La Stampa
Lunedì 30 Luglio 2001
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Casini, il mediatore: «Io non mollo di un
centimetro»
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Umberto La Rocca IO non mollo di un centimetro». A
dispetto del «niet» di Fini, dellincertezza di Berlusconi e della difficoltà di
trovare un punto di equilibrio accettabile per maggioranza e opposizione, Pierferdinando
Casini si ostina a proseguire il lavoro diplomatico per dare vita a unindagine
parlamentare sui fatti di Genova. E per riportare lo scontro fra i poli sui binari della
dialettica istituzionale. «LItalia rischia di andare sotto processo in una
commissione europea, abbiamo la gente che manifesta sotto le ambasciate, le forze dellordine
rischiano di perdere la fiducia dei cittadini: in questa situazione il mio ruolo mi impone
di spendermi personalmente», ha spiegato il presidente della Camera a chi lo è andato a
trovare nel silenzio ovattato del suo appartamento di Montecitorio. Una linea che trova
echi e conforto in Marcello Pera, il professore, ascoltatissimo da Berlusconi, che ha
passato la pri ma metà della sua vita a criticare l«anarchismo metodologico» di
Feyerabend e ora si trova alle prese con quello meno motivato e più pericoloso del Black
Block. E riscuote consenso sul Quirinale con il quale i contatti e le telefonate sono
frequentissimi. Chi si aspettava due presidenti delle Camere eletti dalla maggioranza e
perciò succubi e deboli, ha dovuto ricredersi. Dalla mediazione condotta da Pera per
convincere Berlusconi a riferire in Senato sul G8, alla restituzione del gruppo a
Rifondazione, al compromesso sul nome della commissione Telekom-Serbia, alla bacchettata
di Casini a Tremonti per aver comunicato le cifre del «buco» in tv prima che in
Parlamento, il politico postdemocristiano e lintellettuale liberale si stanno
rivelando rigorosi difen sori dellimmagine del Paese, del ruolo del Parlamento, dei
diritti di governo e opposizione. Fino alla vicenda di queste ore, la trattativa sulla
commissione per i fatti di Genova. La svolta è avvenuta giovedì. Dopo il durissimo
scontro verbale alla Camera, dopo quel «repressione cilena» pronunciato da DAlema,
Casini aveva sussurrato ai suoi: «Ormai è muro contro muro, non cè più niente da
fare». E invece, un po a sorpresa, quando quello stesso pomeriggio lo sono andati a
trovare nel suo ufficio Violante e Marco Boato, il presidente della Camera ha riscontrato
disponibilità a discutere e la stessa impressione ha ricavato Pera da un incontro
informale con alcuni capigruppo dellopp osizione il giorno dopo. Sabato poi,
particolarmente apprezzata, è arrivata la presa di posizione di Rutelli («se il governo
accetta lindagine, noi possiamo sospendere la mozione di sfiducia contro il ministro
dellInterno»). E anche la correzione di rotta di Violante che, dopo aver minacciato
raccolte di firme e manifestazioni di piazza, ha abbracciato la linea dialogante del
leader dellUlivo. I presidenti delle Camere sanno benissimo che la
«ricalendarizzazione» della mozione di sfiducia non basta, che, come dice il ministro
per i Rapporti con il Parlamento Giovanardi, «per il governo è un insulto, con quella
spada di Damocle sospesa sopra la testa di Scajola». Ma sono convinti che il
centrosinistra non ha nessun interesse a cavalcare la piazza inseguendo Bertinotti e che
quindi un ulteriore passo potrebbe farlo. Il vero ostacolo, invece, viene dalla
maggioranza. E in particolare dal vicepresid ente del Consiglio. Tanto che in questi
giorni, nelle discussioni private dei vertici istituzionali, è rispuntato più volte il
fantasma del «Signor No», quello che nel 95 fece fallire il governo per le riforme
di Antonio Maccanico e che, lanno seguente, si mise lungamente di traverso
ostacolando i lavori della Bicamerale. Nello scontro sul G8, ergendosi a difensore delloperato
dello Stato contro tutto e contro tutti, Fini ha colto loccasione per ritagliarsi
uno spazio politico. E proprio su una parola dordine «law and order», condivisa,
stando ai sondaggi, dalla maggioranza degli italiani, e nelle corde della destra. La
durezza del «no» del leader di An, che ieri sera ha spiegato «votiamo la mozione, poi
discuteremo», ha spaventato molti. Giovanardi sabato sera, dopo aver fatto caute aperture
allopposizione, è tornato sui suoi passi: «Chiudo anchio, se no questi mi
mettono fuori gioco...», ha confidato. Casini invece non si è dato per vinto. Ha
telefonato a Berlusconi, lunico che può far pendere la bilancia dalla parte della
commissione. «Silvio», ha detto «guarda che un organismo parlamentare è unutile
camera di c ompensazione dove far confluire lo stillicidio di notizie che proseguirà
nelle prossime settimane, dai tg, dagli interrogatori dei magistrati...». Poi è passato
ad argomenti più concreti: «Ricostruire il rapporto con lopposizione serve anche
al governo, altrimenti su ogni provvedimento sarà un inferno. Vedrai che succederà sulla
riforma del diritto societario...». Berlusconi ha ascoltato. Diviso fra la sirena dei
sondaggi che gli suggeriscono una linea dura, lesigenza di salvaguardare limmagine
dellItalia allestero e un sottile fastidio per quellarticolo di «Le
Monde» che qualche giorno fa si chiedeva se in Italia comandasse lui oppure Fini. Da
parte sua, Casini sta pensando allultima carta da giocare: un appello dei presidenti
delle Camere. «Ma prima bisogna verificare se cè la disponibilità di governo e
opposizione. Non possiamo permetterci di farci dire di no».
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