La Stampa
Sabato 28 Luglio 2001
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«Gridava, loro lo pestavano»
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Anne, 22 anni, racconta «linferno»
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corrispondente da BERLINO
DANTES Inferno», linferno di Dante. Con queste parole Anne Z. (il nome è
inventato) riassume la sua esperienza a Genova, quando si è vista prendere con la forza
dalla polizia mentre chiacchierava con alcuni studenti italiani di ciò che era successo
quella mattina, alla manifestazione organizzata dal Genoa Social Forum. «E stato
tutto così improvviso che per un attimo mi sono chiesta se quello che stava accadendo
fosse vero». Anne ha 22 anni, studia Scienze Politiche e non appartiene a nessun gruppo
organizzato. Era a Genova con degli amici, per vedere, per capire. «Mai gettato una
molotov in vita mia», assicura, «e la prima volta che ho visto armi pronte a colpire è
stato fra le mani di quei poliziotti a Genova».
Ha una ferita alla testa, guaribile in una decina di giorni. «Niente in confronto a
quello che è capitato ad altri». Dopo larresto ? racconta Anne - siamo stati tutti
condotti in una caserma, perquisiti, e poi messi in cella. Eravamo circa 40, tra uomini e
donne. La maggior parte di loro erano feriti, in modo più o meno grave, soprattutto
ferite alla testa e setti nasali rotti. Quelli che hanno tentato di difendersi il volto
con le mani hanno, oltre alle ferite alla testa, anche le braccia ingessate. Siamo stati
faccia al muro, gambe allargate e mani dietro alla testa non so per quanto. Ogni tanto i
poliziotti rientravano in cella, ci facevano allargare meglio le gambe e alzare le
braccia, in modo che stessimo il più scomodi possibile. Anche quelli che avevano braccia
o gambe rotte dovevano restare in quella posizione. I poliziotti ci sussurravano:
"Manganelli, manganelli". Sono state ore di totale terrore psicologico, e la
gente continuava ancora a essere picchiata. Mentre ero con la faccia al muro ho sentito
colpi e grida venire da unaltra stanza».
Parla veloce, non prende mai fiato, con un suo amico sta preparando una lunga mail per
raccontare tutto minuto per minuto, e poi affidare la testimonianza alla rete: «A un
certo momento alle donne è stato permesso di sedersi un momento, agli uomini no. Ho avuto
il permesso di andare al bagno, e ho visto che in una cella, un uomo veniva preso a
manganellate sulla pancia. Gridava e gridava, ma continuavano a picchiarlo».
Capelli corti biondi, due anellini alle orecchie, il volto tirato. Così la giornalista
del quotidiano di sinistra «Junge Welt» Kirsten Wagerschein è ritornata da Genova.
Anche lei racconta, ma da domani spegnerà il cellulare per almeno una settimana. Va in
vacanza per riprendersi. Non in Italia, naturalmente, anche perché le autorità di Genova
le impedirebbero lingresso, «almeno per i prossimi cinque anni». «Sono felice che
tutto sia finito ? dice a bassa voce - sono felice di essere fuori. Sono stata una delle
poche persone arrestata che non è stata picchiata. Quando la polizia ha fatto irruzione
nella scuola siamo stati tutti presi dal panico. Io mi sono nascosta in una specie di
stanzino delle scope, sperando di non essere scovata. Ero arrivata nella scuola da appena
cinque minuti perché volevo fare qualche ricerca sul movimento antiglobalizzazione. Se
fossi arrivata un quarto dora più tardi non mi avrebbero preso. I poliziotti ci
hanno messo un po, ma alla fine mi hanno trovato. La prima ondata di arresti era
già passata, stavano finendo di setacciare le stanze. Ho ricevuto solo pochi e deboli
colpi di manganello, perché non volevo uscire. Poi sono stata condotta nellatrio,
ma senza essere picchiata. Lì si trovavano circa 70 persone, di cui almeno 50 chiaramente
ferite. La metà di loro perdeva sangue da tutte le parti e aveva brutte ferite. Non ho
assistito direttamente alla prima parte dellattacco, perché ero nascosta nello
stanzino, ma nellatrio ho potuto vedere molti ragazzi mentre venivano picchiati in
modo brutale. Nessuno si è ribellato, perché la presenza della polizia era troppo
massiccia e troppo violenta. Una donna era seduta sulle scale. Ogni poliziotto che passava
le dava una manganellata. Un colpo le è arrivato in pieno volto, rompendole la mascella e
due denti anteriori». Dire che era una giornalista non le è servito: «Tenevo il
tesserino in mano ? racconta ? e gridavo: "Stampa, stampa, stampa!". Il fatto è
stato del tutto ignorato. Un poliziotto in borghese ha guardato laccredito e ha
sibilato tra i denti: «Ma guarda un po chi abbiamo preso?». Dopo mi è stato dato
ordine di consegnare tutto: zaino, documenti, tutto. Le autorità italiane sapevano dallinizio
che "Larrestata Kirsten Wagenschein è una giornalista accreditata"».
Laccusa era la stessa per tutti: detenzione di armi, partecipazione alle violenze
del cosiddetto blocco nero «e qualcosaltro», dice Anne, che si raccomanda più
volte di non citarla con il suo vero nome. «Potrebbero leggerlo, non so, forse mi
potrebbe capitare qualcosa di male». Anche se adesso è tornata a Berlino, a casa sua, ha
paura lo stesso.
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