Manifesto 29 luglio 2001

Genova, vista da Ginevra
Dominic, appena operato in Svizzera per un colpo di lacrimogeno: "E dopo il massacro, ci volevano arrestare"
SEYED FARIAN SABAHI - GINEVRA
 

" Venerdì pomeriggio ero nel corteo sul ponte a cinquecento metri da Brignole quando, all'improvviso, le forze dell'ordine italiane hanno iniziato a sparare i lacrimogeni ad altezza uomo. Rispetto a qualche ora prima avevano sostituito i proiettili leggeri, di cartone, con quelli grandi un pugno. Ci tiravano addosso, sono stato colpito in pieno viso e ho perso conoscenza", dichiara Maurice Ranieri, 25 anni, iscritto all'ultimo anno di ingegneria al Politecnico di Losanna.
Di origine italiana ma nato e cresciuto in Svizzera, Maurice racconta la sua esperienza a Genova sdraiato nel letto della corsia del reparto di chirurgia dell'Ospedale Cantonale di Ginevra. Il viso tumefatto, la voce nasale per le garze, ricorda il momento in cui si è diffusa tra la folla la notizia della morte di Carlo Giuliani: "Per mascherare l'assassinio, le autorità ci avevano comunicato che era stato ucciso da una pietra lanciata da un altro manifestante. Se non fosse stato per il fotografo della Reuters non avremmo mai saputo la verità".
Gli occhi verdi, i capelli corti e la carnagione chiara, Maurice appartiene all'associazione ginevrina Attac ma a Genova è andato a titolo personale. Ha viaggiato in auto con gli amici e hanno attraversato il Gran San Bernardo senza essere fermati per nessun tipo di controllo. Il proiettile lacrimogeno avrebbe potuto ridurlo peggio, se solo non avesse indossato un paio di occhialini di plastica, di quelli che si usano per nuotare in piscina. Li aveva messi per poter continuare a camminare nella folla nonostante i gas e gli hanno salvato la vista.
Quando è svenuto, gli amici lo hanno sollevato e caricato su un motorino. Così riuscito a raggiungere l'ambulanza e poi l'ospedale. "I medici italiani mi hanno dato tre punti sulla fronte e fermato l'emorragia ma, visto che il proiettile mi aveva rotto il naso, ho preferito tornare in Svizzera per essere operato". Un dottore voleva dimettere Maurice già in serata, poi è intervenuto un collega che ha consigliato di attendere il mattino perché nella sala principale dell'ospedale tre poliziotti in borghese stavano arrestando i feriti per portarli in questura.
"Le forze dell'ordine italiane ci hanno dapprima massacrati di botte e poi volevano arrestarci", s'indigna lo studente ginevrino. Nel corso degli esami medici a cui è stato sottoposto, Maurice ha incontrato altri manifestanti. In radiografia ha fatto amicizia con il genovese Babak, di origine iraniana, ferito al punto da non riuscire a reggersi in piedi. Inseguito dalle forze dell'ordine, Babak è inciampato ed è stato bastonato da poliziotti armati di manganelli. In ospedale gli hanno dato dieci punti in testa, ma i medici gli hanno anche riscontrato la frattura del naso e di una costola, e la presenza di numerosi ematomi su tutto il corpo.
"Un altro manifestante è stato picchiato a sangue per essersi rifiutato di inginocchiarsi di fronte a un'immagine di Mussolini. Dominique, un altro svizzero finito in cella, ha visto le forze dell'ordine che spegnevano le sigarette addosso ai manifestanti", ricorda Maurice inorridito. Al pronto soccorso arrivavano anche alcuni carabinieri: "uno presentava un'escoriazione all'orecchio, l'altro al piede, i medici li hanno liquidati con un po' di acqua ossigenata". Occorre quindi fare attenzione alle statistiche, avverte Maurice, tamburellando sul libro Les Lasers, cours et exercices corrigés, il libro di testo per l'esame dell'appello autunnale. Che cosa gli ha lasciato l'ultimo viaggio in Italia? "E' come un film dai fotogrammi indelebili, una pellicola che continua a girare". Anche le domande continuano a riproporsi: perché gli elicotteri, i blindati e le forze dell'ordine erano tutti alle prese con le tute bianche?
Perché non c'era anima viva tra i Black bloc che devastavano Genova? Distruggevano le vetrine, entravano nelle ferramenta e si armavano di piedi di porco e catene: perché non li hanno fermati? "I negozi svaligiati, le auto e i cassonetti bruciati dai Black bloc hanno legittimato la violenza delle forze dell'ordine italiane che se la sono presa con i pacifisti disarmati", conclude Maurice.
Meno drammatica l'esperienza di Thierry. Venticinque anni, diplomato in contabilità, preferisce mantenere l'anonimato. E' membro di Attac, mentre la ragazza che viaggiava con lui appartiene al Gssa, il gruppo per una Svizzera senza esercito. Biondino, pantaloni blu e camicia bianca, non ha avuto alcun problema ad attraversare i confini. Partito dal cantone di Ginevra, è passato dalla Francia ed è arrivato in treno fino ad Alessandria, dove è salito sulla navetta delle Fs per Genova. Non è entrato nella zona rossa ma è rimasto scioccato dal sangue sui muri e sui marciapiedi. Una delle difficoltà maggiori - racconta Thierry - è stata recuperare cibo e acqua, tutti i bar erano chiusi. I cittadini di Genova sono stati comunque molto solidali e un'anziana signora calava persino provviste dal balcone, mentre altri ci riempivano d'acqua le bottiglie di plastica".
In Svizzera si continua a parlare della violenza delle forze dell'ordine italiane. Ieri in un editoriale in prima pagina sul quotidiano ginevrino Le Temps Serge Enderlin ha scritto che a Genova Berlusconi ha lasciato cadere la maschera. A differenza del Regno Unito e della Germania, il governo federale non ha però ancora preso posizione. In realtà le autorità svizzere hanno luna bella coda di paglia, visto che sono aperte tre inchieste per morti violente a causa di un uso eccessivo della forza da parte della polizia svizzera. Venerdì sono stati resi noti i risultati dell'autopsia del nigeriano Samson Chukwu, 27 anni, morto asfissiato a maggio in una prigione del Vallese e non - come avevano dichiarato inizialmente le autorità cantonali - per crisi cardiaca: piegato al suolo faccia a terra, tenuto giù da un poliziotto, braccia dietro alla schiena, non è più riuscito a respirare.