La Repubblica 31 luglio 2001

"Giochi di potere sulla polizia
così separano divise e paese"

Luciano Violante, capogruppo ds alla Camera: An vuole la rappresentanza esclusiva, anche contro gli alleati

GIANLUCA LUZI


ROMA - «Noi vogliamo l'indagine, vogliamo che il Parlamento indaghi. Questa è la priorità». Il presidente dei deputati della Quercia Luciano Violante conferma che l'Ulivo non ha alcuna intenzione di rinunciare all'indagine del Parlamento. E pensa che anche nella maggioranza non tutti siano schierati sulle posizioni dei «falchi». «Credo - spiega infatti Violante - che all'interno del centrodestra Alleanza nazionale vuole assumere la rappresentanza esclusiva delle forze di polizia, anche contro gli altri partner della maggioranza. Con un effetto assai grave, perché separare le forze di polizia da un rapporto complessivo con la società italiana rischia di trasformarle in strumenti di parte e di scavare un solco tra queste istituzioni e la società. Io credo che vadano difese le forze di polizia, ma aggiungendo che se qualcuno ha commesso abusi, va punito».
Questo lo dice anche Berlusconi.
«Lo dice, ma nello stesso tempo criminalizza tutti quelli dall'altra parte. Certamente tra i manifestanti c'era chi ha innescato i disordini; io credo che le tute bianche abbiano responsabilità gravi perché se vai con lo scudo, il casco e le imbottiture, ti alleni pubblicamente a sfondare il blocco, se dici che entrerai nella zona rossa è evidente che vuoi andare allo scontro con la polizia. Sapendo che poi vicino a te ci sono i "casseur", è chiaro che tu precostituisci il clima dello scontro nel quale gli altri si inseriranno. Però detto questo e detto che la responsabilità è di chi innesca il conflitto, io non posso dimenticare che dall'altra parte, accanto a un comportamento corretto della stragrande maggioranza delle forze di polizia, ci sono stati alcuni gruppi di poliziotti che si sono comportati in modo incivile».
Che conseguenze vede in questa situazione?
«Corriamo il rischio di lacerare il paese e questo non deve interessare soltanto noi della sinistra, ma tutti, a cominciare dal governo. Lacerazioni tra il sistema politico e le giovani generazioni, tra società civile e forze di polizia, queste sono le due lacerazioni che sta introducendo la destra. Sono cose inaccettabili».
Un meccanismo autoritario messo in moto da settori politici?
«Ci sono delle domande a cui dare risposte: che direttive ha dato il ministro? cosa faceva il vicepresidente del consiglio Fini in prefettura a Genova? cosa facevano i quattro deputati di Alleanza nazionale nella sala operativa dei carabinieri? Che rapporto c'è fra queste cose e quelli che gridavano "viva il duce" o "viva Pinochet"? Spero che non ci sia nessun rapporto, ma gli italiani hanno il diritto di sapere».
Per i metodi violenti della polizia sono sotto accusa anche i vertici. Ma non li avete nominati voi, come ha ricordato Berlusconi? E in cinque anni di governo come mai non siete riusciti a democratizzare le forze dell'ordine?
«Prima di tutto i vertici della polizia sono stati scelti di comune accordo con il Polo. Poi bisogna dire che se avessero picchiato tutti e ventimila i poliziotti impiegati, la domanda sarebbe fondata, ma non è stato così. Ci sono stati piccoli gruppi di violenti che non possono essere confusi con gli oltre 250 mila appartenenti alle forze di polizia. La questione qual è? Se fino a sei mesi fa nessuno ordinava o pretendeva dagli arrestati di gridare "viva il duce" o "viva Pinochet" e adesso lo fanno e le persone sono le stesse, vuol dire che è cambiato un indirizzo e un clima, non che noi non abbiamo democratizzato le forze di polizia che nel loro insieme sono assolutamente democratiche».
Come mai non avete capito prima il movimento antiglobal?
«C'è una questione che riguarda il partito e una che riguarda il movimento antiglobalizzazione. Noi Ds dal ‘96 al 2000 abbiamo amministrato una quantità di potere pubblico che neanche la Dc ha gestito, per dimensione e quantità. Questo ha comportato uno spostamento enorme di quadri dal partito alle istituzioni e in molte aree del paese il partito è rimasto sguarnito di quadri. Questo ha fatto sì che un compito del partito - il rapporto con la società - fosse delegato alle istituzioni, al sindaco, ai ministri. E la questione se andare o non andare a Genova, perché ha creato tanti problemi? Perché io ero contrario ad andare? Perché non avevamo elaborato la nostra posizione teorica sulla globalizzazione. C'era bisogno di una discussione, non si poteva decidere dall'oggi al domani».
Ma lei che idea si è fatta dell' "antiglobal"?
«Ci sono due tipi di opposizione alla globalizzazione. Una che fa riferimento agli ideali di sinistra, che denuncia l'iniquità dei rapporti sociali ed economici tra i popoli e nei popoli e pone una domanda di equità. Dall'altra parte c'è una opposizione di destra, di tipo antimoderno, fondata sull'odio nei confronti dei diversi, sul richiamo della foresta alle piccole comunità omogenee. Alleanza nazionale e Lega mi sembra si trovino su questo piano con un asse fondato sull'autoritarismo».
Il movimento "antiglobal" entrerà tra gli argomenti del vostro congresso?
«Non il movimento antiglobalizzazione, ma i problemi e le opportunità della globalizzazione devono entrarci. Così ricostruiamo la capacità di ripresa di un rapporto non solo con la società italiana, ma con i grandi temi della modernità. La riforma della globalizzazione è un tema della sinistra».
Insomma Agnoletto e Casarini non sono necessariamente dei nemici ma persone con cui dovete dialogare?
«Io credo che entrambi abbiano gravi responsabilità politiche. Il dialogo va fatto con l'intera generazione e non con chi pretende - non so su quali basi - di rappresentarli. Bisogna rompere il cerchio ristretto delle oligarchie e parlare direttamente alle persone».