Corriere della sera 6 agosto 2001

 

GLOBALIZZIAMO LA POLIZIA

di SERGIO ROMANO

Se il governo cerca di evitare il vertice della Fao e prega i suoi ospiti di riunirsi altrove, il giudizio, a prima vista, non può che essere negativo. L’Italia darebbe partita vinta ai contestatori violenti, rinuncerebbe a trattare di problemi mondiali con la componente moderata del «popolo di Seattle» e apparirebbe ai suoi partner una potenza zoppa, incapace di assicurare l’ordine pubblico e di ospitare grandi incontri internazionali. Ma è probabile, a una seconda occhiata, che l’orientamento del governo Berlusconi abbia, in queste circostanze, una certa giustificazione. Nelle grandi manifestazioni in cui i dimostranti non hanno né una rappresentanza unitaria né un servizio d’ordine, il problema maggiore non è il controllo delle masse, che ogni polizia, in un modo o nell’altro, è generalmente in grado di garantire. Il vero problema è rappresentato dai limiti che gli umori della pubblica opinione, nazionale e internazionale, impongono agli organizzatori dell’incontro e alle forze dell’ordine. Nel caso del G8 il governo Berlusconi si è sentito obbligato a negoziare con leader che non erano in grado di discutere problemi sostanziali e di rappresentare l’insieme delle organizzazioni convenute a Genova.
Ha corretto, per evitare critiche e rimostranze, alcune delle disposizioni restrittive adottate in una prima fase. Ha organizzato il trasporto dei manifestanti, li ha alloggiati e ne ha sostenuto quindi, in parte, le spese. Lo ha fatto per due ragioni: perché è un governo «di destra», quindi particolarmente esposto alle critiche di alcuni suoi partner, e perché la contestazione, anche quando diventa violenta, è usata dalle opposizioni e gode apparentemente di una generale benevolenza.
Controllare l’ordine pubblico, in queste condizioni, è difficile. E diventa ancora più difficile quando, dopo le deplorevoli violenze della polizia, alcuni governi stranieri intervengono a favore di connazionali che essi tratterebbero probabilmente, in circostanze analoghe, nello stesso modo. Quando i tifosi inglesi spargevano il terrore nelle città straniere, la signora Thatcher li denunciava alla pubblica opinione, chiedeva scusa al Paese ospitante e li abbandonava alla giustizia dei suoi tribunali. Oggi, apparentemente, va di moda prendere le loro difese.
Per un incontro come quello di Genova non bastano quindi la buona volontà, lo sforzo organizzativo, la pazienza dei cittadini e lo spiegamento delle forze di polizia. Occorre che nel Paese ospitante e nell’Unione Europea esista una filosofia condivisa sul modo in cui affrontare e controllare l’evento. Il primo a rendersene conto è stato Otto Schily, ministro degli Interni della Repubblica federale tedesca, che propone da qualche giorno la creazione di una polizia europea e, nel frattempo, un’intesa fra i ministri dell’Unione per l’arruolamento e l’addestramento delle polizie nazionali. Se l’avvenimento e la contestazione sono «globali», la reazione deve essere, per quanto possibile, unitaria e solidale.
Le proposte di Schily richiedono tempo e non possono certo essere realizzate prima del vertice della Fao. Ma il governo italiano potrebbe, sin d’ora, prendere qualche iniziativa in questa direzione. Potrebbe sostenere che un grande evento, quando attira manifestanti da tutti i Paesi europei, comporta la responsabilità dell’Unione. Potrebbe suggerire la creazione di un apposito comitato di coordinamento. E potrebbe infine invitare le altre polizie a essere presenti sul campo con loro uomini, anche per occuparsi dei loro connazionali. Lo stesso Schily, che ha esortato il governo italiano a non lasciare che il luogo degli incontri internazionali sia deciso dai militanti, dovrebbe essere il primo a collaborare.
Se qualcosa del genere può essere realizzato, il vertice della Fao vale il rischio. In caso contrario, è meglio passare la mano e aspettare che le proposte del ministro tedesco diventino realtà.
Sergio Romano