove si annullano le
contraddizioni tra il "fantastico" mondo dei cartoon e la realtà che ci
circonda.
Non sorprende che, di primo acchito, il pubblico non lo abbia amato (costato un centinaio
di milioni di dollari ne ha incassati, per ora, poco più di una decina). La storia,
intinta di ecologismo e misticismo un po' New Age, ha luogo nel 2065. La Terra è dominio
praticamente incontrastato di forze extraterrestri che succhiano l'anima di ogni forma
vivente e hanno trasformato il pianeta in un grumo grigio/marrone e senza vita, abitato da
Et mostruosi e semitrasparenti che sembrano incroci tra ectoplasmi e misteriose creature
marine. Mentre il generale Hein (il Rumsfeld della situazione, che nella versione Usa ha
la voce del "cattivo" James Woods) vuole combattere l'invasione con un
megacannone anche a costo di un' apocalisse totale, la dottoressa Aki Ross ha in testa una
soluzione "organica" al conflitto, fondata sul fatto che ogni essere vivente ha
uno spirito. Aki (che è già contaminata dall'alieno e ne sogna la storia e il pianeta)
è così alla ricerca degli "spiriti" sopravvissuti - piante, animali,
microrganismi - che, secondo una particolare sequenza scientifica, potrebbero riportare la
vita sulla Terra e capovolgerne il destino. Commovente star digitale del film, con look
cerbiattesco, un po' Bridget Fonda, e sessantamila comandi computer che le muovono
sessantamila capelli, Aki (che per complessità ed empatia polverizza la Laura Croft del
videogame, ma anche quella in carne ed ossa interpretata da Angelina Jolie in Tomb
Raider) ha tutti i punti per diventare un'eroina del movimento ambientalista e la
nemesi simbolica dei mostruosi gruppi d'interesse che fanno cerchio intorno all'attuale
Casa bianca.
Meditazione sul darwinismo, studio quasi shakesperiano di maschere, film di grandi esterni
per un regista da teatro di posa e omaggio ad un classico della camp-fantascienza sul
nucleare con in aggiunta qualche tocco biblico, Il pianeta delle scimmie di Tim
Burton atterra tra qualche giorno al festival di Locarno e poco dopo nel resto
dell'Europa. In questa "reimmaginazione" -non remake, specificano i
filmmakers-del film di Franklin Schaffner, Mark Wahlberg è "l'astronauta", il
ruolo di Charlton Heston nell' originale uscito nel 1968. Nascosti dietro all'incredibile,
elaboratissimo, make up di Rick Baker, Helena Bonham Carter è la scimpanzè
liberal/intellettuale che lo aiuta e Tim Roth lo scimpanzè crudele che odia gli uomini e
lo vuole distruggere, Paul Giamatti è un orangotango buffone e Michael Clark Duncan è il
gorilla guerriero Attar. Lo stesso Charlton Heston torna, in versione scimmia, con uno
stupendo monologo sul letto di morte che sembra una parodia delle deliranti tirate pro
armi che l'attore fa in qualità di presidente della National Rifle Association. Meno di
cuore e più di testa della maggioranza dei film di Tim Burton, e anche uno dei meno
"burtoniani" (anche se solo questo regista poteva trarre tanto piacere dal
mettere in scena una città popolata solo di primati e dalla carica di un' armata
kurosawiana di scimmie guerriere), Il pianeta delle scimmie è un gioco di
incastri, rimandi e capovolgimenti che si interroga su differenze, similitududini e
cronologie evolutive tra uomini e scimmie. Chi trovava terrorizzante il film originale non
rimarrà deluso dalle sequenze iniziali in cui Wahlberg e un altro gruppo di umani vengono
catturati e brutalizzati dalle scimmie. Anche le scene di battaglia sono bellissime.
Vicino a questi titoli in uscita, o appena usciti nella sale americane, a cui è
accomunato per la sua struggente visione della fine del mondo A.I. (di cui abbiamo
già parlato) rimane il film più grande e complesso dell'estate.
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