Manifesto 4 agosto 2001

Una mattanza decisa in collettivo
Secondo i magistrati genovesi il blitz di sabato notte non aveva un responsabile
AUGUSTO BOSCHI - GENOVA


Arnaldo La Barbera arriva a palazzo di giustizia pochi minuti prima delle 16. Percorre il lungo corridoio sul quale si affacciano gli uffici deserti dei piemme accompaganto dal procuratore capo Francesco Meloni e preceduto da Spartaco Mortola, il capo della Digos genovese. Cammina veloce e la sua faccia da duro, da poliziotto "vero" sparisce dietro la porta dell'ufficio di Meloni. La Barbera è l'ultimo dei 13 funzionari presenti alla perquisizione della scuola Diaz a essere ascoltato dai magistrati genovesi. E' di questo che deve parlare con il procuratore capo. Di cosa successe nella notte tra il 21 e il 22 luglio, dei pestaggi indiscriminati, del volto vero di un'operazione che più che una perquisizione è sembrata fin dall'inizio una spedizione punitiva. Il suo colloquio con Meloni dura un paio d'ore. Alle 17 esce da una porticina laterale e prima che l'ascensore riservato al personale della procura lo inghiotta, fa in tempo a dire due battute: "Sono un servitore dello Stato e rispetto le decisioni del ministro. Sono sicuro che gli anni passati in prima linea non verranno dimenticati". Il contenuto della conversazione con Meloni resta top secret, ma quello che stanno cercando di valutare i magistrati è chi avesse il comando effettivo quella notte, chi decise l'operazione e come fu che una perquisizione si trasformasse in una mattanza.
Una cosa risulta chiara: La Barbera era lì ed era il più alto in grado sulla piazza. Per il resto, le ricostruzioni non riescono a spiegare tutto e anche se il quadro di quanto accadde alla Pertini si sta facendo sempre più chiaro, rimangono punti da chiarire. Chi decise il blitz? "Si è trattata di una decisione presa in una riunione collegiale", spiega il procuratore Giancarlo Pellegrino. Come a dire che nessuno ne aveva la responsabilità. "Tranne La Barbera", continua il magistrato. Quello che però dicono le relazioni degli ispettori del Viminale e gli interrogatori dei magistrati, è che si diede il via al blitz senza nominare un responsabile effettivo dell'operazione. "Un punto che è più importante per il ministero che per la magistratura", chiosa Pellegrino, che spiega come per loro si tratti di attribuire responsabilità penali personali. In ogni caso, il modo in cui è stata gestita l'irruzione nella sede del Gsf e nella Pertini è alquanto singolare. Una decisione collegiale che di fatto rende impossibile definire le responsabilità dei singoli; la mancata nomina di un "comandante" sul campo per un'operazione che vede impegnati almeno 200 uomini e un elicottero. E pure la scelta degli uomini che hanno preso parte all'azione desta qualche perplessità. Non si procede mandando sul campo reparti omogenei, ma "gruppi di battaglia" composti da elementi della squadra mobile, del reparto mobile, del reparto polizia di prevenzione e dei carabinieri, come conferma il magistrato. Uomini in borghese con casco, fazzoletto sul volto e pettorina e uomini in divisa spartiti in due colonne di una settantina di unità l'una. E qui, le testimonianze di chi era nella scuola e di chi cerca di salvarsi la carriera, coincidono. Nel senso che una delle due colonne arriva prima dell'altra, entra nella Pertini e chiude la porta sbarrandola. Quindi inizia il pestaggio sistematico. Quando arriva la seconda colonna, i poliziotti tentano di forzare la porta e gli viene aperto da un collega in borghese.
Sembrerebbe che tutto quanto sia stato organizzato in modo da rendere più difficile possibile, se non impossibile, la determinazione delle responsabilità. Fin dal principio, fin dalla sua fase organizzativa, l'operazione è comandata da tutti. Vale a dire da nessuno. O si fa in modo che sembri così a chi dovrà risostruire gli eventi. E La Barbera? "Gente che si trovava nella seconda colonna ha detto che La Barbera era già lì", conclude Pellegrino. Questo per quanto riguarda la Pertini. E la Diaz? Lì le cose sono andate diversamente. Non ci sono stati massacri: gli agenti che entrano dal cancello posteriore della scuola si dividono in gruppi e salgono fino al secondo piano senza lasciare la scia di sangue che contraddistingue l'azione dei loro colleghi alla Pertini. Gli agenti entrano nelle stanze, fanno uscire tutti gli occupanti in corridoio: alla fine c'è un monitor in pezzi, un pc sfasciato, tre computer aperti e uno smontato. Di questi hard disk non esiste un verbale di sequestro e della Diaz, se ne parla poco.
Si parla ancora, invece, della caserma di Bolzaneto. Ieri tre dei piemme incaricati dell'inchiesta su questo filone hanno effettuato un lungo sopralluogo nella caserma teatro di abusi e violenze sugli arrestati. Con loro anche quattro ragazzi che, in quella caserma, hanno passato le ore più terrificanti della loro vita.